Passaggio a livello
L’elettroshock Renzi
Ubaldo Pacella
La politica italiana attraversa un elettroshock insospettabile: Matteo Renzi, il Gian Burrasca fiorentino, con il suo team di giovani, amici, sostenitori della prima ora costituiscono un’antinomia per l’esangue sistema socio istituzionale italiano.
Non è questa la sede per esprimere alcuna valutazione di merito sul neo Presidente del Consiglio, perché prematura, poco argomentabile, costruita eventualmente con il bizzarro metodo critico di un’idea precostituita con la quale piegare i fatti alla propria interpretazione. Intendo, invece, soffermarmi su alcune questioni, o meglio sarebbe definirle anomalie, che scandiscono le ultime settimane, costellando di imprevisti l’agenda politica del nostro Paese. Veniamo ai fatti, sforziamoci di utilizzare quel metodo critico che in letteratura fu di Contini, di Carlo Salinari, di Ezio Raimondi, di Cesare Segre per ricordare solo alcuni dei grandi maestri del secondo Novecento. Partiamo da un’analisi scrupolosa e ponderata di fatti ben chiari sui quali costruire le argomentazioni attraverso cui possiamo interpretare, in questo caso, scelte di governo o istituzionali.
Matteo Renzi, piaccia oppure no, com’è di solare evidenza tra parlamentari e apparati di partito, è diventato Presidente del Consiglio con una scelta ruvida, strattonando non poco una prassi di modesta reminiscenza, senza usare guanti di velluto per spingere con mano d’acciaio e pacche non amichevoli e ben sotto le spalle il suo compagno di partito e noto gentleman Enrico Letta. Costui, forse a ragione dei propri modi eleganti, di una raffinata disponibilità verso gli altri, di un autocontrollo più anglosassone che latino del resto aveva contribuito a piene mani ad aiutare lo scalpitante Gian Burrasca con una sequenza di mancate decisioni, una squadra di governo raccogliticcia e senza nerbo, prigioniero in tutta evidenza di ogni tipo di corporativismo e del reale strangolamento da parte di una burocrazia onnivora e sempre più inquieta. Il rilancio escogitato come estremo sussulto alla ventiseiesima ora non poteva certo reggere l’urto di una forza di movimento come quella avviata da Renzi che ricorda, nel paragone con la storia militare del ‘900 la campagna di Francia delle Panzer-Division del generale Heinz Guderian. L’offensiva del generale tedesco nel 1940 sbaragliò i francesi, pose in ridicolo la linea Maginot e consentì alle truppe di Hitler di arrivare a Parigi in due settimane.
Non ce ne voglia il nostro lettore, come direbbe Manzoni, per un parallelismo militaresco più che irruento, ma oggi la presenza di Renzi a Palazzo Chigi si può ben dire sia accolta non come l’irriverente dinamismo di un giovane sfrontato, bensì nel più preoccupante, per loro, disegno di chi pretende di gettare via minestra e stoviglie, sia quelle di ceramica forse anche quelle d’argento.
Non intendo, lo chiarisco in modo quasi stucchevole, parlare di Matteo Renzi bensì di quello che oggi si sta determinando tra i politici italiani soprattutto tra molti dei parlamentari del PD, ancor più nella sua nomenclatura storica.
La sicumera saccente mista di arroganza del Gian Burrasca fiorentino ricorda alcuni passaggi cruciali della storia repubblicana del secondo dopoguerra. Torna alla memoria il secondo ministero di Amintore Fanfani 1958, nato dopo aver conquistato la segreteria DC all’indomani di un’aspra contesa. Discorso analogo si potrebbe richiamare per il primo governo di centrosinistra guidato da Aldo Moro nel 1963. Il cambio poco istituzionale di un Presidente del Consiglio senza modificare le maggioranze parlamentari non è una novità renziana e dovrebbe convincere anche i più ostili a trovare idee più sottili per una polemica pungente. Archiviato l’arrivo del “fiorentino” a Palazzo Chigi soffermiamoci per qualche paragrafo sulle conseguenze politiche che sta determinando.
