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Lavoro ai Fianchi
Il Big Bang dell'11 settembre
Luigi Manconi
“Il più grande spettacolo dopo il Big bang” (Jovanotti).
***
Sono passati giusto dieci anni da quell’11 settembre dopo il quale, si disse, nulla sarebbe stato più come prima. Con l’11 settembre è finita la fine del Novecento, quell’idea ottimistica della globalizzazione, ancora fiduciosa nel progresso umano, ed è iniziata un’altra storia, fatta di inquietudine e insicurezza. Ma l’11 settembre 2001 è stato innanzitutto una immane tragedia collettiva in cui hanno perso la vita, si stima, 2974 persone per una serie di atti voluti e perseguiti da una organizzazione criminale e da almeno diciannove persone morte insieme con le proprie vittime. Inevitabile che il “mai più come prima” trovasse nella lingua del diritto (e, in particolare, in quello del diritto penale) le prime forme di espressione, su cui ci fa oggi riflettere Federica Resta, in “11 settembre: attentato alle libertà?” (edizioni Dell’Asino).
Che un diritto fondamentale come l’habeas corpus potesse essere oggi fortemente limitato – e in alcuni casi anche negato - in ragione della nazionalità e del mero sospetto di avere commesso un reato, non sarebbe stato, fino a pochi anni fa, forse neanche immaginabile. Tanto meno l’universalità dell’habeas corpus avrebbe potuto essere messa in questione in un ordinamento, quale quello statunitense, che riconosce alla libertà personale la funzione di primo baluardo della democrazia. Sono, questi, solo alcuni esempi delle deroghe ai diritti fondamentali e agli stessi principi dello Stato di diritto che dall’11 settembre 2001 caratterizzano, in misura più o meno profonda, gli ordinamenti di Paesi a democrazia consolidata come quelli europei e, prima ancora, gli stessi Stati Uniti. Dove si è finito per costruire una vera e propria categoria di non-persone, gli unlawful enemy combatants, ricorrendo a una figura risalente addirittura al 1798 e riabilitata nei secoli successivi nei confronti di coloro che, di volta in volta, sono stati identificati come “nemici pubblici”. Minori sono le deroghe ai principi dello Stato di diritto ammesse dalla legislazione anti-terrorismo della maggior parte dei Paesi europei. E ciò anche grazie all’intervento delle Corti superiori, della Corte di giustizia e della Corte europea per i diritti umani, che hanno più volte ribadito la non comprimibilità di alcuni diritti fondamentali quali quello all’immunità dalla tortura e dal refoulement e le garanzie dell’equo processo. Ma anche l’approccio europeo al terrorismo presenta degli aspetti che non possono non preoccupare chi abbia a cuore i fondamentali principi del sistema democratico. Da un lato, infatti, le deroghe ammesse a questi principi non sono irrilevanti: si pensi soltanto alla legge tedesca sulla sicurezza aerea, che imponeva (prima dell’intervento della Corte costituzionale) l’abbattimento di aerei dirottati da terroristi per colpire obiettivi civili o militari, o all’estensione a 120 ore della durata del fermo d’indiziato in Spagna. Dall’altro lato, come rileva l’Federica Resta, l’approccio europeo al terrorismo – pur preferibile a quello statunitense - rischia di estendere le “deroghe ai principi essenziali del diritto penale e delle garanzie anche a settori diversi, individuati discrezionalmente dal legislatore sulla base di esigenze di sicurezza e contrasto all’allarme sociale prodotti da tali reati”. Ciò è avvenuto sia introducendo procedure nuove (come l’espulsione di stranieri senza convalida), sia talora recuperando istituti consolidatisi nella legislazione d’emergenza ed ampliandoli ben oltre il settore di riferimento.  A ben vedere, dunque, riflettere oggi - come fa questo importante libro della Resta - su tali tendenze del diritto significa interrogarsi sul limite oltre il quale nessuna esigenza di sicurezza può legittimare deroghe a libertà e diritti fondamentali senza mettere in discussione gli stessi principi costitutivi dello Stato di diritto. Perché, come afferma la Corte Suprema americana,  “la sicurezza consiste anche nella fedeltà ai fondamentali principi di libertà, tra cui, innanzitutto, la  libertà da arresti arbitrari e illegittimi e la libertà personale” (sentenza Boumediene, 2008). Parole sante. Insomma, la lezione più significativa che emerge da queste pagine è forse quella che ci chiama a osservare con disincanto una “filosofia della storia” considerata nel suo farsi quotidiano, quale esito non solo di dinamiche universali ma anche di conflitti sociali e politici: è una lezione che ci ammonisce a non considerare mai come irreversibile e acquisito definitivamente il progresso raggiunto e il grado di civiltà conquistato.  In realtà, anch’essi sono il risultato di un combattimento.
