Cialtronismi
Le sparate di Paolo Villaggio,
il caso Petraeus
e la nascita della tragedia
Luigi Manconi
Il titolo di questa rubrica (politicamente correttissimo) dichiara da subito la ragione sociale di un’analisi e di una critica, che fatalmente – lo ammetto  – può assumere i tratti di un tic. Di una vera e propria fissazione culturale. In genere, la rivendicazione del politicamente correttissimo è imposta da ciò che mi appare come il dominio del Cialtronescamente Scorretto (e scorrettissimo). Il florilegio possibile di tali scelleratezze è grandiosamente vario e vasto. Bastino un paio di esempi. Il primo. Alcuni mesi fa, Paolo Villaggio, nel corso della Zanzara (Radio24), così commentò le Paralimpiadi di Londra: «una specie di riconoscenza o di esaltazione della disgrazia». È , va da sé, il giudizio di un comico: certamente intelligente e che fu, decenni fa, straordinariamente bravo. Ma non è l’inizio di una nuova ermeneutica della fatalità del destino, né il manifesto di un originale pessimismo cosmico o  di un neo-cinismo dell’Età del Perfettibile. Piuttosto una battuta, che – nel migliore dei casi - allude a un senso tragico della vita e lo esprime con una tale crudeltà da far immaginare una personale esperienza del dolore. Ma, in poche ore, quella frase diventò un ulteriore vessillo del politicamente scorretto: “un’invettiva contro la retorica dei buoni sentimenti”, “il disvelamento dell’Ipocrisia Dominante” e, addirittura, “la catastrofe del buonismo progressista”. Il secondo esempio riguarda la vicenda del generale David Petraeus, del quale vengono rese note alcune relazioni extra-coniugali. L’informazione viene pubblicata da tutti i giornali e i siti del mondo unitamente alla foto della moglie tradita, la cui scarsa o nulla avvenenza viene letta – prima obliquamente, poi esplicitamente -  come la vera causa dell’incontinenza erotica del coniuge. Una volta che una simile Rivelazione diventa, nell’ammiccamento generale e nella conversazione quotidiana, “la vera verità sul caso Petraeus”, il patatrac è fatto. Secoli e secoli di raffinate complessità psicologiche su contraddizioni eterne (come “fedeltà/tradimento” e “perfezione/imperfezione”) vengono azzerate in un attimo solo. Cosicché il  campionissimo del politicamente scorretto, il professionista dell’anticonformismo à la carte, poté uscirsene con un : “La signora Petraeus è un cesso”. Standing ovation, ola sugli spalti, trionfo sulla rete (e tanti gridolini: ma com’è coraggioso, lui). A conferma del fatto che ciò che si propone come politicamente scorretto non è altro che l’omologazione al senso comune nella sua versione, di volta in volta, più laida o più ordinaria, più indecente o più banale. Si dirà: ma questo è il trash della scorrettezza. Poi c’è la versione alta, quella intelligente e colta, che effettivamente colpisce un deposito di parole e  immagini, ispirate tutte alla volontà di “mettere le mutande al mondo”. E questo tentativo, non giustificato dalle buone intenzioni, oltre a risolversi spesso nel ridicolo, finisce con l’offrire una rappresentazione totalmente alterata della realtà (è quella “cultura del piagnisteo” denunciata da Robert Hughes).  Ma, più propriamente, il politicamente corretto dovrebbe definire una delle culture che informano i processi di civilizzazione del senso comune nelle società democratiche. Ovvero, quell’insieme di valori e di parole conseguenti, di categorie e di atti, che qualificano un’idea di collettività e di relazioni tra i gruppi e gli individui, rispettosa della dignità di tutti e volta al superamento, per quanto possibile, di diseguaglianze, discriminazioni, ingiustizie. Purtroppo, il cialtronismo scorretto ha manomesso a tal punto la mentalità delle élite da far scordare tutto questo, riducendolo solo ed esclusivamente a questione di stile e di linguaggio. Ne è una conferma paradossale un articolo pubblicato su Il, supplemento del Sole 24 Ore. Qui, un autore acuto come Alessandro Piperno conclude un affascinante saggio su Saul Bellow, scrittore della “discordia umana”, citando il suo Mr Sammler che, scampato alla Shoah, si trova di fronte un nazista disarmato: e  “senza neppure pensarci” spara. Bellow: “Uccidere quell’uomo gli aveva fatto piacere. Si trattava di piacere soltanto? Era di più. Era gioia. La chiamereste un’azione tenebrosa? Al contrario, era anche un’azione luminosa”. Così commenta Piperno: “Conoscete uno scrittore in circolazione che potrebbe descrivere la gioia di un omicidio – la giustizia riparatoria di un omicidio – con altrettanto spregiudicato fervore? Io non ne conosco. E apprezzo che, tempo fa, il sindaco di Chicago si sia opposto all’idea di dedicare una piazza a Saul Bellow”.  Ecco, qui Piperno sembra voler esaltare, contro il perbenismo morale e politico, la  scandalosa “gioia di un omicidio”. Può sembrare la più sofisticata celebrazione del politicamente scorretto, ma – per fortuna – siamo in presenza di ben altro. Sappiamo che quel brano di Bellow costituisce il cuore e il paradigma, l’espressione recente di un archetipo e la rappresentazione attuale di una categoria che è così propria dell’animo umano da ricorrere immancabilmente in ogni opera letteraria degna di questo nome. Senza quella combinazione di “tenebroso” e “luminoso”, non vi sarebbe stata la tragedia greca né il grande romanzo borghese. Non vi sarebbe la poesia.
il Foglio 18 dicembre 2012
Cialtronismi
Le sparate di Paolo Villaggio, il caso Petraeus e la nascita della tragedia
Luigi Manconi
Il titolo di questa rubrica (politicamente correttissimo) dichiara da subito la ragione sociale di un’analisi e di una critica, che fatalmente – lo ammetto  – può assumere i tratti di un tic. Di una vera e propria fissazione culturale. In genere, la rivendicazione del politicamente correttissimo è imposta da ciò che mi appare come il dominio del Cialtronescamente Scorretto (e scorrettissimo).
