Colpito quando era inerme. A Milano polizia sotto accusa
Luigi Manconi
l'Unità 20 aprile 2012
Non è, certo, una buona notizia la conferma, da parte di una Procura, del fatto che un cittadino incolpevole e inerme sia stato “percosso ripetutamente anche con l’uso di corpi contundenti quando era già immobilizzato a terra e non era in grado di reagire ed invocava aiuto”.
Non è, certo, una buona notizia, tanto più che gli autori di quelle percosse che provocarono la morte di Michele Ferrulli il 30 giugno del 2011 sono quattro agenti della polizia di Stato. E tuttavia – vedete come siamo ridotti – dobbiamo in qualche modo rallegrarcene perché, se non altro, una vicenda che sembrava destinata all’oblio, e che non è  così anomala e così rara, oggi ha qualche possibilità in più di venire indagata in profondità. Non così anomala e così rara, si diceva, perché una teoria assai lunga e ininterrotta di episodi simili costella, e spesso insanguina, la vita quotidiana, specie quella urbana e quella delle metropoli, in particolare. Fermi e arresti immotivati o scarsamente motivati o comunque sproporzionati rispetto all’entità delle circostanze; uso sbrigativo e talvolta brutale dei mezzi di contenimento e di coercizione; rapido mutamento di una procedura di controllo in un’azione violenta di repressione. Questa scansione si ripete con frequenza nel corso delle attività di vigilanza sul territorio e di identificazione dei soggetti considerati “pericolosi” da parte delle forze dell’ordine, agevolata dalla facilità con la quale ogni richiesta di spiegazioni e ogni affermazione dei propri diritti si trasformano, in un attimo, nella fattispecie penale della “resistenza a pubblico ufficiale”. Dietro le vocazioni di questo reato, dalla configurazione incerta,  si consuma, una sequela di piccole e grandi ingiustizie, che trasformano la vittima, anche quando inequivocabilmente tale, in aggressore (del “pubblico ufficiale” che ne esegue l’arresto). Ora, il provvedimento della Procura di Milano fa sperare che si possa procedere verso l’accertamento della verità dei fatti di quel 30 giugno del 2011. Questo si deve, in particolare, alla tenace determinazione della giovane figlia di Michele Ferrulli, Domenica, che sin dal primo momento si è battuta perché la morte del padre non venisse archiviata nell’anonimato delle cronache della periferia milanese; e ai legali della famiglia, Fabio Anselmo e Alessandra Pisa. Questi ultimi stanno svolgendo una preziosa attività di tutela delle vittime, che ha portato finalmente a risultati assai positivi – pur se provvisori – nelle vicende giudiziarie relative a Stefano Cucchi, Giuseppe Uva e Aldo Bianzino. Anche per loro, si può dire quanto prima affermato: storie crudeli che costantemente rischiano di precipitare nel buco nero della smemoratezza collettiva o in quello degli archivi giudiziari e che – tutte e tre – nelle ultime settimane hanno conosciuto positive novità. Qualche buona notizia nel tragico bollettino delle notizie pessime.
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Commenti (1)
  • giuseppina seddone  - ma le esperienze non insegnano?
    Sono esterreffata e mi sembra incomprensibile che quelli che ormai metaforicamente chiamo situazioni "My Lai" persistono con grandi coperture della Ragion di Stato. Le violenze sono inaccettabili, vanno denunciate sempre proponendo una formazione permanente a chi non ha capito che la violenza sulla vita umana ha un valore che non si può risarcire con niente
    Dasuti
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