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I cattolici appoggeranno Emma Bonino
Luigi Manconi
E se, contrariamente a quanto vogliono i più pigri luoghi comuni, una delle principali risorse di cui può disporre Emma Bonino “fosse proprio il voto dei cattolici”? Da giorni,  cattolici ardenti e laici autolesionisti, analisti senza fantasia e lobbies clericali si affannano a dire che la scelta della Bonino accelererebbe la “deriva laicista” del Pd. Eppure, da almeno 35 anni si sa che la definizione omnicomprensiva di “mondo-cattolico” non regge: non uno, ma molti sono i mondi all’interno dello stesso cattolicesimo italiano. E, dunque, molte le forme della fede e della pratica religiosa, tante e articolate le scelte di vita e le appartenenze, differenti fino alla più radicale contrapposizione le modalità della partecipazione pubblica e le opzioni di voto. È quella che viene definita “la fine dell’unità politica dei cattolici”. Pertanto, hanno buon gioco i Radicali, ad argomentare che, da decenni, una parte rilevante del voto dei cattolici sostiene le loro battaglie: non si spiegherebbero altrimenti i risultati dei referendum su divorzio e aborto. È un argomento decisivo, il cui significato va ben oltre l’epoca di quei referendum (1974 - 1981). È vero che, da allora, alcune fratture all’interno del cattolicesimo italiano, e tra credenti e gerarchie, si sono ricomposte, che “il dissenso” dei cattolici “di base”, ha abbassato i toni e si è come acquietato, ma è altrettanto vero che lo “scisma sommerso”, di cui ha scritto Pietro Prini, si è diffuso e sedimentato, senza insorgenze dirompenti ma anche senza abiure chiassose. In quel libro, il filosofo cattolico parlava, appunto, del divario profondo, apertosi tra la dottrina ufficiale e le coscienze e i comportamenti dei fedeli. Una delle conseguenze di quel divario è l’autonomia delle scelte politiche, che vengono formulate in base a considerazioni che sempre meno hanno a che vedere con le opzioni di fede. Tale processo non riguarda solo i semplici credenti, ma coinvolge anche una parte delle gerarchie, quelle che sono meno inclini ad assumere posizioni pubbliche. Tutto ciò, in genere, viene classificato come secolarizzazione: ovvero la tendenza ad adottare comportamenti e modelli di vita immanenti, non derivati da dogmi di fede o da morali sovradeterminate. Ma il termine secolarizzazione è oggi inadeguato perché si limita a dichiarare solo ciò che non è. E invece l’attuale realtà sociale è più fertile e ricca, attraversata da una pluralità di sistemi di valori che aspirano, tutti, a una propria fondazione morale. Per capirci: la posizione dei Radicali sulle questioni di fine vita non può essere definita in alcun modo come amorale, quasi fosse l’esito ultimo di una secolarizzazione che avrebbe escluso qualsiasi considerazione etica nell’elaborazione delle proprie concezioni. Al contrario: le politiche sulle questioni di fine vita, ma anche lo stesso antiproibizionismo, sono il frutto di una riflessione morale che pone al centro l’integrità della persona umana, la sua unicità e irripetibilità, la sua dignità e, dunque, i suoi diritti. Il recente impegno dei Radicali sull’immigrazione, dove l’incontro con la pastorale della Chiesa appare naturale, è lo sbocco di un percorso che vede il garantismo iniziale, perfino troppo freddo,
farsi via via più  intenso, incarnandosi nella concreta  e dolente materialità dei corpi migranti (come in quella dei corpi reclusi). Se ciò  è vero, l’antropologia radicale rivela profondi punti di contatto con l’antropologia cristiana, anch’essa fondata sui concetti di dignità e integrità della persona. Poi, certo, le conseguenze politiche possono essere divergenti, ma resta una ineludibile necessità di interlocuzione. In altre parole, le controversie etiche finiscono con l’avvicinare i  cattolici (e anche le gerarchie) ai Radicali più di quanto li avvicinino ai titolari di una concezione agnostica e amorale della vita. L’”anarchia dei valori” rivendicata da Silvio Berlusconi può risultare comoda per il Vaticano solo perché inserita in un sistema di rapporti dove dominano interessi corposi e scelte pragmatiche, scambi in solido e mutuo soccorso. Ma quando le questioni sciaguratamente definite “eticamente sensibili” si rivelano per quello che realmente sono (diritti sociali  e diritti civili), e richiamano esperienze e sofferenze, le politiche che tutelano le libertà fondamentali di ognuno si rivelano le sole che muovono davvero il “popolo”, credente o non credente. Come, quel 24 dicembre 2006, a Roma, quando una folla popolare partecipò alla cerimonia funebre per Piergiorgio Welby, davanti alle porte chiuse della chiesa di San Giovanni Bosco, che non aveva accolto la sua salma.  
l'Unità del 15 gennaio 2010
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