La solitudine digitale
Luigi Manconi
Ormai ci siamo abituati a considerare Grillo come una patologia della vita politica. Dunque, fatto salvo il mio giudizio
(che peggiore non potrebbe essere) sull’uomo e sulla sua opera, si può provare a considerare seriamente
ciò che il grillismo come febbre della democrazia riesce a comunicare.
Il caso di Giovanni Favia (il consigliere regionale dissidente di 5 Stelle) ha rivelato impietosamente il connotato proprietario e autoritario che segna, al di là delle intenzioni e della generosità degli aderenti, la formazione e l’organizzazione di 5 Stelle. Lo scandalo che ne è seguito e lo smarrimento sincero di moltissimi militanti hanno indotto il Fondatore a proporre la sua ricetta per affrontare la prima vera crisi di crescita del partito. Secondo Grillo, ecco la soluzione : una piattaforma online che consenta di scegliere i candidati per le prossime elezioni politiche e di discutere e definire il programma. La proposta è piaciuta a molti e sembra aver messo a tacere le contestazioni interne, in quanto rappresenterebbe la soluzione giusta per dare nuove energie e regole certe al sistema di democrazia interna di 5 Stelle. Che si tratti di una novità è certo, ma il problema rischia solo di essere spostato in avanti. In altre parole: chi gestirà quella piattaforma, chi ne detterà le norme, e ancora prima, chi vi potrà accedere? Tutte domande serissime che tuttavia , proprio mentre le formulo, mi appaiono come “successive” : che vengono dopo, cioè, una riflessione precedente, e che non può essere elusa o sottovaluta, sulla qualità della politica online. Qui sta il nodo essenziale. Si è diffusa ormai l’opinione, anche in ambienti insospettabili, che la politica digitale sia comunque una forma non solo innovativa, ma anche più efficace e persino più “democratica” di quella tradizionale. È proprio ciò che contesto. Se pure quella piattaforma, proposta da Grillo, funzionasse al meglio e con le migliori garanzie, una simile attività certificherebbe la scomparsa – verrebbe da dire l’annichilimento - di quello che è stato uno dei fondamenti essenziali della politica classica. Ovvero il corpo. La politica, in tutte le sue varianti, in tutte le sue ascendenze ideologiche e in tutte le sue articolazioni pratiche, si è basata sul ruolo decisivo svolto dal corpo umano nella vita sociale e nelle relazioni pubbliche. Il corpo violentato degli schiavi, ma anche l’habeas corpus a tutela dell’intangibilità dell’individuo contro il dispotismo del sovrano ; le braccia sfruttate della forza lavoro, ma anche la dignità del genere sessuale femminile ; l’antico motto “una testa un voto” è la centralità crescente, in tutti i sistemi democratici, delle tematiche legate alla fisicità (interruzione volontaria della gravidanza e testamento biologico, libertà di cura e pari dignità delle minoranze sessuali) : tutta la politica, fino a oggi, ha trovato nel corpo la sua origine e il suo fine. E su questo è stata scandita, negli ultimi due secoli, l’attività collettiva che aveva come posta in gioco il potere politico. La politica come l’abbiamo conosciuta è stata, ed è, incontro scambio relazione. Comunicazione diretta e faccia a faccia. Presenza comune in luoghi fisici: sezioni e circoli, incontri e manifestazioni, convegni e comizi e cortei. È solo la presenza in uno spazio condiviso, dove si mettono in comune non solo parole, ma anche emozioni e sentimenti (compresi quelli negativi), che consente quel farsi della politica consistente in un percorso collettivo, verso un obiettivo che si scopre essere di molti. È questa la radice della politica che, poi, si articolerà su altri piani, in altre sedi, nei luoghi della rappresentanza. Ma la base primaria e costitutiva resta quella : lo spazio della reciproca interferenza e della polemica aspra, dove si opera per persuadere e portare dalla propria parte; e dove il confronto è fatto di argomenti a favore e di argomenti contro, di battaglia per l’affermazione di una posizione o di un’altra, di lotta e di compromesso. E poi, ancora, di una nuova lotta e di un nuovo compromesso. Tutto ciò richiede, appunto, la prossimità: lo stare insieme per un determinato periodo di tempo, anche breve, ma necessario a costruire la comunanza di intenti, attraverso il conflitto tra opzioni diverse e la selezione di obiettivi condivisi. Insomma la politica, quella di cui parlo, esige la materialità e la socialità di esperienze vissute insieme e di una fisicità che si esprime nel guardarsi e nell’interloquire, nell’incontrarsi e nel muoversi insieme. Politica, in estrema sintesi, è appunto quel muoversi insieme, dove i corpi si affiancano e fanno energia collettiva e forza comune.
