Il corpo dei Radicali
Luigi Manconi
Marco Pannella ha commesso un errore? Probabilmente si, ma non quello che comunemente gli viene rimproverato. A leggere gli articoli dedicati alla vicenda “Storace-Pannella”, anche nei meno prevenuti si coglie un approccio irreparabilmente condizionato da un equivoco di fondo. Ovvero il fatto che i radicali costituiscano una componente, per quanto irregolare o addirittura eretica, della sinistra. Cosicché sia chi mostrava di apprezzare la mossa di Pannella sia quanti l’avversavano, finivano con il considerarla alla stregua di un “tradimento”. Insomma, di un passaggio di campo e di un trasloco, armi e bagagli, nello schieramento nemico. Ma, perché un tradimento avvenire, si deve attribuire ai radicali una stabile – insediata e strutturata – appartenenza. Il che non è in alcun modo. I radicali non hanno appartenenza, nel senso attribuito a  tale termine dalla scienza politica. Se si sono ritrovati nell’area della sinistra, com’è accaduto quasi sempre (ma appunto quasi) almeno dalla fine degli anni ’60 a oggi, è stato  comunque in ragione di un’infinita capacità di allearsi. Che è cosa assai diversa dall’appartenere, ma anche dal coalizzarsi. Di più: il ritrovarsi a sinistra rispondeva a una logica tutta strumentale-razionale (la più lontana possibile da un’opzione ideologica). In altri termini, l’alleanza era ed è interamente proiettata sul fine da perseguire; e il fine, ancora una volta, nulla ha di ideologico, al punto che può ridursi all’obiettivo più circoscritto e, in apparenza, più modesto (eppure dirompente all’interno di una logica decifrabile, in genere, dai soli radicali). Se così non fosse – ecco dove le pur legittimissime critiche a Pannella rivelano un equivoco, oltre che una assoluta smemoratezza – non si spiegherebbe il fatto che, già alla fine degli anni ’70, il leader radicale partecipasse ai congressi del  Movimento Sociale Italiano allora guidato da Giorgio Almirante. Forse che il suo antifascismo si rivelava, con ciò, meno intransigente? Non lo penso affatto, dal momento che non è in discussione in alcun modo l’adesione più piena ai valori costituenti una concezione anti-fascista (anti-totalitaria). Ciò che davvero conta per i radicali è, piuttosto, la sola coerenza che ritengono meritevole del massimo rispetto: ovvero quella tra mezzi e fini. Ma il mezzo non è valutabile, certo, attraverso i contenuti che incorpora (il tasso di democrazia o di antifascismo o di sinistrismo), bensì attraverso il test della sua lineare e visibile efficacia per il raggiungimento dello scopo. Questo non significa nemmeno “scendere a patti anche con il Diavolo”, perché con il Diavolo (Storace, ma prima Berlusconi e, prima ancora, un’infinita teoria di “impresentabili”: da Ilona Staller a Toni Negri) non si patteggia (o almeno, si pretende di non patteggiare): “con il Diavolo”, invece, si trova un accordo su qualcosa di definito e circoscritto, e solo su quello. Alla radice di tutto questo c’è il fatto che, come si è detto, la collocazione dei radicali lungo il continuum destra/sinistra è – per tradizione storica – orientata verso sinistra, ma sempre indipendente dalla concreta organizzazione partitica di quest’ultima. Dunque, sotto il profilo strettamente politologico, Pannella non ha commesso alcun errore. Lo ha commesso, tuttavia, sotto quello politico. Nel corso degli ultimi quattro decenni, la maggioranza del suo elettorato si è sentito alleato della sinistra: persino quando, nel ’94, si è ritrovato con Forza Italia. Anche se non appartenente alla sinistra, comunque alleato a essa: un alleato  recalcitrante e insoddisfatto, ribelle e trasgressivo, indocile e dissidente, ma un alleato. Ciò è stato sottovalutato da Marco Pannella o, forse, messo nel conto di una costosa e dolorosa pedagogia. In questo caso, il test equivaleva davvero all’atto finale di uno sport estremo. Storace – e non esclusivamente per i militanti/militonti, per gli antifascisti ideologici e per quelli più ottusi – non appare certo “una bella persona” (nemmeno a me). Non solo: anche l’elettorato radicale assai libero ed erratico, respira un senso comune che, in questo caso, non sembra privo di fondamento: il leader della Destra non risulta solo totalmente estraneo ai valori, anche nella versione più essenziale e sobria dei radicali (cosa che di per sé non impedirebbe l’alleanza per un unico e  circoscritto obiettivo), ma ne risulta il nemico più aggressivo. E, se permettete, più triviale. Insomma, Marco Pannella, che ha avuto lo straordinario merito di fare del corpo e delle sue emozioni una risorsa pubblica, senza ridurla a espediente demagogico, questa volta ha sottovalutato la sacrosanta emotività del corpo militante dei radicali.
il Foglio 22 gennaio 2013
Il corpo dei Radicali
Luigi Manconi
Marco Pannella ha commesso un errore? Probabilmente si, ma non quello che comunemente gli viene rimproverato. A leggere gli articoli dedicati alla vicenda “Storace-Pannella”, anche nei meno prevenuti si coglie un approccio irreparabilmente condizionato da un equivoco di fondo. Ovvero il fatto che i radicali costituiscano una componente, per quanto irregolare o addirittura eretica, della sinistra. Cosicché sia chi mostrava di apprezzare la mossa di Pannella sia quanti l’avversavano, finivano con il considerarla alla stregua di un “tradimento”. Insomma, di un passaggio di campo e di un trasloco, armi e bagagli, nello schieramento nemico. Ma, perché un tradimento avvenire, si deve attribuire ai radicali una stabile – insediata e strutturata – appartenenza. Il che non è in alcun modo. I radicali non hanno appartenenza, nel senso attribuito a  tale termine dalla scienza politica.
