Il partito dei senza valori
Luigi Manconi
Ormai quasi nessuno più lo ricorda, ma ci fu un tempo in cui anche Pietro Mennea fu “dipietrista”.                  L’uomo che, per diciassette anni, detenne il record del mondo sui 200 metri, persona così intelligente da essere uno dei rarissimi che non si sono acconciati a fare le telecronache delle imprese sportive altrui, fu europarlamentare  dal 1999 al 2004. Eletto nella lista dell’Italia dei Valori, passò ben presto a quella di Forza Italia. È di una qualche utilità ricordarlo oggi perché, mentre le cronache parlano delle molte e spesso efferate peripezie giudiziarie dell’Idv, va sottolineato un connotato, forse ancora più significativo, della natura di quel partito. Insomma, prima ancora delle malefatte per le quali alcuni suoi esponenti sono indagati, di quello strano agglomerato rappresentato dall’Italia dei Valori, è altro che colpisce: la sua, come dire, volatilità. Il fenomeno che troppo bonariamente viene definito “cambio di casacca” e che costituisce un  male endemico del nostro parlamento, deve molto alla straordinaria capacità degli eletti nelle liste dell’Idv di congedarsi, con rapidità spesso fulminea, dal partito d’origine per passare ad altri che offrono maggiori comodità (traducete come meglio vi pare quel “comodità”). Interi gruppi, a livello di parlamento europeo ma anche di consiglio comunale, si sono sfaldati in pochi mesi, producendo esodi che assomigliavano, più che a faticosi percorsi di liberazione, a scomposte corse verso il carro dei vincitori. Instabili maggioranze di centro-sinistra sono state messe a repentaglio e infine travolte dall’intelligenza col nemico e, poi, dal passaggio di fronte di esponenti dell’Italia dei Valori che scoprivano  inopinatamente che il loro posto era “altrove”. Sergio De Gregorio e  Domenico Scilipoti sono solo gli eroi eponimi – alla lettera: che danno il nome al fenomeno- di un flusso incessante e nevrotico da un partito all’altro, da una coalizione a una lobby, da un gruppo di interesse a una ventura individuale, sempre all’insegna di quel “movimiento movimiento”, che fu lo slogan filosofico-pallonaro di Helenio Herrera. Negli anni ’70 e ’80 un esponente delle Democrazia Cristiana, tutt’ora in attività e in ottima forma, venne soprannominato Tarzan, per la sua abilità nel saltare da una corrente di partito all’altra. Oggi, il suo, appare come un ingenuo e  quasi dilettantesco esercizio di duttilità politica, se confrontato con gli spericolati equilibrismi  e le audaci performance – fino a “un salto mortale e mezzo rovesciato con tre avvitamenti e mezzo, in posizione libera”, da piattaforma olimpica – di molti degli attuali transfughi. E, tra quest’ultimi, gli uomini dell’Idv offrono un repertorio cangiante di scorribande e tradimenti,di uscite laterali e di fughe attraverso porte girevoli. Se a ciò si aggiungono quei congedi da Di Pietro motivati da ragioni politiche (furiose le liti con Elio Veltri, Achille Occhetto e Giulietto Chiesa), ma che pure rivelano conflitti di natura economica, si avrà il quadro di un partito dove tutto appare labile ed evanescente. E dove proprio le erraticità dei confini e la fragilità delle forme organizzative agevolano, non solo la “sindrome da Grand Hotel” (Gente che viene , gente che va), ma anche la costituzione, sotto la superficie declamatoria dell’azione pubblica,  di interessi, anche patrimoniali, di singoli e di piccoli gruppi. Da qui le numerose disavventure giudiziarie, non solo recenti. L’elenco degli indagati, ma anche dei condannati, presenti nelle liste di Di Pietro o da quest’ultimo appoggiati nel corso di elezioni (spesso locali), è impressionante. Chi crede inflessibilmente nel principio di non colpevolezza fino a condanna definitiva, può resistere a pie’ fermo, ma certo resta turbato nel leggere il curriculum di uno come Riccardo Leone, candidato nel 2004 alle comunali di Foggia. E la cosa non può essere liquidata come un caso periferico o un accidente del destino, perché sono decine le vicende simili: e soprattutto perché quel Vincenzo Salvatore Maruccio, arrestato l’altro ieri, oltre ad essere capogruppo e segretario  regionale  dell’Idv, é anche avvocato di Di Pietro e socio di Sergio Scicchitano, indagato per false fatturazioni, e titolare dello studio presso il quale l’ex pubblico ministero ha il domicilio professionale.  Ma cosa c’è dietro questa inaudita impostura, che ha portato il partito della Legalità e della Moralità a coltivare tanta illegalità e tanta immoralità? C’è, io credo, un paradosso sommamente istruttivo. L’Italia dei Valori è un partito senza storia e senza memoria, senza una cultura e senza un’ideologia, totalmente estraneo non solo rispetto alle grandi famiglie politiche europee (cristianodemocratici e socialisti, liberali e ambientalisti), ma anche a qualunque identità riconoscibile, fatta di valori stabili e riferimenti ideali.
