Gli opposti del carattere nazionale
Luigi Manconi
Ogni giorno che passa, il naufragio della Concordia offre un’ulteriore scena, intensa e drammatica, di quella che sembra costituire una Rappresentazione Collettiva dell’identità italiana. Non c’è da stupirsi: è nei momenti di crisi, quando si manifesta una rottura irreparabile, che il carattere nazionale si mostra pienamente e impietosamente, con le sue grandezze e le sue miserie. Di conseguenza, quella notte all’Isola del Giglio ci ha consegnato e continua a consegnarci una serie di immagini che, anche quando deformate dall’enormità dell’accaduto, rivelano un atteggiamento, spiegano una mentalità, disegnano un costume. Quella Rappresentazione ha messo a disposizione, nelle ultime ore, un dialogo davvero eccezionale, qualcosa di eccessivo e, allo stesso tempo, di assolutamente sincero. Qualcosa di così peculiare da sembrare irripetibile e, tuttavia, a tal punto prevedibile da risultare scontato: ma proprio per questo vero, verissimo. È il colloquio tra il comandante della Concordia, Francesco Schettino, e l'ufficiale della Guardia Costiera Gregorio De Falco, alle ore 1.46 di sabato 14 gennaio: un dialogo talmente esemplare di due mentalità e di due stati d’animo da sembrare inventato, scritto da uno sceneggiatore iperrealista, che calca la mano, disegnando tratti psicologici così riconoscibili da apparire fin troppo schematici. Ma sono proprio quelli i connotati caratteriali profondi di Schettino e di De Falco come emergono in uno stato di emergenza. De Falco: “Ascolti: c'è gente che sta scendendo dalla biscaggina di prua. Lei quella biscaggina la percorre in senso inverso  sale sulla nave (…) Chiaro? Mi dice se ci sono bambini, donne o persone bisognose di assistenza. E mi dice il numero di ciascuna di queste categorie. E' chiaro? Guardi Schettino che lei si è salvato forse dal mare ma io la porto... veramente molto male... le faccio passare un'anima di guai. Vada a bordo, cazzo!”. Schettino: “Comandante, per cortesia...”. De Falco: “No, per cortesia... lei adesso prende e va a bordo. Mi assicuri che sta andando a bordo...”. Schettino: “Io sto andando qua con la lancia dei soccorsi, sono qua, non sto andando da nessuna parte, sono qua...”.  In questa trascrizione mancano, va da sé, i toni e i suoni che la registrazione riporta fedelmente: la voce di De Falco è decisa, priva di concitazione, ma ultimativa. Esprime un’autorità consapevole e lucida, che non ammette repliche. La risposta di Schettino appare subito elusiva, reticente e imbarazzata: tanto più quando De Falco, resosi conto dello stato mentale del suo interlocutore, oscillante tra codardia e panico, decide di forzare la situazione: “che sta facendo comandante?”. Schettino: “Sto qua per coordinare i soccorsi...”. De Falco: “Che sta coordinando lì? Vada a bordo. Coordini i soccorsi da bordo. Lei si rifiuta? “. Schettino: “No no non mi sto rifiutando”. De Falco: “Lei si sta rifiutando di andare a bordo comandante? Mi dica il motivo per cui non ci va?”.  Schettino: “Non ci sto andando perché ci sta l'altra lancia che si è fermata...”. De Falco: “Lei vada a bordo, è un ordine. Lei non deve fare altre valutazioni. Lei ha dichiarato l'abbandono della nave, adesso comando io”.