Detto tutto ciò è palese e incontestabile che quella politica ha prodotto anche mostri (burocrazia e autoritarismo, verticismo e carrierismo, corruzione e alienazione …) : ed è oggi in rovinosa, e, secondo molti, irreversibile crisi. A questo punto, la scelta è netta. O si lavora pazientemente e tenacemente per rinnovare in profondità la politica classica, oppure si abbandona questa politica e si sceglie decisamente quella online. Dico subito che continuo (spes contra spem) a nutrire una qualche residua fiducia nella prima, tanto più se riesce ad acquisire e a far fruttare il meglio che la seconda (quella online) propone. Ma affidarsi, come tanti sono intenzionati a fare, ad una piattaforma digitale, investendo interamente in essa le proprie risorse, mi sembra una follia. E mi spiego. La politica online tende - come dice ancora Favia - a “una democrazia liquida dove i cittadini possano decidere continuamente”. Ma quest’ultima, anche se regolata da criteri democratici, oltre ad apparire come un oggetto misterioso - qualcosa di esoterico, che sostituisce all’autorità del Capo la sovranità della Macchina Intelligente – finisce col cancellare totalmente il corpo. In altre parole, la politica digitale si fonda su una moltitudine di individui, isolati ciascuno nella propria postazione, sempre connessi e sempre irrimediabilmente soli. E davvero solitaria è questa nuova forma di “militanza”, vissuta interamente dentro la dimensione del proprio PC: la sola compagnia, e la sola compagnia politica, rischia di essere il nostro volto riflesso sullo schermo.
l'Unità 19 settembre 2012
La solitudine digitale
Luigi Manconi
Ormai ci siamo abituati a considerare Grillo come una patologia della vita politica. Dunque, fatto salvo il mio giudizio
(che peggiore non potrebbe essere) sull’uomo e sulla sua opera, si può provare a considerare seriamente ciò che il grillismo come febbre della democrazia riesce a comunicare.
Il caso di Giovanni Favia (il consigliere regionale dissidente di 5 Stelle) ha rivelato impietosamente il connotato proprietario e autoritario che segna, al di là delle intenzioni e della generosità degli aderenti, la formazione e l’organizzazione di 5 Stelle. Lo scandalo che ne è seguito e lo smarrimento sincero di moltissimi militanti hanno indotto il Fondatore a proporre la sua ricetta per affrontare la prima vera crisi di crescita del partito. Secondo Grillo, ecco la soluzione : una piattaforma online che consenta di scegliere i candidati per le prossime elezioni politiche e di discutere e definire il programma. La proposta è piaciuta a molti e sembra aver messo a tacere le contestazioni interne, in quanto rappresenterebbe la soluzione giusta per dare nuove energie e regole certe al sistema di democrazia interna di 5 Stelle. Che si tratti di una novità è certo, ma il problema rischia solo di essere spostato in avanti. In altre parole: chi gestirà quella piattaforma, chi ne detterà le norme, e ancora prima, chi vi potrà accedere? Tutte domande serissime che tuttavia , proprio mentre le formulo, mi appaiono come “successive” : che vengono dopo, cioè, una riflessione precedente, e che non può essere elusa o sottovaluta, sulla qualità della politica online. Qui sta il nodo essenziale. Si è diffusa ormai l’opinione, anche in ambienti insospettabili, che la politica digitale sia comunque una forma non solo innovativa, ma anche più efficace e persino più “democratica” di quella tradizionale. È proprio ciò che contesto. Se pure quella piattaforma, proposta da Grillo, funzionasse al meglio e con le migliori garanzie, una simile attività certificherebbe la scomparsa – verrebbe da dire l’annichilimento - di quello che è stato uno dei fondamenti essenziali della politica classica. Ovvero il corpo. La politica, in tutte le sue varianti, in tutte le sue ascendenze ideologiche e in tutte le sue articolazioni pratiche, si è basata sul ruolo decisivo svolto dal corpo umano nella vita sociale