Carne tremula
Luigi Manconi

Politicamente correttissimo
Nell’atteggiamento della chiesa cattolica a proposito della pedofilia, si coglie un tratto psicologico e culturale che merita attenzione. In sintesi, sembra prevalere la sindrome dell’assedio e una reattività tutta difensiva, che rischia di occultare quello che è il nodo cruciale e dolente dell’intera vicenda.
E, allora, preliminarmente va detto che: a) Benedetto XVI non c’entra in alcun modo; b) la pedofilia non è prerogativa esclusiva della chiesa cattolica, ma riguarda l’intera società e pressoché tutte le sue istituzioni e le sue religioni (e anche, sì, quei “quindicenni imbarcati come mozzi nelle infinite navi di ogni bandiera che solcano i mari”, come ha scritto Salgari-Messori); c) il celibato dei sacerdoti non è la sola causa (e forse nemmeno quella principale). E tuttavia tra il celibato dei preti (e la misoginia) e gli abusi nei confronti di minori una qualche relazione indubbiamente c’è. La chiesa sembra non volerlo considerare, quasi che il celibato fosse un dogma intangibile e non una norma (recentissima nella storia della chiesa), solo parzialmente condivisa – per dirne una - dalle stesse chiese cattoliche d’Oriente. Da qui un drammatico paradosso: la scelta celibataria, certamente significativa, finisce col diventare quella dirimente. Sul tema, è  interessante notare – lo dico con innocente allegria – che la posizione più vigorosamente infervorata è quella di un non credente e (mi permetto di presumere: e dica lui, se vuole) di un non illibato come Giuliano Ferrara (il Foglio di ieri). Qui la sindrome dell’assedio diventa ansia paranoica: la chiesa sarebbe “da molti anni l’obiettivo di una vasta, forte, sistematica campagna di diffamazione e di colpevolizzazione che ha un solo obiettivo: scardinare la tradizione e la dottrina, demolire il sacro e il suo recinto”. Eeeeh la Madonna: se non siamo al “complotto demo-pluto-giudaico”, poco ci manca. Io non mi intendo di queste cose e figuriamoci se posso escludere interventi di lobbies e gruppi politico-affaristici. Ma penso che quella “campagna” altro non sia che l’inevitabile conseguenza degli sconvolgimenti conosciuti dal  senso comune negli ultimi decenni: ed è questo che produce conflitti asperrimi tra visioni del mondo alternative. La chiesa, giustamente, afferma la propria visione e soffre quando essa viene travisata e diffamata, ma – va ricordato – è quanto fa, a sua volta, nei confronti di opposte concezioni antropologiche. Non siamo in presenza pertanto di un conflitto religioso o di una controversia teologica. Ai sacerdoti, infatti, non si rimprovera il celibato – anche quando lo si consideri un elemento di debolezza - bensì il fatto che esso non li renda immuni dalla tentazione e dalla pratica dell’abuso sessuale, e forse lo incentivi. Insomma, non è in discussione la castità, bensì il fatto che la fragilità di quella virtù possa produrre effetti tragici, nel tormento di chi si senta attratto dalla pedofilia e nella sofferenza di chi ne diventi vittima. Infine, Ferrara insiste su un suo life motive: la “pretesa laicista” di “igienizzare” il sesso e renderlo “sicuro”, di amministrarlo oculatamente e di tradurlo in un rilassante esercizio “ginnastico”. Ma seppure tutto ciò fosse vero, saremmo nel campo di una opportuna profilassi, decisamente indispensabile, ma che non pretende in alcun modo di esaurire tutto lo spessore profondo e complesso della sessualità umana come identità ed esperienza. Il problema vero è che la chiesa ha totalmente obliterato la questione della profilassi (contraccezione, depenalizzazione dell’aborto, coniugalità non riproduttiva,  matrimonio dei sacerdoti…) e ha esaltato l’illibatezza come virtù identitaria. Quando quest’ultima si è rivelata più gracile del previsto si è corso ai ripari. Ma non va dimenticato che si parla solo adesso di episodi avvenuti da cinquanta anni a questa parte, e certamente già accaduti in precedenza; e che la prima preoccupazione della chiesa è stata, nel corso di questo mezzo secolo, quella di occultare e, poi, ridimensionare. Il solo altro strumento di “riforma” cui la chiesa sembra voler ricorrere è quello detto della formazione. Ma se quella strategia è risultata così inefficace nel passato, perché mai dovrebbe rivelarsi più adeguata oggi, quando l’aspirante sacerdote è certamente più debole? Tanto più perché esposto a un “secolo” e a un mondo dove sembra dominare “l’ideale giovanile di sisley, dolce&gabbana, Calvin Klein: i suoi modelli sono la danza di stupro con la ragazzina distesa e il machismo del branco che le si rannuvola d’intorno, o le patte gonfie delle mutande adolescenti”. Scusi, direttore, ma allora è lei che la butta in politica: e quella foia patologica e quel priapismo incontinente, che inturgida la biancheria intima e scatena le tempeste ormonali a ogni età, che invade la scena pubblica e i consumi culturali non ha forse una qualche relazione col cosiddetto “berlusconismo”, inteso come movimento ideologico? Il berlusconismo non ne è certo il primo responsabile, ma ne è – al di là di ogni dubbio – il racconto che lo legittima e lo esalta.
Il Foglio 16 marzo 2010
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