Indagini e sospetti per la morte violenta del lungo Sessantotto
Mauro Trotta
il Manifesto 30 aprile 2010

LIBRI MARCO LOMBARDO-RADICE, LUIGI MANCONI, LAVORO AI FIANCHI. ALCUNI GIORNI NELLA VITA DEL COMMISSARIO LUIGI LONGO, IL MAESTRALE, EURO 17

Due protagonisti del lungo sessantotto italiano, nel 1980 pubblicano un noir per la Mondadori. I due autori sono Marco Lombardo-Radice e Luigi Manconi. Ora, a trent'anni di distanza da quella edizione - e a ventun anni dalla scomparsa di Lombardo-Radice - Lavoro ai fianchi, questo il titolo del romanzo, esce di nuovo in libreria per le edizioni Il Maestrale. Il testo narra, come recita il sottotitolo, di Alcuni giorni nella vita del commissario Luigi Longo. O, meglio, è composto dalle registrazioni che il commissario Longo ha effettuato ripercorrendo tutto quello che ha fatto tra il 10 e il 19 marzo 1978, oltre che dai verbali di interrogatori connessi all'indagine che stava seguendo e da alcuni articoli di giornale. Il commissario, che ha lo stesso nome dell'ex-segretario del partito comunista, fa queste registrazioni perché spera di capire quando e dove ha perso, o gli sono stati sottratti, dei soldi di cui si era appropriato. In quel periodo, inoltre, sta compiendo un'indagine sulla scomparsa di un giovane legato al movimento. In questo modo il lettore viene via via informato sull'andamento dell'inchiesta che va ad intrecciarsi con il grande affaire di quei giorni, ovvero il caso Moro.
Goffredo Fofi, nella sua bella prefazione, mette in evidenza come gli antecedenti più diretti della storia siano cinematografici, e cita Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri e Viale del tramonto di Billy Wilder. Del resto all'epoca un noir italiano non esisteva. E lo stesso Manconi, nella sua premessa alla nuova edizione, cita come modelli Handke, Enzesberger e poi ancora un cineasta come Wim Wenders. A questi numi tutelari, andrebbe aggiunto il Dürrenmatt di La promessa, il Requiem per il romanzo giallo in cui lo scrittore svizzero svela l'inutilità dell'indagine. Insomma, ed è ancora Fofi a notarlo, Lavoro ai fianchi rappresenta una sorta di apripista per quella che sarà, da lì a pochi anni, la new wave del noir italiano, con i vari Camilleri, Genna, Lucarelli, De Cataldo, Carlotto.
In questo libro si ritrova quello che è il carattere fondamentale del nuovo noir italiano - sulla scorta del polar francese - e che così viene definito da Banconi: «una narrativa capace di esprimere la politicità della vita quotidiana, delle relazioni sociali, delle esperienze collettive». Così, tra alcune ingenuità e piccole incongruenze, sorretto da una prosa agile e semplice e da un plot appassionante, il romanzo riesce a restituire l'atmosfera di quegli anni e di quei giorni. Non solo: sembra voler alludere anche a qualcos'altro. Insomma, se il cadavere del giallo classico - quello di Sherlock Holmes o di Poe - rimanda alla morte della vecchia società, il giovane scomparso allude alla morte dei movimenti? Se le cose stanno così, quasi paradossalmente, gli autori di Lavoro ai fianchi, proprio con il loro romanzo non stanno alludendo, proprio nel momento in cui tutto sembrava finito, a una nuova speranza? Ipotesi ardite, ma confortate dalla frase di Freud usata come epigrafe al libro: «penetrare cose segrete e nascoste in base a elementi poco apprezzati o inavvertiti, ai detriti o "rifiuti" della nostra osservazione».
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