Se si sono ritrovati nell’area della sinistra, com’è accaduto quasi sempre (ma appunto quasi) almeno dalla fine degli anni ’60 a oggi, è stato  comunque in ragione di un’infinita capacità di allearsi. Che è cosa assai diversa dall’appartenere, ma anche dal coalizzarsi. Di più: il ritrovarsi a sinistra rispondeva a una logica tutta strumentale-razionale (la più lontana possibile da un’opzione ideologica). In altri termini, l’alleanza era ed è interamente proiettata sul fine da perseguire; e il fine, ancora una volta, nulla ha di ideologico, al punto che può ridursi all’obiettivo più circoscritto e, in apparenza, più modesto (eppure dirompente all’interno di una logica decifrabile, in genere, dai soli radicali). Se così non fosse – ecco dove le pur legittimissime critiche a Pannella rivelano un equivoco, oltre che una assoluta smemoratezza – non si spiegherebbe il fatto che, già alla fine degli anni ’70, il leader radicale partecipasse ai congressi del  Movimento Sociale Italiano allora guidato da Giorgio Almirante. Forse che il suo antifascismo si rivelava, con ciò, meno intransigente? Non lo penso affatto, dal momento che non è in discussione in alcun modo l’adesione più piena ai valori costituenti una concezione anti-fascista (anti-totalitaria). Ciò che davvero conta per i radicali è, piuttosto, la sola coerenza che ritengono meritevole del massimo rispetto: ovvero quella tra mezzi e fini. Ma il mezzo non è valutabile, certo, attraverso i contenuti che incorpora (il tasso di democrazia o di antifascismo o di sinistrismo), bensì attraverso il test della sua lineare e visibile efficacia per il raggiungimento dello scopo. Questo non significa nemmeno “scendere a patti anche con il Diavolo”, perché con il Diavolo (Storace, ma prima Berlusconi e, prima ancora, un’infinita teoria di “impresentabili”: da Ilona Staller a Toni Negri) non si patteggia (o almeno, si pretende di non patteggiare): “con il Diavolo”, invece, si trova un accordo su qualcosa di definito e circoscritto, e solo su quello. Alla radice di tutto questo c’è il fatto che, come si è detto, la collocazione dei radicali lungo il continuum destra/sinistra è – per tradizione storica – orientata verso sinistra, ma sempre indipendente dalla concreta organizzazione partitica di quest’ultima. Dunque, sotto il profilo strettamente politologico, Pannella non ha commesso alcun errore. Lo ha commesso, tuttavia, sotto quello politico. Nel corso degli ultimi quattro decenni, la maggioranza del suo elettorato si è sentito alleato della sinistra: persino quando, nel ’94, si è ritrovato con Forza Italia. Anche se non appartenente alla sinistra, comunque alleato a essa: un alleato  recalcitrante e insoddisfatto, ribelle e trasgressivo, indocile e dissidente, ma un alleato. Ciò è stato sottovalutato da Marco Pannella o, forse, messo nel conto di una costosa e dolorosa pedagogia. In questo caso, il test equivaleva davvero all’atto finale di uno sport estremo. Storace – e non esclusivamente per i militanti/militonti, per gli antifascisti ideologici e per quelli più ottusi – non appare certo “una bella persona” (nemmeno a me). Non solo: anche l’elettorato radicale assai libero ed erratico, respira un senso comune che, in questo caso, non sembra privo di fondamento: il leader della Destra non risulta solo totalmente estraneo ai valori, anche nella versione più essenziale e sobria dei radicali (cosa che di per sé non impedirebbe l’alleanza per un unico e  circoscritto obiettivo), ma ne risulta il nemico più aggressivo. E, se permettete, più triviale. Insomma, Marco Pannella, che ha avuto lo straordinario merito di fare del corpo e delle sue emozioni una risorsa pubblica, senza ridurla a espediente demagogico, questa volta ha sottovalutato la sacrosanta emotività del corpo militante dei radicali.
il Foglio 22 gennaio 2013
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Commenti (2)
  • andrea  - il corpo dei radicali
    perfetto
  • giovanni  - bell'articolo però....
    Bello quest'articolo, anche se la partecipazione ai congressi di Almirante con questa vicenda non c'entra nulla, se non che la incarna il medesimo uomo senza pregiudizi con qualche anno di più. No, per me quello di Pannella è stato semplicemente un moto (forse mal riposto) del cuore e della gratitudine per il dono (greco?) di Storace, ricevuto dopo un digiuno drammatico e una serie di "non possumus" di tutto rilievo. Questo è quanto. I radicali, scandalizzati solo dal fatto che in un momento già difficile per la lista si mettesse altra carne, per di più molto pesante e difficile da digerire, al fuoco, hanno semplicemente detto con durezza al loro sempre amato leader di usare il cuore senza abbandonare la ragione.
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