Il programma politico e  il messaggio pubblico dell’Idv si riducono alla lotta contro la corruzione e per la legalità. Ma ciò, se non rimanda a un’esperienza storica e a un progetto futuro, a modelli sociali e a obiettivi definiti, è destinato fatalmente  a restare mera agitazione. Se la lotta contro la corruzione e per la legalità non ha memoria di passati avversari e di recenti alleati, se non si traduce in un’idea sia pure pragmatica  e circoscritta della società e del suo funzionamento, e se non fa riferimento a principi riconoscibili (eguaglianza  e libertà, ma potrebbero essere merito e selezione o  altri ancora), rimane un urlo. In una fase di forte tensione parlamentare, nel momento dello scontro più acceso con Silvio Berlusconi, Di Pietro, per enfatizzare la propria opposizione all’allora Premier, gli si rivolse così: “Lei è lo stupratore della democrazia”. Grandi consensi, e qualche gridolino entusiasta, sul web, ma in realtà si trattava di una disperata dichiarazione di impotenza. Alla forza residuale ma ancora vischiosa di Berlusconi, Di Pietro opponeva un urlo sempre più roco, un alzare il volume nella ricerca esasperata della tonalità più acuta e dell’accusa che si voleva più feroce. Insomma, un partito nato come re-azione all’oltraggiosa impunità di parte del ceto politico, non è stato capace di dotarsi di una cultura e di un programma, ed è rimasto riflesso condizionato  e gesto di autodifesa. Proprio per questo, per il suo essere mera gestualità e puro vocio, risulta ancora più vulnerabile: e permeabile alle incursioni degli opportunisti e dei malfattori. A ciò si aggiunga che l’Idv è partito iper-personale. Il suo gruppo dirigente è assai più ridotto di quello di tutti gli altri partiti presenti in parlamento e, più di questi, totalmente etero-diretto dal Capo. Sta qui una ulteriore ragione di quella che appare una crisi irreversibile. Un partito, come si è detto, senza memoria e senza cultura politica, tutto concentrato sul carisma, oggi in declino, del leader, privo di qualunque forma di democrazia interna, e destinato, inevitabilmente, a diventare una lobby tra le altre.
il Messaggero 12 ottobre 2012
Il partito dei senza valori
Luigi Manconi
Ormai quasi nessuno più lo ricorda, ma ci fu un tempo in cui anche Pietro Mennea fu “dipietrista”.                  L’uomo che, per diciassette anni, detenne il record del mondo sui 200 metri, persona così intelligente da essere uno dei rarissimi che non si sono acconciati a fare le telecronache delle imprese sportive altrui, fu europarlamentare  dal 1999 al 2004. Eletto nella lista dell’Italia dei Valori, passò ben presto a quella di Forza Italia.
È di una qualche utilità ricordarlo oggi perché, mentre le cronache parlano delle molte e spesso efferate peripezie giudiziarie dell’Idv, va sottolineato un connotato, forse ancora più significativo, della natura di quel partito. Insomma, prima ancora delle malefatte per le quali alcuni suoi esponenti sono indagati, di quello strano agglomerato rappresentato dall’Italia dei Valori, è altro che colpisce: la sua, come dire, volatilità. Il fenomeno che troppo bonariamente viene definito “cambio di casacca” e che costituisce un  male endemico del nostro parlamento, deve molto alla straordinaria capacità degli eletti nelle liste dell’Idv di congedarsi, con rapidità spesso fulminea, dal partito d’origine per passare ad altri che offrono maggiori comodità (traducete come meglio vi pare quel “comodità”). Interi gruppi, a livello di parlamento europeo ma anche di consiglio comunale, si sono sfaldati in pochi mesi, producendo esodi che assomigliavano, più che a faticosi percorsi di liberazione, a scomposte corse verso il carro dei vincitori. Instabili maggioranze di centro-sinistra sono state messe a repentaglio e infine travolte dall’intelligenza col nemico e, poi, dal passaggio di fronte di esponenti dell’Italia dei Valori che scoprivano  inopinatamente che il loro posto era “altrove”. Sergio De Gregorio e  Domenico Scilipoti sono solo gli eroi eponimi – alla lettera: che danno il nome al fenomeno- di un flusso incessante e nevrotico da un partito all’altro, da una coalizione a una lobby, da un gruppo di interesse a una ventura individuale, sempre all’insegna di quel “movimiento movimiento”, che fu lo slogan filosofico-pallonaro di Helenio Herrera. Negli anni ’70 e ’80 un esponente delle Democrazia Cristiana, tutt’ora in attività e in ottima forma, venne soprannominato Tarzan, per la sua abilità nel saltare da una corrente di partito all’altra. Oggi, il suo, appare come un ingenuo e  quasi dilettantesco esercizio di duttilità politica, se confrontato con