Come vedete, se fosse un film, la sceneggiatura sarebbe perfetta e perfetti i dialoghi. De Falco sarebbe interpretato, che so, da Sean Connery (ricordate Caccia all’ottobre rosso?) e Schettino da uno di quegli attori inglesi, nevrotici e pusillanimi, come Michael Caine o Peter O'Toole. Ma non si tratta di un film e, dunque, è inevitabile pensare che quei due atteggiamenti rappresentino due Italie che, mai come in questa occasione, si rivelano inconciliabili. L’Italia che si arrangia e che cerca di sfangarla anche nelle circostanze più drammatiche, che farfuglia giustificazioni e precostituisce alibi (“si rende conto che qui è buio e non si vede niente?”), che si sposta un po’ di lato e fa un passo indietro per non lasciarsi inquadrare e per confondere le proprie responsabilità con quelle di altri (“Sono assieme al comandante in seconda”).  Di fronte a lui si staglia – è proprio il caso di dire - la figura di De Falco, al quale il destino ha voluto dare, per giunta, una voce dall’intonazione robusta e dal linguaggio geometrico: incarnazione ruvida ed efficientissima di quell’etica della responsabilità di cui parla Max Weber. Ora è giusto dire che De Falco rappresenta un paese che nonostante tutto è capace di affrontare le emergenze e di decidere nello stato d’eccezione (Carl Schmitt) quando è in gioco lo stesso fondamento, giuridico e morale, dell’autorità, quella che merita rispetto perché tutela l’incolumità dei cittadini. Ma questa Italia “che funziona”, che è competente e determinata, che compie il proprio dovere anche in condizioni ostili, è stata rappresentata altrettanto bene dall’opera di soccorso, scattata immediatamente dopo il naufragio. Forze dell’ordine e cittadini, Protezione Civile e volontari, hanno mostrato non solo generosità, ma anche – ed è ciò che più conta – intelligenza e coraggio e hanno fatto sì che il numero delle vittime non fosse ancora più alto. A fronte di ciò, l’irresponsabilità di Schettino è quella che appare come “la tragedia di un uomo ridicolo”, che determina un disastro per una inaudita leggerezza e che, come è stato inadeguato a reggere il timone di quell’enorme nave, si rivela ancora più inadeguato a portarla in salvo.  Ora, Schettino è agli occhi di tutti, e non potrebbe essere altrimenti, il capro espiatorio. Ma non si può consentire che l’individuazione così rapida e facile di un colpevole rappresenti un alibi per non indagare su altre colpe, forse molte altre colpe, anche a un livello più elevato. E si deve evitare che Schettino sia considerato un’anomalia: tanto più se fosse vero che, a quegli scellerati “inchini”, tanti comandanti si prestano quotidianamente; e tanto più se si confermasse che quel misto di disorganizzazione e sprovvedutezza rivelato dall’operazione di evacuazione della Concordia non fosse un’esclusiva di quella nave. Insomma prima di rispecchiarci e identificarci virtuosamente nell’ufficiale della Guardia Costiera De Falco, dobbiamo sapere che anche il comandante Schettino è parte, e non insignificante, del carattere nazionale, rappresenta nostri vizi e nostre miserie, parla di noi. Non dimentichiamolo mentre ascoltiamo e riascoltiamo Gregorio De Falco che parla proprio come Sean Connery in Caccia all’ottobre rosso.
il Messaggero 18 gennaio 2012
Gli opposti del carattere nazionale
Luigi Manconi
Ogni giorno che passa, il naufragio della Concordia offre un’ulteriore scena, intensa e drammatica, di quella che sembra costituire una Rappresentazione Collettiva dell’identità italiana. Non c’è da stupirsi: è nei momenti di crisi, quando si manifesta una rottura irreparabile, che il carattere nazionale si mostra pienamente e impietosamente, con le sue grandezze e le sue miserie. Di conseguenza, quella notte all’Isola del Giglio ci ha consegnato e continua a consegnarci una serie di immagini che, anche quando deformate dall’enormità dell’accaduto, rivelano un atteggiamento, spiegano una mentalità, disegnano un costume.
Quella Rappresentazione ha messo a disposizione, nelle ultime ore, un dialogo davvero eccezionale, qualcosa di eccessivo e, allo stesso tempo, di assolutamente sincero. Qualcosa di così peculiare da sembrare irripetibile e, tuttavia, a tal punto prevedibile da risultare scontato: ma proprio per questo vero, verissimo. È il colloquio tra il comandante della Concordia, Francesco Schettino, e l'ufficiale della Guardia Costiera Gregorio De Falco, alle ore 1.46 di sabato 14 gennaio: un dialogo talmente esemplare di due mentalità e di due stati d’animo da sembrare inventato, scritto da uno sceneggiatore iperrealista, che calca la mano, disegnando tratti psicologici così riconoscibili da apparire fin troppo schematici. Ma sono proprio quelli i connotati caratteriali profondi di Schettino e di De Falco come emergono in uno stato di emergenza. De Falco: “Ascolti: c'è gente che sta scendendo dalla biscaggina di prua. Lei quella biscaggina la percorre in senso inverso  sale sulla nave (…) Chiaro? Mi dice se ci sono bambini, donne o persone bisognose di assistenza. E mi dice il numero di ciascuna di queste categorie. E' chiaro? Guardi Schettino che lei si è salvato forse dal mare ma io la porto... veramente molto male... le faccio passare un'anima di guai. Vada a bordo, cazzo!”. Schettino: “Comandante, per cortesia...”. De Falco: “No, per cortesia... lei adesso prende e va a bordo. Mi assicuri che sta andando a bordo...”. Schettino: “Io sto andando qua con la lancia dei soccorsi, sono qua, non sto andando da nessuna parte, sono qua...”.  In questa trascrizione mancano, va da sé, i toni e i suoni che la registrazione riporta fedelmente: la voce di De Falco è decisa, priva di concitazione, ma ultimativa. Esprime un’autorità consapevole e lucida, che non ammette repliche. La risposta di Schettino appare subito elusiva, reticente e imbarazzata: tanto più quando De Falco, resosi conto dello stato mentale del suo interlocutore, oscillante tra codardia e panico, decide di forzare la situazione: “che sta facendo comandante?”. Schettino: “Sto qua per coordinare i soccorsi...”. De Falco: “Che sta coordinando lì? Vada a bordo. Coordini i soccorsi da bordo. Lei si rifiuta? “. Schettino: “No no non mi sto rifiutando”. De Falco: “Lei si sta rifiutando di andare a bordo comandante? Mi dica il motivo per cui non ci va?”.  Schettino: “Non ci sto andando perché ci sta l'altra lancia che si è fermata...”. De Falco: “Lei vada a bordo, è un ordine. Lei non deve fare altre valutazioni. Lei ha dichiarato l'abbandono della nave, adesso comando io”.
