Trash e politica
Luigi Manconi
Politicamente correttissimo
Se, come sostiene Tommaso Labranca, il trash è un caso di emulazione fallita, “ultimo tango a Zagarolo” è un’originale prova di spirito comico, mentre Breathless (con Richard Gere e Valerie Kaprisky) è la parodia trash di A Bout de Souffle di Jean Luc Godard.
Viene in mente questa associazione nel sentire ancora riproporre – e nel sol leone di agosto - la comparazione tra gaullismo e berlusconismo:  basterebbe scorrere qualche testo (che so? un paragrafetto di Luciano Cavalli) per rendersi conto che il secondo, è, al più, un purissimo esemplare di trash-gaullismo. Certo, Silvio Berlusconi ha carisma, ne ha a iosa, ne ha in quantità abnorme, ma - nella letteratura scientifica sui capi carismatici - leader che promettano “la sconfitta del cancro entro tre anni”, o cose del genere, si ritrovano solo nei capitoli dedicati ai regimi teocratico-sciamanici dei Caraibi o ai sistemi del dispotismo asiatico o alle comunità magico-tribali dell’Africa profonda. Ma, detto questo, va ricordato che il trash è un segno dei tempi, e non deve stupire che le ultime settimane abbiano rilanciato la discussione pubblica intorno ai principi fondamentali dello stato di diritto, al garantismo “vero” o “falso” e alle sue versioni appunto trash. L’occasione è stata “il ferragosto in carcere” promossa dai Radicali italiani. Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, che pure ha apprezzato l’iniziativa ha fatto notare opportunamente che sarebbe necessaria maggiore coerenza, da parte di alcuni dei partecipanti, tra i valori conclamati e le scelte legislative concretamente attuate, dal momento che la condizione rovinosa delle nostre galere non è dovuta a un accidente della storia, bensì a scellerate strategie di politica criminale. Leoluca Orlando ha polemizzato contro la “partecipazione provocatoria” di Nicola Cosentino e di Marcello Dell’Utri, in quanto i due esponenti del Pdl “in virtù della loro impunità politica e di leggi ad personam  non hanno conosciuto e non conosceranno mai il carcere”. Per la verità, come è noto, Dell’Utri, il carcere l’ha già conosciuto e, in ogni caso, si tratta di una questione di buon gusto o di senso dell’opportunità, che ciascuno risolve secondo la propria sensibilità. Dunque, la questione delle garanzie si pone su tutt’altro piano ed è qui che la categoria di trash come emulazione fallita aiuta a fare chiarezza. Il garantismo viene utilizzato oggi dal Pdl come corpo contundente contro gli esponenti di Futuro e Libertà, che sarebbero preda di una sorta di ossessione giustizialista tale da renderli estranei a quei principi liberali che costituirebbero – dicono Maurizio Gasparri e Fabrizio Cicchitto – “il nostro dna”. A parte il fatto che non se ne può più di sentir ripetere “il nostro dna” qua e “il nostro dna” là, la questione del garantismo è effettivamente dirimente, ma proprio nella sua rigorosa e irriducibile assolutezza. Ha gioco facile, il Pdl, a irridere la frase di Gianfranco Fini: “chi è indagato si deve dimettere”, ricordando come questa regola non venne fatta valere per Italo Bocchino, ma qui siamo ancora dentro una logica tutta ed esclusivamente autoreferenziale. Le garanzie, va da sé, devono valere parimenti per finiani e anti-finiani, per la sinistra e per la destra: e devono valere in base a il principio di eguaglianza sancito dalla Costituzione, “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Dunque – è chiaro come il sole – quelle garanzie devono valere per tossicomani e disadattati, per stranieri e infermi di mente, per recidivi e poveri cristi. Ebbene per tutti questi non valgono affatto. Pertanto non mi scandalizzo se Dell’Utri e Cosentino visitano le carceri: semmai, è sconfortante che siano così pochi gli esponenti del centro destra che vogliano assolvere a questo che è un dovere, oltre che un diritto. Ma, nel farlo, non stanno esprimendo alcuna vocazione garantista, così come non la stanno esprimendo Leoluca Orlando e altri esponenti del centro sinistra così frequentemente tentati dal giustizialismo. Quella vocazione la si verifica altrimenti. Ad esempio, nell’impedire che oltre un terzo della popolazione detenuta continui ad essere costituita da persone in attesa di giudizio e che migliaia e migliaia di altre si trovino in carcere in ragione della loro condizione esistenziale, perché immigrati irregolari o tossicomani cronici o pazzi o “socialmente pericolosi”. Il che rappresenta un vero e proprio oltraggio per quel principio liberale – quello che dovrebbe costituire “il nostro dna” – che pone l’offensività (la lesione di un bene giuridicamente protetto) come condizione perché vi sia reato. Questo, sì, è un ottimo test di garantismo messo alla prova dei fatti, di garantismo insieme assoluto e concreto. L’altro, quello che ricorre all’evocazione dei principi dello stato liberale al solo fine di tutelare l’onorabilità di uno che, come Cosentino, non è capace di tutelarsela da solo, non è garantismo. È, appunto, garantismo trash. Un caso di emulazione fallita, come La mandrakata del 2002 rispetto all’originale Febbre da Cavallo di Steno.
il Foglio 18 agosto 2010
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