il Foglio 5 gennaio 2011

Luigi Manconi
1. Operai e capitale. D'accordo. Accogliamo per comodità dialettica l'assunto degli apologeti. La strategia di Sergio Marchionne costituirebbe uno straordinario modello. Che dico? più che un modello un perfetto paradigma della post-modernità. Chi si è spinto più in là su questa china agiografica è stato, come talvolta gli accade, Giuliano Ferrara. Il direttore del Foglio scorge in alcune mosse dell'a.d. di Fiat il senso di una vera e propria strategia generale, tale da modificare il quadro politico-istituzionale del nostro paese, le sue relazioni industriali, i rapporti di forza tra gruppi dirigenti, corpi intermedi e classi sociali. Ha scritto proprio così, o pressapoco così, Ferrara.
Non fermiamoci, per carità, alle letture più ovvie di un simile rito celebrativo, al fine di spiegare la reiterata fascinazione esercitata su Ferrara dalle successive figure di autorità che hanno occupato la scena pubblica nell'ultimo mezzo secolo (la “destra comunista”, il craxismo, il berlusconismo...). Qui c'è dell'altro. E si tratta di roba consistente, solida, corposa. Qui si scorge, magari sullo sfondo e magari contraffatta, la classe operaia. Ad aver capito che questa è la posta in gioco dell'attuale conflitto, oltre ai titolari del brand (Cgil e Fiom, in primo luogo), sono stati studiosi come Pietro Ichino, Giuseppe Berta, Luciano Gallino e Guido Viale e giornalisti come Dario Di Vico, Massimo Giannini, Massimo Bordin, Gad Lerner e Giuliano Ferrara, appunto. Tutti costoro sono definibili, a vario titolo e contraddittoriamente, come “operaisti”. In forme diversissime e anche tra loro antagonistiche, di destra o di sinistra, fiommine o antisindacali, essi attribuiscono tutt'ora alla “questione operaia” un ruolo importante all'interno della dinamica complessiva dell'organizzazione sociale (o meglio: un ruolo parziale, ma non periferico né residuale). “Operaisti”, cioè, nell'unico modo in cui lo si possa essere oggi: ed è il modo che il “paradigma Marchionne” rivela, sia a chi lo osteggi strenuamente sia a chi lo accolga entusiasticamente. In altri termini, come questione della manifattura e del lavoro manuale. In estrema sintesi: le persone prima indicate, come per altro chi scrive, coltivano questa idea “operaista” della società e, di conseguenza, della politica. (Insomma, parlare dell'Italia ignorando la classe operaia è come analizzare l'economia settentrionale senza conoscere Ivo Perego, così mirabilmente e “sociologicamente” raccontato da Antonio Albanese). Certo, poi, una parte di noi ritiene che Marchionne sia il problema, un'altra che sia la soluzione. A questi ultimi, rimprovero tuttavia una clamorosa operazione di censura: ovvero la rimozione dei dati materiali della condizione operaia e la riduzione di questa – è proprio il caso di dire – a “variabile dipendente” o a fattore inerte di una rappresentazione ideologica. Ma i dati, come si dice, sono testardi. Proviamo a esporli scontando il fatto che, per varietà di mansioni e complessità dell'organizzazione produttiva, si tratta di indicazioni da dettagliare ulteriormente. Ecco cosa significano – nella vita concreta e nella fatica concreta – rigidità e flessibilità del lavoro.
A Mirafiori, per esempio. 3 turni di 8 ore al giorno per 6 giorni la settimana e l’eventuale sperimentazione di turni di 10 ore (2 al giorno) per 6 giorni la settimana. Chi lavorerà 10 ore per 4 giorni, potrà riposare i successivi 3. Straordinari obbligatori fino a 120 ore l’anno (oggi sono 40) e la possibilità di contrattare altre 80 ore. Le tre pause di ogni turno saranno di 10 minuti ciascuna al posto delle attuali due pause di 20 minuti. Per i 10 minuti lavorati in più verranno corrisposti 45 euro lordi al mese.
A Pomigliano, invece. 18 turni da 8 ore per 6 giorni la settimana, la mezz'ora retribuita per il pasto a fine turno. In caso di necessità di straordinari si utilizzerà anche la mezz'ora di pausa mensa. L'orario di lavoro giornaliero degli addetti al turno centrale va dalle 8.00 alle 17.00, con un'ora di intervallo non retribuito. Lavoro straordinario obbligatorio per 80 ore annue, senza preventivo accordo sindacale, da effettuare a turni interi.
E per meglio capire di cosa stiamo parlando, sarebbe utile osservare puntualmente cosa significhi la “metrica del lavoro”: secondo dopo secondo, gesti, atti, movimenti, cronometrati e destinati a rendere massimamente produttivo tutto (ma proprio tutto) il tempo salariato. Se non credete a Luciano Gallino, ripensate a Charlie Chaplin di Tempi Moderni. O è troppo “buonista”, sciocchini?
Quanto il discorso pubblico dominante sulla questione Fiat sia, alla resa dei conti, un mero vociare ideologico, in genere stracciaculo, lo si evince dal fatto che esso venga accomunato da alcuni (Dio li perdoni) alla riforma Gelmini. In un'orgia di grossolanità e di asinerie sesquipedali, entrambe le iniziative vengono catalogate come trionfo del principio del merito. Ma scusate, se la controversia è su chi ce l'ha più lungo in fatto di demagogia, dal momento che le vendite delle auto Fiat hanno subito un crollo nel corso del 2010, di quanto verrà ridotto lo stipendio di Marchionne? Stipendio che sarebbe di 435 volte maggiore del salario operaio.


2.    Agenda biopolitica del governo. Il sottosegretario Eugenia Roccella la spiega (si fa per dire) così: “Non si può pensare che su questo ci può essere un tana libera tutti”. Capito? Ma non è meraviglioso? Siamo, come ognuno può ben vedere, nella dimensione rarefatta della elaborazione teologica.
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