gli spericolati equilibrismi  e le audaci performance – fino a “un salto mortale e mezzo rovesciato con tre avvitamenti e mezzo, in posizione libera”, da piattaforma olimpica – di molti degli attuali transfughi. E, tra quest’ultimi, gli uomini dell’Idv offrono un repertorio cangiante di scorribande e tradimenti,di uscite laterali e di fughe attraverso porte girevoli. Se a ciò si aggiungono quei congedi da Di Pietro motivati da ragioni politiche (furiose le liti con Elio Veltri, Achille Occhetto e Giulietto Chiesa), ma che pure rivelano conflitti di natura economica, si avrà il quadro di un partito dove tutto appare labile ed evanescente. E dove proprio le erraticità dei confini e la fragilità delle forme organizzative agevolano, non solo la “sindrome da Grand Hotel” (Gente che viene , gente che va), ma anche la costituzione, sotto la superficie declamatoria dell’azione pubblica,  di interessi, anche patrimoniali, di singoli e di piccoli gruppi. Da qui le numerose disavventure giudiziarie, non solo recenti. L’elenco degli indagati, ma anche dei condannati, presenti nelle liste di Di Pietro o da quest’ultimo appoggiati nel corso di elezioni (spesso locali), è impressionante. Chi crede inflessibilmente nel principio di non colpevolezza fino a condanna definitiva, può resistere a pie’ fermo, ma certo resta turbato nel leggere il curriculum di uno come Riccardo Leone, candidato nel 2004 alle comunali di Foggia. E la cosa non può essere liquidata come un caso periferico o un accidente del destino, perché sono decine le vicende simili: e soprattutto perché quel Vincenzo Salvatore Maruccio, arrestato l’altro ieri, oltre ad essere capogruppo e segretario  regionale  dell’Idv, é anche avvocato di Di Pietro e socio di Sergio Scicchitano, indagato per false fatturazioni, e titolare dello studio presso il quale l’ex pubblico ministero ha il domicilio professionale.  Ma cosa c’è dietro questa inaudita impostura, che ha portato il partito della Legalità e della Moralità a coltivare tanta illegalità e tanta immoralità? C’è, io credo, un paradosso sommamente istruttivo. L’Italia dei Valori è un partito senza storia e senza memoria, senza una cultura e senza un’ideologia, totalmente estraneo non solo rispetto alle grandi famiglie politiche europee (cristianodemocratici e socialisti, liberali e ambientalisti), ma anche a qualunque identità riconoscibile, fatta di valori stabili e riferimenti ideali.
Il programma politico e  il messaggio pubblico dell’Idv si riducono alla lotta contro la corruzione e per la legalità. Ma ciò, se non rimanda a un’esperienza storica e a un progetto futuro, a modelli sociali e a obiettivi definiti, è destinato fatalmente  a restare mera agitazione. Se la lotta contro la corruzione e per la legalità non ha memoria di passati avversari e di recenti alleati, se non si traduce in un’idea sia pure pragmatica  e circoscritta della società e del suo funzionamento, e se non fa riferimento a principi riconoscibili (eguaglianza  e libertà, ma potrebbero essere merito e selezione o  altri ancora), rimane un urlo. In una fase di forte tensione parlamentare, nel momento dello scontro più acceso con Silvio Berlusconi, Di Pietro, per enfatizzare la propria opposizione all’allora Premier, gli si rivolse così: “Lei è lo stupratore della democrazia”. Grandi consensi, e qualche gridolino entusiasta, sul web, ma in realtà si trattava di una disperata dichiarazione di impotenza. Alla forza residuale ma ancora vischiosa di Berlusconi, Di Pietro opponeva un urlo sempre più roco, un alzare il volume nella ricerca esasperata della tonalità più acuta e dell’accusa che si voleva più feroce. Insomma, un partito nato come re-azione all’oltraggiosa impunità di parte del ceto politico, non è stato capace di dotarsi di una cultura e di un programma, ed è rimasto riflesso condizionato  e gesto di autodifesa. Proprio per questo, per il suo essere mera gestualità e puro vocio, risulta ancora più vulnerabile: e permeabile alle incursioni degli opportunisti e dei malfattori. A ciò si aggiunga che l’Idv è partito iper-personale. Il suo gruppo dirigente è assai più ridotto di quello di tutti gli altri partiti presenti in parlamento e, più di questi, totalmente etero-diretto dal Capo. Sta qui una ulteriore ragione di quella che appare una crisi irreversibile. Un partito, come si è detto, senza memoria e senza cultura politica, tutto concentrato sul carisma, oggi in declino, del leader, privo di qualunque forma di democrazia interna, e destinato, inevitabilmente, a diventare una lobby tra le altre.

il Messaggero 12 ottobre 2012
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