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"Regina Coeli, quel detenuto rischia di morire"

L´ex sottosegretario alla Giustizia "Deve essere curato in un centro specializzato"

MARINO BISSO
CARLO PICOZZA
Un detenuto bisognoso di trasfusioni, rischia di morire perché, essendo testimone di Geova, rifiuta quel tipo di trattamento, in ragione della propria fede. La cura alternativa, pure praticabile a Roma - denuncia Luigi Manconi, presidente dell´associazione "A buon diritto", già sottosegretario alla Giustizia -, rischia di essere irraggiungibile perché in corsia sembra esserci il tutto esaurito, complice il contingentamento dei letti per l´influenza A.
«La motivazione», per Manconi, «appare poco credibile: sembra nascondere, piuttosto, un comportamento discriminatorio nei confronti di chi si trova privato della libertà». Il paziente-detenuto è affetto da un´ulcera al retto, che provoca «consistenti perdite di sangue». «Ed è costretto a restare nella medicheria di Regina Coeli», dice Manconi che lancia un allarme: «Potrebbe morire proprio per l´impossibilità di essere ricoverato in un ospedale cittadino, dove ricevere un trattamento, diverso dalla trasfusione, capace di assicurargli l´innalzamento dei valori ematici».
«Se il paziente ha perso molto sangue», spiega Giancarlo Isacchi, ordinario di Immunoematologia a Tor Vergata, «il carcere, certamente, non è il luogo più adatto per curarlo: esistono centri dove un paziente anemico che non abbia bisogno di un intervento chirurgico, può recuperare globuli rossi attraverso la somministrazione di farmaci capaci di favorire la sintesi di emoglobina, contrastando l´anemia. Un trattamento di questo tipo può essere eseguito in ogni centro adeguatamente attrezzato».
«Se invece il paziente testimone di Geova avesse bisogno di un intervento chirurgico», continua Isacchi, «questo può essere eseguito, attraverso il recupero del suo sangue durante l´operazione. In questo caso occorre avvalersi di centri idonei che a Roma, fortunatamente, sono presenti quasi in tutti gli ospedali». «Consiglierei ai dirigenti del carcere», indica Isacchi, «di chiedere una consulenza di un ematologo e di rivolgersi, se non lo hanno ancora fatto, a uno dei numerosi reparti specialistici presenti a Roma».
«Per fortuna, oggi», aggiunge, «a un paziente testimone di Geova è possibile garantire un buon risultato in un intervento chirurgico anche complesso, pure in presenza di livelli bassi di emoglobina e senza ricorrere alla trasfusione di sangue».
«Un problema ben più complesso», ancora Isacchi, «si presenterebbe per i pazienti con anemie congenite, come la talassemia: si tratta di patologie per le quali la trasfusione è l´unica terapia salvavita».

La Repubblica 13 novembre 2009
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