Politicamente Correttissimo
Tipacci
Gentile Direttore, tanto per darci un tono, cominciamo con qualche passeggiata nel campo meraviglioso dell’ Ovvio: a ciascuno i suoi guai, ogni giorno ha la sua pena e  -come conclusione trionfale- unicuique suum. Questo per dire che lei e io, ritenuti passabilmente garantisti da chi non ci odia troppo, abbiamo a che fare nei rispettivi schieramenti di centrodestra e di centrosinistra con numerosi tipacci.
Tutta gente che, nel migliore dei casi, apprezza le garanzie del processo penale solo se applicate a esponenti della propria parte politica. Poi intorno alla vicenda della falsa accusa indirizzata da Letizia Moratti a Giuliano Pisapia, è emerso nel centrodestra tutto un mondo. E che mondo. Giustizialisti, forcaioli, manettari, sbirraglia di tutte le risme e una folla di tricoteuses e di prefiche in delirio o, alternativamente, in deliquio. Insomma, su questo piano, vincete a mani basse. Trascuriamo per un attimo la responsabilità dello staff della Moratti (difficile capire se composto più da gente senza scrupoli o semplicemente da stracciaculi): resta il fatto che una destra così questurina raramente si era vista in Italia. Ma la storiaccia milanese richiama un altro interrogativo: come è possibile che il passato di un uomo sia così manipolabile e così agevolmente piegabile alle polemiche più strumentali? Immaginiamo pure che, invece, Pisapia fosse stato riconosciuto colpevole per quel reato e ragioniamo intorno alle conseguenze di ciò. L’episodio sarebbe accaduto nel luglio del 1978: ovvero quasi trentatre anni fa. A ciò si aggiunga che l’ eventuale reato sarebbe quello di “concorso morale in furto”. Già qui siamo nel grottesco: una simile fattispecie penale non dico che non rispetta, ma nemmeno considera alla lontana, quei criteri di  determinatezza empirica, materialità e tassatività che concorrono a definire un reato in uno stato di diritto. E poi c’è il discorso relativo all’amnistia. Scartando il più facile degli argomenti polemici (Silvio Berlusconi, lui si, nel 1990 usufruì di un’amnistia per il reato di falsa testimonianza in merito alla negata iscrizione alla P2), non si può ignorare che un’ amnistia è un’ amnistia: e che un elementare rispetto per  l’ ordinamento giuridico deve imporci di accettarne gli effetti. E, infatti, un sistema efficiente e garantista, come vorrebbe essere il nostro, anche quando gravemente deficitario nei fatti, si articola in un’ ampia complessità di istituti e norme, di misure e provvedimenti, di apparati e di funzioni. Tutti meritevoli di rispetto: così, anche le misure dette “di clemenza” o l’ assoluzione per insufficienza di prove (non più ora) e tutti gli strumenti di garanzia e di tutela  che il nostro ordinamento prevede per gli imputati. Dunque, l’ amnistia (della quale Pisapia non ha voluto usufruire) non segnala una sorta di colpevolezza minore, bensì il riconoscimento dell’ opportunità (per le più diverse ragioni) di  sospendere il procedimento. Diverso è il discorso sulla prescrizione, qui intesa in senso storico-morale oltre che giuridico. Ancora una volta l’ agitazione berlusconiana ha reso impresentabile in società, e tra le persone per bene, una categoria, che pure ha sue profonde e nobili ragioni. Partiamo dai casi personali. A me, tuttora, da alcuni facinorosi presenti nello schieramento a cui lei, Ferrara, appartiene,  vengono rimproverati fatti e parole di quasi quarant’anni fa. Al Direttore del Foglio, tuttora, da alcuni agitatori presenti nella mia parte politica, vengono rimproverate manifestazioni (“con nodosi bastoni e tutto il resto”) risalenti ad appena qualche anno dopo (ma solo perché Ferrara è più giovane).  Un gentlemen's agreement non dico tra avversari che si rispettano ma per lo meno tra signori anziani e un po’ imbolsiti, dovrebbe prevedere che tutto ciò sia archiviato tra le turbe adolescenziali, alla stregua di  Edwige Fenech e del Ciocorì. Ma così non accade. Eppure la prescrizione non è un escamotage. È un istituto che ha trovato riconoscimento in quasi tutte le esperienze giuridiche. Questo perché un consolidato principio  vuole che il reato sia punito entro un predeterminato periodo di tempo, trascorso il quale lo Stato rinuncia a perseguire il possibile reo. Dunque, la prescrizione è più che un computo temporale: è l’ingresso nel sistema delle norme del massimo artificio per “ingannare il tempo”. Quello che corre tra il diritto e il tempo è, pertanto, un gioco complesso: il diritto decide che nelle relazioni sociali il tempo è rilevante. Ad esempio dice che, dopo un certo tempo, un diritto
che non venga fatto valere decade; e che chi possegga per un certo tempo una cosa altrui ne acquista la proprietà.  Pertanto,dal momento che il diritto decide che un determinato reato è punito con una determinata pena e che ciò vale per un determinato tempo, il dilemma etico-giuridico è il seguente: quale tempo è adeguato? Nel dibattito pubblico italiano sembra prevalere l’opinione che per alcune vicende politiche –anche in assenza di un reato accertato (come nel caso di Pisapia)- nessun tempo sia adeguato. Non è un esercizio di memoria. È rancore e, pensate un po’, una sottile e indicibile invidia.

Il Foglio 17 maggio 2011
Share/Save/Bookmark
Commenti (0)
Commenta
I tuoi dettagli:
Commento:
Security
Inserisci il codice anti-spam che vedi nell'immagine.