Sacralità
 
Perché nell’epoca delle passioni tristi i funerali non religiosi rinvigoriscono la socialità
 
Luigi Manconi
A noi cazzari può capitare, per una singolare alienazione del carattere, di appassionarci a eventi e riti tetri. Per esempio il senso e il cerimoniale del tempo e del luogo dove si piange la morte. Tutto ebbe inizio, per me, molti anni fa. Ero poco più che piccino quando mi capitò di leggere, grazie al suggerimento di Goffredo Fofi, un "dialogo sulla morte" tra Ernesto De Martino e Cesare Cases, pubblicato su un antico numero di Quaderni Piacentini. Un testo formidabile. 
Circa un decennio dopo accompagnai Elsa Morante al funerale di un amico, Paolo Scabello, amatissimo dalla scrittrice, che mi incaricò di leggere pubblicamente le parole da lei dedicategli. Successivamente, e spesso in occasione di morti tragiche per mano di fascisti o di membri delle forze di polizia, ho partecipato a riti che avevano un'intensa tonalità politica, e talvolta vi ho pronunciato quelle che, in altre epoche e sedi e dette da altri, sarebbero state orazioni funebri. Me ne deriva tutt'ora una grande attenzione, spesso commossa, per quelle manifestazioni di dolore corale e di mobilitazione collettiva che sono diventati, e da decenni ormai, molti funerali. È qualcosa che riguarda - seppure con modalità assai diverse - riti tra loro lontani come le esequie di Franca Rame e quelle di Don Puglisi, quelle di Don Gallo e quelle di Little Tony. A proposito di quelle dei due sacerdoti, così ha scritto Gian Enrico Rusconi, sulla Stampa del 26 maggio scorso: "Il rapporto con la morte e quindi il rito del funerale sta diventando uno dei luoghi privilegiati dell’ espressione pubblico-mediatica della Chiesa". E poi: la Chiesa "riesce a offrire uno spazio pubblico che mantiene l’ultimo vestigio di sacralità".
 
Tutto giusto e si tornerà presto sull'argomento, proprio con riferimento alla Chiesa cattolica. Ma qui, intanto, voglio evidenziare come quella "sacralità", evocata da Rusconi, è qualcosa che trova il suo fondamento trascendente e la sua ispirazione escatologica e "divina" (questa la radice etimologica più accreditata) in una dimensione che non rimanda necessariamente alla sfera religiosa. Il sacro che si esprime in quei riti è, piuttosto, un insieme di valori essenziali e primari che si riassumono nella tensione a un vincolo solidale particolarmente intenso, ancorché temporaneo, e nella proiezione verso aspettative comuni e mete condivise. Questo fa sì che la dimensione sacra possa avvertirsi con altrettanta forza emotiva nei funerali non religiosi. D'altra parte al di là del connotato di fede, l'elemento sacro di quelle cerimonie sembra discendere dal fatto che l'occasione sia un rito di memoria e commemorazione. Un rito  che vuole affermare la continuità della vita proprio come sfida alla finitezza, alla quale la persona morta ci richiama. Se quest'ultima, poi, evoca una dimensione collettiva - di natura politica o artistica - le esequie sembrano destinate a rinsaldare un legame di appartenenza a una comunità (quella dei militanti o dei fan) di cui si intende affermare, con la propria presenza, la durata nel tempo. Infine c'è da dire che la crisi economica generale ha prodotto nella vita dei singoli e delle collettività uno stato di stress e di depressione, che finisce fatalmente col determinare una sorta di malessere spirituale e di malinconia sociale. Insomma, è come se quei riti funebri volessero rappresentare altrettanti momenti di mobilitazione emotiva e di tensione sentimentale nell'epoca delle spinoziane passioni tristi. 
il Foglio 4 giugno 2013
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Commenti (2)
  • Anonimo
    "Nessuna passione spenta", per riprendere il titolo italiano di un libro di George Steiner sulla lettura. Sintomatico - a commento di questo intervento di Manconi sulla morte come continuità della vita, delle diverse chiese e camposanti laci che "mettono insieme" individui e folle errere a pare, mettere insieme, a pari, si dice in sardo per la gente che si raduna ai funerali) - che Steiner indichi nel "Giorno del giudizio" di Salvatore Satta uno dei capi d'opera del Novecento letterario e non solo. Il romanzo è uno stato dei fantasmi, Nuoro di un secolo fa, che sa 'e Manca, il cimitero, riporta in vita. Come racconto e come paradigma. Fanno riflettere, così come il pezzo di Manconi, sul fatto che in tanti altri funerali, cittadini e paesani, il brusio, la chiacchera, diventino sempre più stridenti e fitti, una assoluta mancanza di rispetto, una violazione del sacro che profanano la memoria e il divenire delle storie. Ci sarebbe bisogno di silenzio. Invece ap...
  • Anonimo
    Mi ero dimenticato di firmare: Natalino Piras
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