I gruppi parlamentari del PD appaiono sordamente ostili, non solo per frange di irriverenti protagonismi individuali, bensì per una malmostosa preoccupazione dovuta al fatto che l’inquilino di Palazzo Chigi è con assoluta trasparenza fuori dalle logiche di apparato del partito. Avversato da sempre in periferia, da sempre, occorre comunque riconoscerglielo vincente tra gli elettori. Una persona che ha saputo sostenere con provocatoria sportività ( “ho fatto una cosa di sinistra :ho perso”) la sconfitta alle primarie contro Bersani voluta da un partito che pensava già di avere in mano lo scettro per governare e la chiave per aprire tutte le poltrone della Repubblica e che invece si è ritrovata con un pugno di mosche in mano, problemi insolubili da risolvere, un Berlusconi inopinatamente vivace e rilanciato, un Paese in ginocchio sia per la crisi economica, sia e forse più ancora per quella morale e politica.
Abbiamo assistito nelle ultime settimane ad un atteggiamento nuovo e questo sì irrituale di un partito di maggioranza relativa apertamente critico in solitario del proprio segretario che assume la carica di Presidente del Consiglio, con una decisione a larghissima maggioranza votata dalla direzione del partito. Ciò non evita che i gruppi parlamentari, disegnati nei fatti dalla burocrazia bersaniana, mal digeriscano una novità ormai ineludibile. Ritengo che sarebbe quanto mai auspicabile per l’Italia, ma soprattutto per il PD, una sorta di elaborazione del lutto. Se ne facciano una ragione quanti appaiono legati ad un ideologismo “sinistroide” che nella società globalizzata attuale potrebbe ben figurare in un museo ad Alexanderplatz di Berlino assieme alle icone di Lenin, al Libretto rosso di Mao e come alle effigi di Castro e di Che Guevara. Una nostalgia mitologica che non ha né presente né tantomeno futuro politico.
Mi chiedo come possa un partito che sente la consapevolezza di esprimere una visione aperta e progressista della società, rinchiudersi in un ostracismo sofferto e talvolta malamente soffocato nei confronti di un leader che, al netto di alcune smargiassate che evocano le pagine più preziose di Rabelais, parla un linguaggio diretto, fatto di cose normali, che la gente comune apprezza. Qualsiasi elementare strategia politica dovrebbe suggerire una crescita di consenso, una salda ed univoca visione di breve e medio periodo, una compattezza mai raggiunta prima attorno alla figura di un “capo” che sembra riuscire a contaminare in positivo la società, risvegliarne l’orgoglio e le energie, disegnare un possibile, ambizioso rinascimento italiano per lo più in un momento in cui il centro destra è, come mai negli ultimi vent’anni, diviso, balbettante, ondivago in una convergenza sull’indifferibile riforma costituzionale dello Stato, ma al tempo stesso orfano di una strategia di breve e medio periodo nonché’ dell’unico leader che abbia espresso in venti anni.
Assistiamo, invece, più preoccupati che con sconcerto al fatto che esigue figure, per lo più sbiadite o consunte dal tempo siano esse pasionarie d’antan o invecchiati esponenti di quelli che furono i giovani comunisti di Berlingueriana ispirazione siano oggi i critici più evidenti e puntuti dell’azione del governo, tanto tra i mezzi d’informazione quanto nelle aule parlamentari. Queste ultime, per la verità, alimentano una sottile guerriglia fatta di sbiadite bandiere che poco o nulla richiamano ad una politica di alto profilo. Vuole il PD cambiare radicalmente il paese? Oppure è espressione di apparati della conservazione come quelli di una CGIL che costringe la signora Camusso a repentini cambi di profilo nel giro di poche ore?
La spinta riformista è solida o apparente? La ricerca di una società più equa, moderna, in grado di assicurare un lavoro, un futuro, una dignità ai nostri figli e ai nostri nipoti è la priorità di noi spiriti liberi o anche degli esponenti del PD? Se così fosse non si tratta di sostenere un qualsivoglia Renzi, giacche’ nella storia d’Italia, ancor più in quella fiorentina, la parabola dei fustigatori è destinata ad esaurirsi rapidamente già all’epoca di savonarola. Quello che non saprà o non vorrà fare Matteo Renzi lo dovrebbe pretendere, completare e innervare di qualità proprio l’anima progressista, democratica e innovativa di un PD finalmente partito del ventunesimo secolo.