9 settembre 2011
Lavoro ai Fianchi
Il Big Bang dell'11 settembre
Luigi Manconi
“Il più grande spettacolo dopo il Big bang” (Jovanotti).
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Sono passati giusto dieci anni da quell’11 settembre dopo il quale, si disse, nulla sarebbe stato più come prima.
Con l’11 settembre è finita la fine del Novecento, quell’idea ottimistica della globalizzazione, ancora fiduciosa nel progresso umano, ed è iniziata un’altra storia, fatta di inquietudine e insicurezza. Ma l’11 settembre 2001 è stato innanzitutto una immane tragedia collettiva in cui hanno perso la vita, si stima, 2974 persone per una serie di atti voluti e perseguiti da una organizzazione criminale e da almeno diciannove persone morte insieme con le proprie vittime. Inevitabile che il “mai più come prima” trovasse nella lingua del diritto (e, in particolare, in quello del diritto penale) le prime forme di espressione, su cui ci fa oggi riflettere Federica Resta, in “11 settembre: attentato alle libertà?” (edizioni Dell’Asino).
Che un diritto fondamentale come l’habeas corpus potesse essere oggi fortemente limitato – e in alcuni casi anche negato - in ragione della nazionalità e del mero sospetto di avere commesso un reato, non sarebbe stato, fino a pochi anni fa, forse neanche immaginabile. Tanto meno l’universalità dell’habeas corpus avrebbe potuto essere messa in questione in un ordinamento, quale quello statunitense, che riconosce alla libertà personale la funzione di primo baluardo della democrazia. Sono, questi, solo alcuni esempi delle deroghe ai diritti fondamentali e agli stessi principi dello Stato di diritto che dall’11 settembre 2001 caratterizzano, in misura più o meno profonda, gli ordinamenti di Paesi a democrazia consolidata come quelli europei e, prima ancora, gli stessi Stati Uniti. Dove si è finito per costruire una vera e propria categoria di non-persone, gli unlawful enemy combatants, ricorrendo a una figura risalente addirittura al 1798 e riabilitata nei secoli successivi nei confronti di coloro che, di volta in volta, sono stati identificati come “nemici pubblici”. Minori sono le deroghe ai principi dello Stato di diritto ammesse dalla legislazione anti-terrorismo della maggior parte dei Paesi europei. E ciò anche grazie all’intervento delle Corti superiori, della Corte di giustizia e della Corte europea per i diritti umani, che hanno più volte ribadito la non comprimibilità di alcuni diritti fondamentali quali quello all’immunità dalla tortura e dal refoulement e le garanzie dell’equo processo. Ma anche l’approccio europeo al terrorismo presenta degli aspetti che non possono non preoccupare chi abbia a cuore i fondamentali principi del sistema democratico. Da un lato, infatti, le deroghe ammesse a questi principi non sono irrilevanti: si pensi soltanto alla legge tedesca sulla sicurezza aerea, che imponeva (prima dell’intervento della Corte costituzionale) l’abbattimento di aerei dirottati da terroristi per colpire obiettivi civili o militari, o all’estensione a 120 ore della durata del fermo d’indiziato in Spagna. Dall’altro lato, come rileva l’Federica Resta, l’approccio europeo al terrorismo – pur preferibile a quello statunitense - rischia di estendere le “deroghe ai principi essenziali del diritto penale e delle garanzie anche a settori diversi, individuati discrezionalmente dal legislatore sulla base di esigenze di sicurezza e contrasto all’allarme sociale prodotti da tali reati”. Ciò è avvenuto sia introducendo procedure nuove (come l’espulsione di stranieri senza convalida), sia talora recuperando istituti consolidatisi nella legislazione d’emergenza ed ampliandoli ben oltre il settore di riferimento.  A ben vedere, dunque, riflettere oggi - come fa questo importante libro della Resta - su tali tendenze del diritto significa interrogarsi sul limite oltre il quale nessuna esigenza di sicurezza può legittimare deroghe a libertà e diritti fondamentali senza mettere in discussione gli stessi principi costitutivi dello Stato di diritto. Perché, come afferma la Corte Suprema americana,  “la sicurezza consiste anche nella fedeltà ai fondamentali principi di libertà, tra cui, innanzitutto, la  libertà da arresti arbitrari e illegittimi e la libertà personale” (sentenza Boumediene, 2008). Parole sante. Insomma, la lezione più significativa che emerge da queste pagine è forse quella che ci chiama a osservare con disincanto una “filosofia della storia” considerata nel suo farsi quotidiano, quale esito non solo di dinamiche universali ma anche di conflitti sociali e politici: è una lezione che ci ammonisce a non considerare mai come irreversibile e acquisito definitivamente il progresso raggiunto e il grado di civiltà conquistato.  In realtà, anch’essi sono il risultato di un combattimento.
9 settembre 2011
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