e nelle relazioni pubbliche. Il corpo violentato degli schiavi, ma anche l’habeas corpus a tutela dell’intangibilità dell’individuo contro il dispotismo del sovrano ; le braccia sfruttate della forza lavoro, ma anche la dignità del genere sessuale femminile ; l’antico motto “una testa un voto” è la centralità crescente, in tutti i sistemi democratici, delle tematiche legate alla fisicità (interruzione volontaria della gravidanza e testamento biologico, libertà di cura e pari dignità delle minoranze sessuali) : tutta la politica, fino a oggi, ha trovato nel corpo la sua origine e il suo fine. E su questo è stata scandita, negli ultimi due secoli, l’attività collettiva che aveva come posta in gioco il potere politico. La politica come l’abbiamo conosciuta è stata, ed è, incontro scambio relazione. Comunicazione diretta e faccia a faccia. Presenza comune in luoghi fisici: sezioni e circoli, incontri e manifestazioni, convegni e comizi e cortei. È solo la presenza in uno spazio condiviso, dove si mettono in comune non solo parole, ma anche emozioni e sentimenti (compresi quelli negativi), che consente quel farsi della politica consistente in un percorso collettivo, verso un obiettivo che si scopre essere di molti. È questa la radice della politica che, poi, si articolerà su altri piani, in altre sedi, nei luoghi della rappresentanza. Ma la base primaria e costitutiva resta quella : lo spazio della reciproca interferenza e della polemica aspra, dove si opera per persuadere e portare dalla propria parte; e dove il confronto è fatto di argomenti a favore e di argomenti contro, di battaglia per l’affermazione di una posizione o di un’altra, di lotta e di compromesso. E poi, ancora, di una nuova lotta e di un nuovo compromesso. Tutto ciò richiede, appunto, la prossimità: lo stare insieme per un determinato periodo di tempo, anche breve, ma necessario a costruire la comunanza di intenti, attraverso il conflitto tra opzioni diverse e la selezione di obiettivi condivisi. Insomma la politica, quella di cui parlo, esige la materialità e la socialità di esperienze vissute insieme e di una fisicità che si esprime nel guardarsi e nell’interloquire, nell’incontrarsi e nel muoversi insieme. Politica, in estrema sintesi, è appunto quel muoversi insieme, dove i corpi si affiancano e fanno energia collettiva e forza comune.
Detto tutto ciò è palese e incontestabile che quella politica ha prodotto anche mostri (burocrazia e autoritarismo, verticismo e carrierismo, corruzione e alienazione …) : ed è oggi in rovinosa, e, secondo molti, irreversibile crisi. A questo punto, la scelta è netta. O si lavora pazientemente e tenacemente per rinnovare in profondità la politica classica, oppure si abbandona questa politica e si sceglie decisamente quella online. Dico subito che continuo (spes contra spem) a nutrire una qualche residua fiducia nella prima, tanto più se riesce ad acquisire e a far fruttare il meglio che la seconda (quella online) propone. Ma affidarsi, come tanti sono intenzionati a fare, ad una piattaforma digitale, investendo interamente in essa le proprie risorse, mi sembra una follia. E mi spiego. La politica online tende - come dice ancora Favia - a “una democrazia liquida dove i cittadini possano decidere continuamente”. Ma quest’ultima, anche se regolata da criteri democratici, oltre ad apparire come un oggetto misterioso - qualcosa di esoterico, che sostituisce all’autorità del Capo la sovranità della Macchina Intelligente – finisce col cancellare totalmente il corpo. In altre parole, la politica digitale si fonda su una moltitudine di individui, isolati ciascuno nella propria postazione, sempre connessi e sempre irrimediabilmente soli. E davvero solitaria è questa nuova forma di “militanza”, vissuta interamente dentro la dimensione del proprio PC: la sola compagnia, e la sola compagnia politica, rischia di essere il nostro volto riflesso sullo schermo.
l'Unità 19 settembre 2012