PASSAGGIO A LIVELLO
Renzi o del terrore del cambiamento.

Ubaldo Pacella
La politica italiana esprime, in queste settimane, un turbinio di considerazioni, una messe di allocuzioni più o meno icastiche, conflitti linguistici, distinguo accademici o invettive populiste da bar di paese, ben più che da salotti televisivi. Il tema del contendere sarebbe la proposta di legge elettorale soprannominata Italicum, scaturita da un accordo di massima tra il segretario del PD Matteo Renzi e il padre padrone di Forza Italia Silvio Berlusconi.

Il piglio improntato al decisionismo del sindaco di Firenze, una sua dialettica essenziale, l’oratoria scandita da piccole affermazioni ad effetto e slogan comprensibili ai più, quanto una sottile ovvietà nelle ragioni che esprime, hanno creato un consenso diffuso verso un leader “nuovo” nella babele del PD. Altrettanta resistenza viene opposta da parte della classe politica, per un grumo di ragioni che da idee, stili e necessità differenti si coagula contro quella spinta ad un cambiamento diffuso, capace di minare potere e credibilità di quanti nei decenni trascorsi si sono proposti come strumenti per perpetuare la salvaguardia di interessi particolari, a scapito di intere generazioni e della stessa tenuta sociale dell’Italia.
La cultura politica cui debbo la mia formazione è del tutto aliena alla figura del leader carismatico.  Mi sono sempre riconosciuto nel dialogo, nel confronto critico, soprattutto nel rispetto dell’altro anche nel contrasto più evidente delle tesi. Toni, metodi e ostentazioni di Matteo Renzi non suscitano, quindi, simpatia a prima vista, né sono incline al consenso diffuso, come alle mode. Le mie informazioni sono carenti, generiche, quanto imprecise per sapere se l‘attuale sindaco di Firenze potrà divenire uno statista, l’epigono di La Pira o una delle tante effimere meteore politiche che hanno attraversato l’orizzonte italiano, finendo per evaporare come Mario Segni in un solo giro di valzer, per non aver colto al volo la sottile feritoia schiusa da una richiesta di novità, sempre avversata dalle poliformi espressioni della conservazione e del potere. Una lotta strenua per lo status quo che inopinatamente ha visto, in questi decenni, in prima fila proprio la sinistra estrema. Il risultato è quello di un Paese impoverito e impaurito dove la ricchezza si è polarizzata come non mai,  con appena il 10 per cento dei cittadini che possiede oltre il 46 per cento della ricchezza nazionale. Un naufragio, del resto, cui ha contribuito in modo preponderante una destra sgangherata, statalista, alimentata da prebende pubbliche, prona ad ogni interesse di parte o peggio occulto, la cui ignavia ha prodotto una crescita spropositata del bilancio dello Stato, fallendo in modo  clamoroso gli obiettivi di riduzione generale delle tasse, la liberalizzazione dell’economia, l’efficienza degli apparati centrali e periferici, sommando a questo un ceto politico infingardo, dedito all’interesse personale o di una ristretta cerchia, spesso inetto quanto incapace a decidere.
Gli italiani appaiono stanchi e sfiduciati, bersagliati da ogni tipo di malversazione, di inefficienza, di sopruso.  Le famiglie hanno sulle spalle il 40% circa di giovani senza lavoro, dato sconvolgente al pari della lentezza della burocrazia, della giustizia con circa 9 milioni di processi arretrati, di una evasione fiscale senza limiti o rimedi, valutata dal responsabile dell’Agenzia delle entrate, Attilio Befera, nella cifra monstre  di oltre 500 miliardi di euro, buona parte dei quali rappresentano ormai crediti inesigibili.
Cittadini, imprenditori, studiosi, sindacati, famiglie, persino la Chiesa cattolica invocano a gran voce un cambiamento radicale, una modernizzazione diffusa del Paese, l’eliminazione di vincoli, lacci e lacciuoli che hanno decretato il declino dell’Italia.
Matteo Renzi, al di là di ogni suo limite più o meno evidente, incarna e dà voce a questa richiesta diffusa che viene dal basso della società, dalla pancia diremmo tristemente vuota della popolazione. Farla finita con ogni tipo di dialettica politica incapace di produrre un solo effettivo cambiamento, votata all’irrilevanza, per di più mantenuta a spese della parte  più fragile e meno ricca del Paese.
Le riforme costituzionali adombrate da Renzi, dalla revisione indifferibile del Titolo V al ridimensionamento di ruolo e costi delle regioni, dal superamento delle province alla trasformazione del Senato, al monocameralismo rappresentano per i cittadini un obiettivo primario. Senza queste decisioni l’Italia non avrà futuro. Non riuscirà a dare lavoro e opportunità ai giovani, né potrà pagare le pensioni, ultimo confine del welfare pubblico.
Sono questioni ampiamente dibattute e condivise in ogni sede sociale, sulle quali l’intera classe politica ha il timore di esprimersi, perché sarebbe spazzata via dal consenso collettivo. Nessuno si erge dialetticamente a difensore dell’ordinamento attuale, per paura e convenienza. Ecco quindi la necessità di alimentare lo scontro proprio sulla legge elettorale, il tassello meno prezioso del puzzle con il quale Renzi ha convinto Berlusconi a misurarsi, abbandonando ogni velleità di elezioni a breve o di dichiarato sfascismo.
La partita della conservazione si gioca proprio su questo. Provocare e ingigantire lo scontro sulla legge elettorale, che non appassiona i cittadini, sulla quale ogni opinione diviene legittima per far naufragare ancora una volta dopo un trentennio di delusioni la vera modernizzazione dello Stato e della società.
Lo ribadisco con ribalda provocazione: per realizzare le riforme costituzionali sono disposto ad accettare ogni legittimo compromesso, una qualsivoglia legge elettorale, persino il rischio che il berlusconismo vada al ballottaggio.
L’innovazione sociale in Italia deve produrre uno scontro titanico e senza precedenti con tutte le forme di potere trasversale che imbrigliano le energie migliori, piegandole alle necessità di rendite parassitarie: burocrazie, magistrature, corruzione, inefficienze, presenza pervasiva della politica più miope nell’amministrazione, mancanza di scelte strategiche o di una visione di lungo periodo entro la quale collocare sviluppo e trasformazione della società.
Non sarà la buona volontà e il protagonismo mediatico del sindaco di Firenze che ci porterà fuori della palude, senza il concorso onesto e convinto delle migliori energie della società. Il suo è solo un grosso sasso gettato nello stagno, nessuno si illuda che l’onda e il fango che provocherà non lo lambirà, perché le condizioni estreme del Paese fanno si che nulla possa essere gestito come prima, facendo finta che nulla sia avvenuto.

                          

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Commenti (1)
  • Claudia  - Illegittima esclusione dei detenuti del circuito A
    Il DL 146 recante norme sui diritti dei detenuti e sul relativo alleggerimento delle carceri ha avuto la fiducia, tuttavia tra gli emendamenti votati c'è quello che esclude dal beneficio della liberazione anticipata speciale TUTTI i detenuti del circuito di Alta Sicurezza, senza distinzione alcuna. Questo emendamento è, a mio avviso e ad avviso di molti autorevoli giuristi che stanno scrivendo articoli in merito, lesivo del principio di uguaglianza. Si dimentica inoltre che i detenuti di questo circuito soffrono, al pari degli altri detenuti, del sovraffollamento.
    Per questo chiedo a chi sostenga questa posizione di firmare questa petizione:
    http://www.petizionepubblica.it/PeticaoListaSignatarios.aspx?pi=P2014N 45912
    Vi ringrazio!
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