In basso a destra
Il circolo di Ferrara, il mainstream corrente, la modestia, i fallimenti di una cultura minoritaria
Politicamente correttissimo
il Foglio 12 ottobre 2010
Luigi Manconi
Per antiche ragioni consuetudinarie, familiari e culturali, Giuliano Ferrara fa parte di un circolo esclusivo (“consumista, festivaliero, premiopoli e party continuo”), secondo le sue stesse parole sul Foglio del  4 U.S.  È un circolo dotato di una qualche residuale vitalità nonostante la Grande Crisi (ideologica): Ferrara ci si trova non troppo male, paga regolarmente le quote associative, partecipa ai pranzi sociali, litiga affettuosamente con gli altri soci. In quel circolo le culture e le ideologie, gli umori e i sentimenti prevalenti sono quelli – diciamo “progressisti” - che già furono di Ferrara quand’era piccino.
Oggi, invece,  egli è in piena sintonia con “il mainstream dell’ideologia corrente” nel vasto mondo. Ne è felice e ha un solo cruccio: ovvero che i rappresentanti più significativi di quel vasto mondo non possano accedere al suo club. Da tempo, pertanto, conduce una battaglia asperrima affinché Er Pomata, Pagnottella e Rottinculo – ovvero quella che definisce amorevolmente “la destra repellente” - siano ammessi tra i soci. Finora quell’impegno generoso non ha avuto successo e “la destra repellente” non sembra dolersene. Le spiegazioni possibili sono due:  Er Pomata, Pagnotella e Rottinculo  ritengono di essere moralmente e intellettualmente superiori ai membri di quel club (succede anche questo) oppure, più semplicemente, che non conti un fico secco farne parte. Palesemente, Ferrara condivide in qualche misura la prima motivazione, ma rifiuta in toto la seconda. Ed è proprio qui che l’analisi di Ferrara mostra la corda.  Quel circolo esclusivo  di cui egli è, pur riottosamente socio di minoranza, effettivamente ha un peso eseguissimo ed esercita appena una qualche influenza (ma nulla ha a che fare con l’egemonia) sul “ceto medio riflessivo”. Ma, per quanto riguarda l’opinione pubblica e il senso comune, vale poco o niente. In altri termini, il paradosso è il seguente: Ferrara (e Er Pomata, Pagnottella, Rottinculo e la destra repellente) ha vinto da decenni sul piano  della mentalità corrente – e, di conseguenza, su quello del voto  popolare – ma sembra stizzosamente non rendersene conto perché i soci del suo club non gliene danno atto pubblicamente sul Sole24Ore e nei corsi della Scuola Holden, negli articoli di Pietro Citati e di Claudio Magris e nelle lectio magistralis alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Ferrara disprezza, o perlomeno a in uggia, tutto questo ma non riesce a farne a meno.  E attribuisce alla censura di sinistra (come forma estrema di egemonia) il “disprezzo pubblico” che circonderebbe la destra. E se invece quel “disprezzo” fosse l’esito, non di un’interdizione morale, bensì del fatto che quella stessa destra – oltre che umori e rancori, pulsioni e rivendicazioni non ha affatto prodotto tutto quel bendidio che il Foglio generosamente gli attribuisce? Dove sono, infatti, le “migliori idee venute dalla destra liberista e libertaria”? Sarà un caso, ma nell’articolo di Ferrara non è citato un solo autore (nemmeno uno), italiano o straniero, al quale attribuire quelle “migliori idee”.  Non che non vi  siano, sia chiaro, ma come mai è così difficile che vengano alla mente? Se, poi, ci si limitasse al solo panorama italiano recente, più che di povertà, si dovrebbe parlare di penuria assoluta. Insomma, in estrema sintesi il paesaggio nazionale presenta tre elementi essenziali: a-  un circolo esclusivo che non conta alcunché se non in nicchie ridotte e scarsamente influenti (giornali, case editrici, alcune facoltà universitarie…) e che produce idee mediamente modeste, ma si arrabatta e ci da dentro; b- un senso comune, dove prevalgono opzioni e sentimenti definibili tecnicamente “reazionari” (xenofobi, autoritari, anti egualitari…) e dove sopravvive a stento una gracile cultura tecnicamente “di sinistra”; c-  una destra che raccoglie estesi consensi elettorali (beata lei), ma che si rivela incapace – a parte rarissime eccezioni – di tradurre quei consensi, e ciò che li motiva, in elaborazione razionale e produzione intellettuale (ma anche artistica e letteraria). Ancora con riferimento al paesaggio italiano più recente, mi limito a due esempi. La riflessione più acuta della destra in materia di polizia internazionale e lotta al terrorismo è quella sgangherata del ministro della Difesa, Ignazio “Sun Tzu” La Russa, che propone di dare “le bombe ai bombardieri”. Hai detto un prospero. Altro esempio. Il Foglio esalta “i cultori severi dell'ermeneutica della continuità, (…), i cristiani che non temono, non offendono, non rigettano la tradizione”. Notazione condivisibile a patto di non volerla trasferire sul piano dell’attualità culturale e politica. Perché qui, dopo la scomparsa di Don Gianni Baget Bozzo, ciò che passa il convento è Monsignor Rino Fisichella, l’Arcivescovo più chic che vi sia. Quest’ultimo, più che cappellano di Montecitorio (definizione già impropria), sembra esserlo del circolo canottieri Lazio: e ciò aiuterebbe a spiegare quella dotta dissertazione, venata perfino di qualche ispirazione teologica, sul “contesto” in cui collocare la devota bestemmia di Silvio Belusconi.  A proposito di “ermeneutica”.
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