Chi beneficia dell'Indulto è meno recidivo di chi esce dal carcere a fine pena
Luigi Manconi Giovanni Torrente
Domenica scorsa, al termine della visita di Benedetto XVI nel carcere di Rebibbia, ha echeggiato un grido solo, scandito dalla voce dei reclusi: amnistia. Si tratta di un termine e di un provvedimento generalmente guardati con sospetto, troppo frettolosamente rimossi o affrontati con una prudenza che tende a farsi reticenza.
Eppure, quell’atto di clemenza per cui si battono i Radicali è stato seriamente considerato e certamente non escluso dal Capo dello Stato, da un giurista autorevole come Carlo Federico Grosso e dal ministro della Giustizia Paola Severino. D’altra parte, si tratta di una misura prevista dalla Costituzione e, di conseguenza, andrebbe discussa, accolta o contestata con argomenti razionali. Cosa che raramente accade.  Più spesso, l’amnistia viene esorcizzata sulla base di un dato assolutamente falso: ovvero sull’errato presupposto che il più recente atto di clemenza (in questo caso, l’indulto, che dell’amnistia è parente stretto e che unitamente all’amnistia andrebbe adottato) non produrrebbe alcun risultato positivo. O meglio: produrrebbe solo sfaceli. In primo luogo: “tutti gli indultati ritornano presto in galera”, dice il luogo comune. Ma non è affatto così. La ricerca da noi condotta dimostra esattamente il contrario: la recidiva tra i beneficiari dell’indulto è meno della metà della recidiva ordinaria, registrata tra coloro che scontano interamente la pena in carcere. I dati raccolti dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (DAP), da noi rielaborati e analizzati, mostrano come la recidiva dei beneficiari del provvedimento di indulto (legge n. 241 del 31 luglio 2006) relativa a reati commessi prima del 2 maggio 2006, dopo 5 anni dall'approvazione, si attesti al 33,92%. Certo, si tratta di una percentuale comunque assai elevata, ma va confrontata con quella che si registra tra quanti non usufruiscono di sconti o condoni. Ora, l'unico studio sul lungo periodo della recidiva di persone ex detenute compiuto di recente, si deve a una rilevazione effettuata dall’Ufficio Statistico del DAP. Qui troviamo come il 68,45% dei soggetti scarcerati nel 1998 abbia, nei successivi 7 anni, fatto reingresso in carcere una o più volte. Il dato della recidiva dei beneficiari dell'indulto si colloca quindi su un livello molto inferiore rispetto a quello rilevato in un monitoraggio “ordinario”. L'opinione diffusa in base alla quale i provvedimenti di clemenza determinano un innalzamento della criminalità, rappresentato dalla recidiva degli scarcerati, appare quindi smentito dai dati di fatto. Al contrario, con l’indulto, la scarcerazione di persone sottoposte ad esecuzione penale, abbinata alla minaccia di scontare la vecchia e la nuova pena in caso di reiterazione del reato, pare svolgere un'efficace funzione preventiva, soprattutto fra coloro che erano alle prime esperienze detentive. In questo senso, la clemenza può essere intesa come una sorta di “messa alla prova” che ha un impatto positivo su persone con un percorso deviante non ancora stabilizzato.  

È utile, poi, disaggregare i dati e considerarli in relazione alla nazionalità di quanti beneficiano della misura. Si conferma un trend già rilevato nei precedenti monitoraggi, là dove emerge un tasso di recidiva fra gli italiani di ben 13 punti percentuali superiore a quello tra gli stranieri. Il dato è particolarmente significativo, perlomeno nelle sue dimensioni, tanto più se raffrontato con le retoriche dell’allarme sociale che hanno accompagnato il provvedimento di indulto: lo straniero extracomunitario, privo di permesso di soggiorno, come uno dei pericoli maggiori per la sicurezza pubblica una volta rimesso in libertà. La portata della differenza tra la recidiva degli italiani e quella degli stranieri pone dei seri interrogativi sul fondamento delle interpretazioni, diffuse sia a livello mediatico che nel senso comune, del ruolo e della rilevanza criminale dei diversi autori di reato.
Un’ultima notazione riguarda lo scarto tra il tasso di recidiva di coloro che, al momento dell'entrata in vigore dell'indulto, scontavano la pena in carcere e il tasso di recidiva di coloro che si trovavano in misura alternativa (soprattutto in detenzione domiciliare). Su questo, i dati disponibili si fermano a circa tre anni e mezzo dall’approvazione della legge. E mostrano, tra coloro che erano in misura alternativa, una recidiva inferiore di circa 10 punti percentuali alla recidiva tra quanti scontavano la pena in cella (21,97% a fronte del 31,15% ). Tale dato è coerente con tutta la letteratura in materia che mostra tassi di recidiva inferiori tra quanti non scontano la pena per intero in carcere. E dovrebbe costituire una forte sollecitazione ad una maggiore applicazione di misure di carattere extra-carcerario. È quanto sembra ispirare l’insieme dei provvedimenti annunciati dal ministro della Giustizia Paola Severino.

il Messaggero 30 dicembre 2011
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