Politicamente correttissimo
I diritti del corpo
Luigi Manconi
“Benefattor degli uomini,/ riparator dei mali,/ in pochi giorni io sgombero/ io spazzo gli spedali,/ e la salute
a vendere/ per tutto il mondo io vo./ Compratela, compratela,/ per poco io ve la do” (Gaetano Donizzetti,
L’elisir d’amore, Atto primo – Scena quinta).
E’ stato Eugenio Scalfari, mentre Giuliano Ferrara assentiva, a evocare il dottor Dulcamara, “medico
ambulante”, a proposito della figura di Silvio Berlusconi. Tutto ciò dopo la proiezione di “Silvio Forever”
(La7, 8 settembre) nel corso di un dibattito diretto da Enrico Mentana, tra Paolo Mieli e gli stessi Scalfari e
Ferrara. Al di là delle valutazioni più strettamente politiche, colpiva l’aspra controversia, che vedeva Scalfari
e Mieli contrapposti al direttore del Foglio, a proposito del carattere di Silvio Berlusconi. Ferrara, per
definire la personalità del premier, ha fatto ricorso due volte al termine “giocoso” e tre al termine “mite”,
suscitando le contestazioni dei suoi interlocutori. Troppo semplice provare a mettere d’accordo tutti
affermando che, come in ogni essere umano, anche in Silvio Berlusconi, convivono tratti psicologici e
inclinazioni umorali e morali, differenti e fin opposti. Troppo semplice e persino superfluo perché, ad
esempio, io che ho sperimentato una volta ( e una volta sola: credo nel 1995) quella “mitezza”, devo dire
che del suo opposto (l’inesorabilità, secondo il Dizionario dei sinonimi e dei contrari, di Zanichelli) leggo
nelle cronache pubbliche e private da oltre un quindicennio. E me ne sento sopraffatto, almeno come
cittadino. Ma non è questo in realtà il punto. Perché mai Ferrara e alcuni pochi altri del centrodestra
apprezzano così tanto questa immagine di “dottore enciclopedico”capace di “portenti infiniti”, fino a
enfatizzarla ed esaltarla? In tal modo, io credo, non si fa un buon servizio a Berlusconi. Al contrario, lo si
rimpicciolisce e lo si rende parodia di se stesso. Emerge, qui, una singolare tendenza, propria di una cultura
di destra, minoritaria ma tutt’ora vivace, che considera morale solo l’amoralità; che fa del disincanto una
precettistica edificante; e che rischia di ridurre il cinismo, da atteggiamento filosofico ed esistenziale, a stile
di vita, quando non a postura e a civetteria. Una simile impostazione sa che il declino del berlusconismo è
in corso ed è irreversibile e ha deciso che l’esito preferibile sia una sorta di rutilante uscita di scena tra
cachinni e sghignazzi (di ballerine ce ne sono già quanto basta). Qui davvero Ferrara è fedelissimo
interprete del berlusconismo come ontologia. Sembra cazzeggio ed è, invece, un discorso sull’essere.
Ovvero su quale sia l’autentico fondamento del berlusconismo e il pensiero di sé che intende lasciare ai
posteri. Silvio Berlusconi ( e Ferrara con lui) teme meno il ridicolo di quanto tema il tragico. Ritiene che la
dimensione tragica possa occultare malamente tutta l’indecenza del melodramma e l’osceno della
sofferenza rappresentata in pubblico. E che l’ammissione della debolezza e della senescenza, del
tradimento e della solitudine sia più disdicevole del rincorrere la fantasia erotica di Nicole Minetti vestita da
suora. C’è una qualche ragione nel paventare un simile rischio, ma la soluzione prospettata è ancora
peggiore. Il “ giocoso” eclissarsi tra fanfare e pennacchi, ma anche il “giocoso” congedo tra tributi e
picchetti d’onore,non mi sembrano proprio all’altezza di quanto Berlusconi ha rappresentato, nel bene e
nel male, nella scena pubblica e nella vita nazionale degli ultimi due decenni. Quel “giocoso” allude a una
futilità svagata e smagata più da entertainer che da uomo di governo: e anche il più severo avversario
commetterebbe un colossale errore se considerasse, di Berlusconi, solo o prevalentemente l’attitudine e
l’attività da showman. Quel “giocoso” non è consentito dalla drammaticità dello scenario in cui Berlusconi
oggi opera (e continuerà a operare per qualche tempo) né dalla complessità del suo ruolo nella vicenda
politica nazionale. Per capirci, i guai che ha combinato ( o, per gli apologeti, i suoi “infiniti portenti”) non
sono superabili con un semplice cambio di governo e non sono liquidabili con un: abbiamo scherzato. Ed è
difficile credere che- giunti a questo passaggio della congiuntura economica e sociale- stia per calare
davanti ai nostri occhi il provvidenziale striscione: siete su scherzi a parte. Insomma, perché negare a Silvio
Berlusconi la pienezza della sua figura e della sua avventura ? E perché –nel momento della sconfitta e della
possibile rovina- negargli l’onore e il piacere , della dimensione (anche) tragica? Chi gli vuole tanto male da
ridurlo alla misura di un Davide Mengacci,con appena una diversa coloritura di capelli?
il Foglio 27 settembre 2011
Politicamente correttissimo
I diritti del corpo
Luigi Manconi
“Benefattor degli uomini,/ riparator dei mali,/ in pochi giorni io sgombero/ io spazzo gli spedali,/ e la salute
a vendere/ per tutto il mondo io vo./ Compratela, compratela,/ per poco io ve la do” (Gaetano Donizzetti,
L’elisir d’amore, Atto primo – Scena quinta).