Il florilegio possibile di tali scelleratezze è grandiosamente vario e vasto. Bastino un paio di esempi. Il primo. Alcuni mesi fa, Paolo Villaggio, nel corso della Zanzara (Radio24), così commentò le Paralimpiadi di Londra: «una specie di riconoscenza o di esaltazione della disgrazia». È , va da sé, il giudizio di un comico: certamente intelligente e che fu, decenni fa, straordinariamente bravo. Ma non è l’inizio di una nuova ermeneutica della fatalità del destino, né il manifesto di un originale pessimismo cosmico o  di un neo-cinismo dell’Età del Perfettibile. Piuttosto una battuta, che – nel migliore dei casi - allude a un senso tragico della vita e lo esprime con una tale crudeltà da far immaginare una personale esperienza del dolore. Ma, in poche ore, quella frase diventò un ulteriore vessillo del politicamente scorretto: “un’invettiva contro la retorica dei buoni sentimenti”, “il disvelamento dell’Ipocrisia Dominante” e, addirittura, “la catastrofe del buonismo progressista”. Il secondo esempio riguarda la vicenda del generale David Petraeus, del quale vengono rese note alcune relazioni extra-coniugali. L’informazione viene pubblicata da tutti i giornali e i siti del mondo unitamente alla foto della moglie tradita, la cui scarsa o nulla avvenenza viene letta – prima obliquamente, poi esplicitamente -  come la vera causa dell’incontinenza erotica del coniuge. Una volta che una simile Rivelazione diventa, nell’ammiccamento generale e nella conversazione quotidiana, “la vera verità sul caso Petraeus”, il patatrac è fatto. Secoli e secoli di raffinate complessità psicologiche su contraddizioni eterne (come “fedeltà/tradimento” e “perfezione/imperfezione”) vengono azzerate in un attimo solo. Cosicché il  campionissimo del politicamente scorretto, il professionista dell’anticonformismo à la carte, poté uscirsene con un : “La signora Petraeus è un cesso”. Standing ovation, ola sugli spalti, trionfo sulla rete (e tanti gridolini: ma com’è coraggioso, lui). A conferma del fatto che ciò che si propone come politicamente scorretto non è altro che l’omologazione al senso comune nella sua versione, di volta in volta, più laida o più ordinaria, più indecente o più banale. Si dirà: ma questo è il trash della scorrettezza. Poi c’è la versione alta, quella intelligente e colta, che effettivamente colpisce un deposito di parole e  immagini, ispirate tutte alla volontà di “mettere le mutande al mondo”. E questo tentativo, non giustificato dalle buone intenzioni, oltre a risolversi spesso nel ridicolo, finisce con l’offrire una rappresentazione totalmente alterata della realtà (è quella “cultura del piagnisteo” denunciata da Robert Hughes).  Ma, più propriamente, il politicamente corretto dovrebbe definire una delle culture che informano i processi di civilizzazione del senso comune nelle società democratiche. Ovvero, quell’insieme di valori e di parole conseguenti, di categorie e di atti, che qualificano un’idea di collettività e di relazioni tra i gruppi e gli individui, rispettosa della dignità di tutti e volta al superamento, per quanto possibile, di diseguaglianze, discriminazioni, ingiustizie. Purtroppo, il cialtronismo scorretto ha manomesso a tal punto la mentalità delle élite da far scordare tutto questo, riducendolo solo ed esclusivamente a questione di stile e di linguaggio. Ne è una conferma paradossale un articolo pubblicato su Il, supplemento del Sole 24 Ore. Qui, un autore acuto come Alessandro Piperno conclude un affascinante saggio su Saul Bellow, scrittore della “discordia umana”, citando il suo Mr Sammler che, scampato alla Shoah, si trova di fronte un nazista disarmato: e  “senza neppure pensarci” spara. Bellow: “Uccidere quell’uomo gli aveva fatto piacere. Si trattava di piacere soltanto? Era di più. Era gioia. La chiamereste un’azione tenebrosa? Al contrario, era anche un’azione luminosa”. Così commenta Piperno: “Conoscete uno scrittore in circolazione che potrebbe descrivere la gioia di un omicidio – la giustizia riparatoria di un omicidio – con altrettanto spregiudicato fervore? Io non ne conosco. E apprezzo che, tempo fa, il sindaco di Chicago si sia opposto all’idea di dedicare una piazza a Saul Bellow”.  Ecco, qui Piperno sembra voler esaltare, contro il perbenismo morale e politico, la  scandalosa “gioia di un omicidio”. Può sembrare la più sofisticata celebrazione del politicamente scorretto, ma – per fortuna – siamo in presenza di ben altro. Sappiamo che quel brano di Bellow costituisce il cuore e il paradigma, l’espressione recente di un archetipo e la rappresentazione attuale di una categoria che è così propria dell’animo umano da ricorrere immancabilmente in ogni opera letteraria degna di questo nome. Senza quella combinazione di “tenebroso” e “luminoso”, non vi sarebbe stata la tragedia greca né il grande romanzo borghese. Non vi sarebbe la poesia.
il Foglio 18 dicembre 2012
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