Luigi Manconi
Non si tratta solo di una pessima legge. È una legge illiberale e statalista, invasiva e grossolana, che pretende di imporre una “bioetica di stato” e di intervenire nella sfera più intima e delicata della persona, laddove “le questioni ultime” trovano il loro fondamento e conoscono la loro più dolorosa esperienza.
Non esagero. Se quella normativa diventasse legge dello Stato, nutrizione e idratazione artificiali non sarebbero oggetto delle Dichiarazioni anticipate e, dunque, dell’esercizio di volontà del paziente. Potrebbe verificarsi, pertanto, la seguente situazione. Una persona capace di intendere e di volere, che avesse affidato a un notaio il proprio “Testamento biologico”, non avrebbe alcuna garanzia che la sua volontà venisse rispettata. Se infatti avesse dichiarato di rinunciare a nutrizione e idratazione artificiali, una volta che si trovasse incapace di intendere e di volere, quei trattamenti sanitari (così definiti dalla comunità scientifica e dall’ordine dei medici) potrebbero venirgli imposti. E questo corrisponderebbe a una delle lesioni più gravi e irreparabili mai subite dal nostro ordinamento giuridico e dal fondamentale diritto all’integrità personale. Oltretutto un simile progetto rivela una assai angusta concezione della privacy. Di quest’ultima, si lamenta (non sempre a torto) la costante violazione, ma la si finisce per considerare solo come uno schermo – una sorta di vetro oscurato - a protezione dello spazio domestico e di quanto lì vi si compie. Mentre la categoria di privacy rimanda proprio alla dimensione profonda e costitutiva dell’identità umana e della sua intangibilità. E, dunque, la tutela dell’integrità  del nostro corpo da interferenze altrui (tanto più quelle dell’autorità pubblica) rappresenta un bene preziosissimo. Per questa ragione una normativa che intervenga sulle questioni di “fine vita” deve essere la più intelligente e sensibile, capace di equilibrare diritto alle cure e diritto all’autonomia personale (e, quindi, anche alla rinuncia alle stesse cure), e di combinare “la sovranità su di sé e sul proprio corpo” (John Stuart Mill) con la valorizzazione del rapporto tra l’individuo e la rete familiare, i “mondi vitali”, la cura amorevole, nella fase della massima prostrazione e quando maggiore è il rischio dell’abbandono. Il disegno di legge all’esame della Camera, con la lievità di tocco di un fabbro ferraio, ignora tutto ciò a esclusivo vantaggio di una sorta di paternalismo terapeutico, che svuota le Dichiarazioni anticipate di qualunque qualità di vincolo per gli operatori sanitari. E anche “l’alleanza terapeutica”, giustamente evocata, perde gran parte del suo significato: essa ha un senso, infatti, solo se il dialogo tra medico e paziente prevede che quest’ultimo, fino a quando sia cosciente, possa confrontare le proprie ragioni, anche quelle della propria sofferenza (patita o temuta), con quelle della scienza. In realtà la sensazione è che questo disegno di legge corrisponda a uno scambio simoniaco tra la maggioranza di governo e una parte delle gerarchie ecclesiastiche. Queste temono a tal punto che possa diffondersi una “ideologia eutanasica” da sottovalutare alcune questioni cruciali. Come il fatto che quanto più crescono, anche attraverso il ricorso alle Dichiarazioni anticipate, la consapevolezza e l’autonomia del paziente e quanto più si riduce il “dolore non necessario” tanto più la domanda di eutanasia si fa residuale. Il rischio è un vero e proprio arretramento culturale nella dottrina e nella pastorale, ancora più evidente se si considerano le parole dette da Pio XII nel lontano 1957. Così il Pontefice: “La soppressione del dolore e della coscienza per mezzo dei narcotici è permessa dalla religione e dalla morale al medico e al paziente, anche all’avvicinarsi della morte e se si prevede che l’uso dei narcotici abbrevierà la vita? Se non esistono altri mezzi e se, nelle date circostanze, ciò non impedisce l’adempimento di altri doveri religiosi e morali: Sì”. Se una simile affermazione venisse tradotta in un emendamento alla legge sulle Dichiarazioni anticipate, gli “atei devoti” e i “bacchettoni pagani” che affollano il centro destra, fieramente lo boccerebbero.



Corriere della Sera 26 febbraio 2011


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