E’ stato Eugenio Scalfari, mentre Giuliano Ferrara assentiva, a evocare il dottor Dulcamara, “medico
ambulante”, a proposito della figura di Silvio Berlusconi. Tutto ciò dopo la proiezione di “Silvio Forever”
(La7, 8 settembre) nel corso di un dibattito diretto da Enrico Mentana, tra Paolo Mieli e gli stessi Scalfari e
Ferrara. Al di là delle valutazioni più strettamente politiche, colpiva l’aspra controversia, che vedeva Scalfari
e Mieli contrapposti al direttore del Foglio, a proposito del carattere di Silvio Berlusconi. Ferrara, per
definire la personalità del premier, ha fatto ricorso due volte al termine “giocoso” e tre al termine “mite”,
suscitando le contestazioni dei suoi interlocutori. Troppo semplice provare a mettere d’accordo tutti
affermando che, come in ogni essere umano, anche in Silvio Berlusconi, convivono tratti psicologici e
inclinazioni umorali e morali, differenti e fin opposti. Troppo semplice e persino superfluo perché, ad
esempio, io che ho sperimentato una volta ( e una volta sola: credo nel 1995) quella “mitezza”, devo dire
che del suo opposto (l’inesorabilità, secondo il Dizionario dei sinonimi e dei contrari, di Zanichelli) leggo
nelle cronache pubbliche e private da oltre un quindicennio. E me ne sento sopraffatto, almeno come
cittadino. Ma non è questo in realtà il punto. Perché mai Ferrara e alcuni pochi altri del centrodestra
apprezzano così tanto questa immagine di “dottore enciclopedico”capace di “portenti infiniti”, fino a
enfatizzarla ed esaltarla? In tal modo, io credo, non si fa un buon servizio a Berlusconi. Al contrario, lo si
rimpicciolisce e lo si rende parodia di se stesso. Emerge, qui, una singolare tendenza, propria di una cultura
di destra, minoritaria ma tutt’ora vivace, che considera morale solo l’amoralità; che fa del disincanto una
precettistica edificante; e che rischia di ridurre il cinismo, da atteggiamento filosofico ed esistenziale, a stile
di vita, quando non a postura e a civetteria. Una simile impostazione sa che il declino del berlusconismo è
in corso ed è irreversibile e ha deciso che l’esito preferibile sia una sorta di rutilante uscita di scena tra
cachinni e sghignazzi (di ballerine ce ne sono già quanto basta). Qui davvero Ferrara è fedelissimo
interprete del berlusconismo come ontologia. Sembra cazzeggio ed è, invece, un discorso sull’essere.
Ovvero su quale sia l’autentico fondamento del berlusconismo e il pensiero di sé che intende lasciare ai
posteri. Silvio Berlusconi ( e Ferrara con lui) teme meno il ridicolo di quanto tema il tragico. Ritiene che la
dimensione tragica possa occultare malamente tutta l’indecenza del melodramma e l’osceno della
sofferenza rappresentata in pubblico. E che l’ammissione della debolezza e della senescenza, del
tradimento e della solitudine sia più disdicevole del rincorrere la fantasia erotica di Nicole Minetti vestita da
suora. C’è una qualche ragione nel paventare un simile rischio, ma la soluzione prospettata è ancora
peggiore. Il “ giocoso” eclissarsi tra fanfare e pennacchi, ma anche il “giocoso” congedo tra tributi e
picchetti d’onore,non mi sembrano proprio all’altezza di quanto Berlusconi ha rappresentato, nel bene e
nel male, nella scena pubblica e nella vita nazionale degli ultimi due decenni. Quel “giocoso” allude a una
futilità svagata e smagata più da entertainer che da uomo di governo: e anche il più severo avversario
commetterebbe un colossale errore se considerasse, di Berlusconi, solo o prevalentemente l’attitudine e
l’attività da showman. Quel “giocoso” non è consentito dalla drammaticità dello scenario in cui Berlusconi
oggi opera (e continuerà a operare per qualche tempo) né dalla complessità del suo ruolo nella vicenda
politica nazionale. Per capirci, i guai che ha combinato ( o, per gli apologeti, i suoi “infiniti portenti”) non
sono superabili con un semplice cambio di governo e non sono liquidabili con un: abbiamo scherzato. Ed è
difficile credere che- giunti a questo passaggio della congiuntura economica e sociale- stia per calare
davanti ai nostri occhi il provvidenziale striscione: siete su scherzi a parte. Insomma, perché negare a Silvio

Berlusconi la pienezza della sua figura e della sua avventura ? E perché –nel momento della sconfitta e della
possibile rovina- negargli l’onore e il piacere , della dimensione (anche) tragica? Chi gli vuole tanto male da
ridurlo alla misura di un Davide Mengacci,con appena una diversa coloritura di capelli?
il Foglio 27 settembre 2011
Share/Save/Bookmark
Commenti (0)
Commenta
I tuoi dettagli:
Commento:
Security
Inserisci il codice anti-spam che vedi nell'immagine.