Detenuti paralleli

Angelo Rizzoli sta per morire di carcere come Stefano Cucchi.Perché si può e si deve evitare

Luigi Manconi

il Foglio 12 marzo 2013

È difficile immaginare due personalità tanto diverse sotto il profilo sociale e culturale (e, forse, psicologico) quali quella di Stefano Cucchi e quella di Angelo Rizzoli. Eppure, oggi, la combinazione crudele delle circostanze ha portato il secondo in quel reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini, e nella stessa stanza, dove il trentunenne geometra di Torpignattara ha trovato la morte il 22 ottobre del 2009. Entrambi in custodia cautelare, entrambi atrocemente provati nel fisico e nell’animo. Così differenti le rispettive condizioni di vita e i rispettivi ruoli sociali, eppure un destino comune li ha condotti a una situazione che,  si vuole sperare, non dovrà comportare la medesima fine.

Angelo Rizzoli è affetto da sclerosi multipla con emiparesi spastica emisoma destro che lo obbliga a deambulare solo con l’uso del bastone; a ciò si aggiunga una ipertensione arteriosa, complicata da grave insufficienza renale cronica, prossima alla dialisi (valori di creatinina 5,3 mg: a 6mg si inizia la dialisi); un diabete mellito, trattato con tre iniezioni quotidiane di insulina dosata ogni otto ore sul valore delle glicemie instabili; una pregressa angina instabile con malattia dei tre vasi coronarici trattata con angioplastica e stent coronarici; una islipidemia con sindrome metabolica. E, infine, una pregressa mielopatia compressiva del midollo cervicale che aggravava l'emiparesi del braccio destro, operata e trattata con inserimento intravertebrale di due dispositivi metallici.

Ho voluto riportare, con la piatta crudezza del linguaggio medico, il quadro clinico delle condizioni di Angelo Rizzoli perché ritengo che solo quel quadro - con l’essenzialità dei termini diagnostici e la disadorna descrizione di un corpo gravemente colpito - offra l’esatta misura del suo stato di salute. Non solo. La situazione renale si è ulteriormente aggravata e il diabete necessita di controllo della glicemia tre volte al giorno e di trattamento insulinico a seconda delle glicemie che solo un medico diabetologo può valutare di volta in volta. Rizzoli è costretto a letto perché, essendo stato privato del bastone all’ingresso in carcere, non può camminare e mostra già segni di atrofia muscolare; e dal momento che non è autonomo, gli è impedito l’uso della doccia a causa del pericolo di cadute. In queste condizioni, Rizzoli tende a rifiutare il cibo: e ciò, in aggiunta al quadro clinico appena descritto, ha indotto il professor Luigi Tazza, nefrologo presso il Policlinico Gemelli, a parlare ripetutamente, in una perizia, di pericolo di decesso del paziente se non adeguatamente seguito e curato anche dal punto di vista psicologico. La perizia del Giudice per le Indagini Preliminari conferma il quadro patologico e le possibili complicanze, ma ritiene l’aggravamento delle condizioni di salute responsabilità del paziente stesso, a causa del rifiuto di cibo e terapie. La perizia,  poi, descrive il paziente come autosufficiente, in grado di lavarsi e vestirsi, e quindi compatibile con il regime detentivo. Non è la prima volta che viene formulata una valutazione di “compatibilità”, successivamente rivelatasi errata. In ogni caso qui si parla di custodia cautelare: ovvero di una misura prevista per la persona indagata e la cui applicazione è rigorosamente e tassativamente regolamentata dal codice. Possibile che, a un mese di distanza dall’arresto di Rizzoli, le circostanze previste per il ricorso alla custodia cautelare siano tutt’ora così inesorabilmente cogenti da imporre la reclusione di un uomo tanto gravemente malato, e riconosciuto tale dallo stesso giudice?

Si torna così al discorso iniziale. Il carcere è oggi una grande agenzia di stratificazione sociale, che riproduce disparità e sperequazioni, che amministra diseguaglianze e discriminazioni, intrecciandosi alla crisi del sistema di welfare e surrogando alcune delle funzioni e dei servizi dai quali lo stato sociale si è ritirato. L’esito è che oggi, all’interno del circuito penitenziario, è prevalente la componente costituita da poveri e nuovi poveri, malati cronici e pazienti psichiatrici, dipendenti da tutte le dipendenze, borderline e marginali, persone che precipitano nella scala sociale e soggetti che entrano ed escono dai confini del sistema di cittadinanza. Un carcere, cioè, che assume una sempre più netta fisionomia classista e censitaria. Allo stesso tempo, l’organizzazione penitenziaria funziona come meccanismo livellatore, riducendo nella gran parte dei casi – le eccezioni restano, ma sempre meno significative – le risorse e i privilegi dei singoli. È questo che rende così simile, pure in quella distanza sociale e culturale di cui si è detto, le figure di Angelo Rizzoli e di Stefano Cucchi, reclusi nel reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini. Si può e si deve evitare che simile sia il loro destino.

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