Beati loro
Luigi Manconi
1. Ciascuno di noi conosce momenti di perdizione assoluta. Senza sprazzi di lucidità e senza forme di autocontrollo. Accade. E in alcune di tali circostanze – devo dirlo – mi è capitato di chiedermi: e se fossi berlusconiano? Non mi interessano in alcun modo le conseguenze direttamente politiche e tantomeno quelle sociali di una simile condizione. Mi interessa, qui, solo ed esclusivamente il suo effetto psichico: e, tra le conseguenze che ciò ha sulla coscienza individuale, lo stato di dipendenza che comporta. Per dipendenza intendo una peculiare forma di sudditanza fisica o psichica (ma anche fisica e psichica) da un singolo o da un gruppo, da un comportamento o da una sostanza, da una combinazione di eventi o da un clima. In altre parole si può dipendere da un amore o da un leader, da una consuetudine o da un manipolatore, da un narcotico o da una passione. Ecco, è da quella tipologia di dipendenza che può derivare –attraverso complesse mediazioni, per carità! -  la condizione di homo berlusconianus. Da secoli sappiamo che il carisma, nella sua origine religiosa come in quella laica, rimanda a una sorta di grazia: qualcosa, cioè, che eccede la dimensione razionale per mobilitare risorse emotive e stati d’animo profondi, influenze sottili e suggestioni tanto impalpabili quanto coinvolgenti, dalla dedizione alla trance. Personalmente – come pressoché tutti, immagino –  sono stato occasionalmente dipendente da qualche potenza esterna (un gruppo politico, una comunità generazionale, una moda, una credenza ideologica …), ma tutto ciò è stato di breve durata e di relativa profondità. Non mi è capitato mai, tuttavia, di innamorarmi di un leader al quale votarmi, e non so se rallegrarmene o immalinconirmene. Forse sarebbe stata, anche quella, un’esperienza degna di essere vissuta. Rimane la curiosità per coloro che continuano a viverla: nei confronti di Silvio Berlusconi, ad esempio. In questo caso, quella dipendenza sembra essere irreversibile, se non per pochi, pochissimi scampati o resipiscenti. E non sembra prevedere forme di auto-aiuto, né strategie di emancipazione, vie d’uscite e terapie di disintossicazione. Quella dipendenza non offre scampo né tregua; e non ha un andamento progressivo e una crescita lineare: si presenta, da subito, in forma parossistica. Come pandemia e come emergenza clinica. Eppure deve essere bellissimo precipitarvici, perdersi in quell’”inconscio mare calmo”, smarrirsi in quella vertigine. Beati loro.
2. “il finto schierarsi contro tutto e tutti, i toni da difensore civico della moltitudine impotente derubata dal sistema, tutto questo apparato retorico estremamente prevedibile, tipico delle fasi di crisi, populista senza costrutto e senza senso, potenza di fuoco antidemocratica, linguaggio squadristico molto italiano, italianissimo. Ma è ovviamente un  fuoco fatuo, che solo a essere ipocriti si può trattare con rispetto contegnoso, considerazione politologica”.
Questa feroce rappresentazione del messaggio berlusconiano - tratteggiata ieri su queste colonne da Giuliano Ferrara - presenta una lancinante contraddizione: dal titolo e dal contesto sembrerebbe proprio che il bersaglio originario del direttore del Foglio fosse non Silvio Berlusconi, ma Beppe Grillo. Ma le righe qui riportate, i sostantivi e gli  aggettivi, le formule e le immagini richiamano, infallibilmente, il berlusconismo. Dunque, l’ipotesi è che si sia verificato quello che, nella critica letteraria, viene definito “effetto-gorgo”. Ferrara ha cominciato a descrivere i connotati essenziali dell’agitazione politica di 5 Stelle, ma poi è precipitato nella stessa  spirale di scrittura da lui creata, ne è rimasto avvinto e avviluppato, al punto da identificarsi totalmente con l’oggetto della sua stessa critica, venendone esaltato fino all’abbandono. E, così, la disanima spietata del grillismo rimbalza sullo specchio che vorrebbe rifletterlo restituendoci i tratti essenziali di quella cultura politica – il berlusconismo -  di cui è un’estrema variabile. Aggiungo che l’analisi di Ferrara non è interamente condivisibile sul piano strettamente tecnico: il canone comico di Grillo, sotto il profilo linguistico e gestuale, è logoro ormai da decenni, al punto che oggi egli non è più né “bravo” né “divertente”, come il direttore del Foglio vorrebbe. E la dimensione politica deteriora ulteriormente il suo copione. Ciò finisce per esaltare quello che è, alla resa dei conti, il più importante tratto unificante della cultura grillina e di quella berlusconiana. Non la trivialità e  nemmeno il populismo, bensì quell’azzeramento della storia e della memoria che è il sostrato di ogni autoritarismo.
il Foglio 11 dicembre 2012
Beati loro
Luigi Manconi
1. Ciascuno di noi conosce momenti di perdizione assoluta. Senza sprazzi di lucidità e senza forme di autocontrollo. Accade. E in alcune di tali circostanze – devo dirlo – mi è capitato di chiedermi: e se fossi berlusconiano? Non mi interessano in alcun modo le conseguenze direttamente politiche e tantomeno quelle sociali di una simile condizione. Mi interessa, qui, solo ed esclusivamente il suo effetto psichico: e, tra le conseguenze che ciò ha sulla coscienza individuale, lo stato di dipendenza che comporta.