Come vedete, se fosse un film, la sceneggiatura sarebbe perfetta e perfetti i dialoghi. De Falco sarebbe interpretato, che so, da Sean Connery (ricordate Caccia all’ottobre rosso?) e Schettino da uno di quegli attori inglesi, nevrotici e pusillanimi, come Michael Caine o Peter O'Toole. Ma non si tratta di un film e, dunque, è inevitabile pensare che quei due atteggiamenti rappresentino due Italie che, mai come in questa occasione, si rivelano inconciliabili. L’Italia che si arrangia e che cerca di sfangarla anche nelle circostanze più drammatiche, che farfuglia giustificazioni e precostituisce alibi (“si rende conto che qui è buio e non si vede niente?”), che si sposta un po’ di lato e fa un passo indietro per non lasciarsi inquadrare e per confondere le proprie responsabilità con quelle di altri (“Sono assieme al comandante in seconda”).  Di fronte a lui si staglia – è proprio il caso di dire - la figura di De Falco, al quale il destino ha voluto dare, per giunta, una voce dall’intonazione robusta e dal linguaggio geometrico: incarnazione ruvida ed efficientissima di quell’etica della responsabilità di cui parla Max Weber. Ora è giusto dire che De Falco rappresenta un paese che nonostante tutto è capace di affrontare le emergenze e di decidere nello stato d’eccezione (Carl Schmitt) quando è in gioco lo stesso fondamento, giuridico e morale, dell’autorità, quella che merita rispetto perché tutela l’incolumità dei cittadini. Ma questa Italia “che funziona”, che è competente e determinata, che compie il proprio dovere anche in condizioni ostili, è stata rappresentata altrettanto bene dall’opera di soccorso, scattata immediatamente dopo il naufragio. Forze dell’ordine e cittadini, Protezione Civile e volontari, hanno mostrato non solo generosità, ma anche – ed è ciò che più conta – intelligenza e coraggio e hanno fatto sì che il numero delle vittime non fosse ancora più alto. A fronte di ciò, l’irresponsabilità di Schettino è quella che appare come “la tragedia di un uomo ridicolo”, che determina un disastro per una inaudita leggerezza e che, come è stato inadeguato a reggere il timone di quell’enorme nave, si rivela ancora più inadeguato a portarla in salvo.  Ora, Schettino è agli occhi di tutti, e non potrebbe essere altrimenti, il capro espiatorio. Ma non si può consentire che l’individuazione così rapida e facile di un colpevole rappresenti un alibi per non indagare su altre colpe, forse molte altre colpe, anche a un livello più elevato. E si deve evitare che Schettino sia considerato un’anomalia: tanto più se fosse vero che, a quegli scellerati “inchini”, tanti comandanti si prestano quotidianamente; e tanto più se si confermasse che quel misto di disorganizzazione e sprovvedutezza rivelato dall’operazione di evacuazione della Concordia non fosse un’esclusiva di quella nave. Insomma prima di rispecchiarci e identificarci virtuosamente nell’ufficiale della Guardia Costiera De Falco, dobbiamo sapere che anche il comandante Schettino è parte, e non insignificante, del carattere nazionale, rappresenta nostri vizi e nostre miserie, parla di noi. Non dimentichiamolo mentre ascoltiamo e riascoltiamo Gregorio De Falco che parla proprio come Sean Connery in Caccia all’ottobre rosso.
il Messaggero 18 gennaio 2012
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