Marijuana di stato
Luigi Manconi
In un Foglio, che sembra ormai il Re Nudo dei magici anni 1970-75, con Giuliano Ferrara che canta Pollution E Foetus con una intensità come nemmeno Francolino Battiato, e con Maurizio Crippa che conversa di spiritualità con Alan e Jenny Sorrenti, è d'obbligo riprendere il discorso sull'antiproibizionismo in materia di derivati della cannabis indica. Intanto, e in omaggio al titolo di questa rubrica e all'inderogabile esigenza di chiamare le cose col loro vero nome, una preliminare questione di linguaggio. Nell'editoriale dell'8 gennaio scorso, il Foglio parla ripetutamente - per auspicarne l'attuazione - di "liberalizzazione" delle droghe cosiddette leggere. E' un errore semantico particolarmente grave, capace di determinare enormi equivoci. Liberalizzazione, infatti, corrisponde esattamente al regime in vigore oggi in Italia. Ovvero la possibilità di acquistare qualunque sostanza stupefacente, a tutte le ore del giorno e della notte, in qualunque via o piazza delle nostre città, presso uno dei numerosissimi esercizi commerciali illegali: gli spacciatori, cioè.

Legalizzazione, invece, è il suo opposto ed è il quadro e la prospettiva in cui collocare il disegno di legge sulla depenalizzazione dei derivati della cannabis da me presentato lo scorso 7 gennaio in Senato. Legalizzazione, cioè, come regolamentazione di produzione, commercio e consumo di hashish e marijuana, all'interno di un sistema di vincoli e limiti, di tassazione e controllo. Il medesimo regime, cioè, al quale vengono sottoposte sostanze perfettamente legali come alcol e tabacco; sostanze il cui abuso produce effetti nocivi altrettanto gravi (probabilmente assai gravi) di quelli determinati dall'abuso di cannabis.
Ma, per fare un ulteriore passo avanti, è utile parlare delle virtù terapeutiche di quelle stesse sostanze. Durante i tempi più bui dell’ultima war on drugs, pazienti per diverse patologie, da quelle neurologiche a quelle oculistiche, si sono scambiati suggerimenti su dosi e modalità del consumo di marijuana necessarie, al fine di alleviare le proprie sofferenze e migliorare le proprie condizioni di salute. Poi, mano a mano, il muro proibizionista si è andato sgretolando e la legittimità dell’uso terapeutico della marijuana (insieme con le strategie di riduzione del danno) è stata la prima forma di riconversione delle politiche in materia di droghe. In America, sono già ventuno gli Stati dell’Unione che consentono l’uso terapeutico dei derivati della cannabis; e anche in Italia qualche passo positivo è stato fatto. Neanche un anno fa l'allora ministro della Salute, Renato Balduzzi, ha inserito i “medicinali di origine vegetale a base di cannabis (sostanze e preparazioni vegetali, inclusi estratti e tinture)”  tra le sostanze psicoattive autorizzate a fini medici. E nel frattempo alcune Regioni (Toscana e Puglia, tra le altre) ne hanno disciplinato le modalità di distribuzione a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
Cio' nonostante, l’uso terapeutico della marijuana è ancora molto limitato nel nostro Paese ed è ancora lontanissimo dal rispondere in maniera adeguata alla domanda di pazienti medici. Pesano vincoli  legali e burocratici nella produzione, distribuzione e prescrizione dei farmaci. Di conseguenza, è utile un ulteriore passaggio legislativo, che semplifichi le procedure e faciliti l’offerta dei preparati a base di cannabinoidi.  E’ questa la ratio di un disegno di legge da me presentato  che estende la categoria dei soggetti autorizzati alla coltivazione di piante di cannabis per scopi scientifici, sperimentali o comunque terapeutici ricomprendendovi anche le persone giuridiche private, così superando la rigidità del testo normativo vigente, che ha impedito di fatto lo sviluppo di tali attività. La proposta semplifica notevolmente le modalità di importazione, prescrizione e dispensazione dei farmaci contenenti cannabis indica, consentendo in particolare che la prescrizione possa comprendere il dosaggio o le preparazioni comunque necessarie fino a sei mesi di cura. Al Ministero della Salute spetterebbe una specifica attività di informazione, con l’obiettivo di far conoscere l’impiego appropriato dei medicinali contenenti i princìpi attivi della pianta.
Naturalmente sarebbe espressamente legittima  la coltivazione delle piante di marijuana per farne uso personale, in relazione ad esigenze terapeutiche proprie, dei propri congiunti o conviventi, ma il disegno di legge introduce anche una specifica causa di non sanzionabilità (anche in via amministrativa) di chi si procuri o comunque disponga di cannabis per fini terapeutici propri, di un prossimo congiunto o convivente. Peraltro, la proposta rimodula il reato di prescrizione abusiva, la cui attuale formulazione, inducendo timore nei medici, ha fortemente limitato il ricorso a terapie a base di sostanze quali, tra gli altri, i cannabinoidi. Palesemente, questa proposta può apparire come eccessivamente macchinosa e burocratica, ma attualmente è ciò che può garantire, allo stesso tempo, libertà terapeutica e tutela dall'abuso.
Il Foglio 14 gennaio 2013

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