Per dipendenza intendo una peculiare forma di sudditanza fisica o psichica (ma anche fisica e psichica) da un singolo o da un gruppo, da un comportamento o da una sostanza, da una combinazione di eventi o da un clima. In altre parole si può dipendere da un amore o da un leader, da una consuetudine o da un manipolatore, da un narcotico o da una passione. Ecco, è da quella tipologia di dipendenza che può derivare –attraverso complesse mediazioni, per carità! -  la condizione di homo berlusconianus. Da secoli sappiamo che il carisma, nella sua origine religiosa come in quella laica, rimanda a una sorta di grazia: qualcosa, cioè, che eccede la dimensione razionale per mobilitare risorse emotive e stati d’animo profondi, influenze sottili e suggestioni tanto impalpabili quanto coinvolgenti, dalla dedizione alla trance. Personalmente – come pressoché tutti, immagino –  sono stato occasionalmente dipendente da qualche potenza esterna (un gruppo politico, una comunità generazionale, una moda, una credenza ideologica …), ma tutto ciò è stato di breve durata e di relativa profondità. Non mi è capitato mai, tuttavia, di innamorarmi di un leader al quale votarmi, e non so se rallegrarmene o immalinconirmene. Forse sarebbe stata, anche quella, un’esperienza degna di essere vissuta. Rimane la curiosità per coloro che continuano a viverla: nei confronti di Silvio Berlusconi, ad esempio. In questo caso, quella dipendenza sembra essere irreversibile, se non per pochi, pochissimi scampati o resipiscenti. E non sembra prevedere forme di auto-aiuto, né strategie di emancipazione, vie d’uscite e terapie di disintossicazione. Quella dipendenza non offre scampo né tregua; e non ha un andamento progressivo e una crescita lineare: si presenta, da subito, in forma parossistica. Come pandemia e come emergenza clinica. Eppure deve essere bellissimo precipitarvici, perdersi in quell’”inconscio mare calmo”, smarrirsi in quella vertigine. Beati loro.
2. “il finto schierarsi contro tutto e tutti, i toni da difensore civico della moltitudine impotente derubata dal sistema, tutto questo apparato retorico estremamente prevedibile, tipico delle fasi di crisi, populista senza costrutto e senza senso, potenza di fuoco antidemocratica, linguaggio squadristico molto italiano, italianissimo. Ma è ovviamente un  fuoco fatuo, che solo a essere ipocriti si può trattare con rispetto contegnoso, considerazione politologica”.
Questa feroce rappresentazione del messaggio berlusconiano - tratteggiata ieri su queste colonne da Giuliano Ferrara - presenta una lancinante contraddizione: dal titolo e dal contesto sembrerebbe proprio che il bersaglio originario del direttore del Foglio fosse non Silvio Berlusconi, ma Beppe Grillo. Ma le righe qui riportate, i sostantivi e gli  aggettivi, le formule e le immagini richiamano, infallibilmente, il berlusconismo. Dunque, l’ipotesi è che si sia verificato quello che, nella critica letteraria, viene definito “effetto-gorgo”. Ferrara ha cominciato a descrivere i connotati essenziali dell’agitazione politica di 5 Stelle, ma poi è precipitato nella stessa  spirale di scrittura da lui creata, ne è rimasto avvinto e avviluppato, al punto da identificarsi totalmente con l’oggetto della sua stessa critica, venendone esaltato fino all’abbandono. E, così, la disanima spietata del grillismo rimbalza sullo specchio che vorrebbe rifletterlo restituendoci i tratti essenziali di quella cultura politica – il berlusconismo -  di cui è un’estrema variabile. Aggiungo che l’analisi di Ferrara non è interamente condivisibile sul piano strettamente tecnico: il canone comico di Grillo, sotto il profilo linguistico e gestuale, è logoro ormai da decenni, al punto che oggi egli non è più né “bravo” né “divertente”, come il direttore del Foglio vorrebbe. E la dimensione politica deteriora ulteriormente il suo copione. Ciò finisce per esaltare quello che è, alla resa dei conti, il più importante tratto unificante della cultura grillina e di quella berlusconiana. Non la trivialità e  nemmeno il populismo, bensì quell’azzeramento della storia e della memoria che è il sostrato di ogni autoritarismo.
il Foglio 11 dicembre 2012
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