Si può invece conciliare il fatto che troppe frange o esponenti in qualche rilievo, almeno dal punto di vista dell’informazione pregiudichino dopo poche settimane la ricerca di consenso e di novità espressa dal loro leader? Io ritengo proprio di no. Questa è una esplicita anomalia italiana. Non si sviluppano idee nuove pungolando il Presidente del Consiglio a fare di più, a correre, a trarre fuori il Paese da una palude di sabbie mobili che ne ha risucchiato ogni energia, reddito e qualità del welfare da ogni trent’anni, bensì si diventa alleati di quella conservazione, delle strutture di potere, degli apparati, di tutti coloro che mirano a difendere posizioni di retroguardia costruite in questo periodo a danno degli italiani liberi, di quel popolo senza padroni, capace di creare e competere ma soggiogato da ogni forma di prevaricazione che il PD dovrebbe rappresentare in modo quasi univoco.
Questi critici della prima ora del renzismo sono tra l’altro i reduci di un ventennio di sconfitte politiche e sociali. Molti eletti non con i voti del popolo sovrano bensì nel listino del segretario bersaniano o con un premio di maggioranza assegnato da un porcellum che in cuor loro troppi protagonisti del PD vorrebbero ancora mantenere. Politici che difficilmente potrebbero racimolare un numero credibile di voti ma che oggi, senza molte virtù apparenti, criticano il loro segretario senza proporre attrattive, idee, quand’anche divergenti.
Vorrei sapere da costoro se pensano che l’eventuale caduta di Renzi, o la sua perdita di leadership potrebbe garantire un futuro al PD. Io ritengo che il partito ne sarebbe travolto in termini politici e sociali. Un fallimento oggi dell’autorità di Renzi significherebbe condannare il PD alla stregua di quello che è già avvenuto per il PSI di Craxi e il Partito Popolare di Martinazzoli: la mera scomparsa dal palcoscenico pubblico italiano.
Un’attenta riflessione meriterebbero le idee di profonda trasformazione della struttura dello Stato a cominciare dall’ineludibile riforma del titolo V della Costituzione per restituire rapidità e centralità di decisioni strategiche al Governo e al Paese. Non riusciremo a produrre nessun tipo di ricchezza per il nostro futuro sino a che, a mero titolo di esempio, un gasdotto transcontinentale dall’Asia all’Italia il Tap che attraversa numerosi stati dallo Azerbaijan alla Turchia, all’Adriatico per circa 900 km segna il passo perché’ alcune comunità locali della Puglia per soli 8,5 km non hanno fornito le necessarie autorizzazioni. Vorrei una discussione ampia sulle conseguenze di scelte irresponsabili come quelle di un federalismo a la cart che ha fatto esplodere in quindici anni del 150% la spesa pubblica italiana, delle conseguenze prodotte da una revisione della burocrazia in salsa bassaniniana che ha consentito a manager e superburocrati pubblici di garantirsi stipendi milionari, rendite di posizione principesche, di gran lunga superiori a quelli di omologhi privati, che comunque sono pagati dagli azionisti e non dai lavoratori e dai pensionati italiani, insieme ad un sostanziale immobilismo e nessuna effettiva responsabilità, tantomeno patrimoniale nelle scelte gestionali operate.
Dobbiamo cambiare volto, pelle e sostanza al nostro Paese, occorre infondere nei giovani e in noi stessi la consapevolezza che qualità, impegno, talento, merito sono gli unici modelli per programmare il proprio futuro. Si tratta di scoprire idealità innovative, capaci di coniugarsi con un’etica della solidarietà che ci viene dalla grande tradizione italiana cattolica e sociale, che dovrà traguardarsi alle sfide sempre più impegnative di una società da ridisegnare integralmente. Questo vorrei fosse il dibattito di fondo del PD. Renzi o non Renzi, non me ne voglia il giovane dioscuro di Palazzo Chigi, che potrebbe rivelarsi solo un accidente, io spero positivo non certo un elemento ostile, una risorsa dell’oggi perché’ di ben altro avremo bisogno domani, mai di censori scarsamente utili e portatori solo di vetuste, polverose parole d’ordine, incapaci di scaldare alcun cuore.
20 marzo 2014