Politicamente correttissimo

Scoperte

Perché la Fiom è il vero sindacato all’americana, la Lega non è solo folclore, la radio insegna ancora

Luigi Manconi

1.Lezione di economia. Ho ascoltato Maurizio Landini, segretario generale della Fiom-Cgil, nel corso della trasmissione “Servizio pubblico” di Michele Santoro. Non era la prima volta che mi capitava, certo, ma la struttura della trasmissione e la tipologia degli interlocutori hanno fatto si che, giovedì scorso, il profilo di Landini emergesse con maggiore chiarezza. E mi è sembrato un profilo davvero significativo. Il discorso è indubbiamente delicato, dal momento che la posta in gioco non è esclusivamente di natura sindacale: per una serie di circostanze, il ruolo della Fiom è oggi estremamente politico, anche nel significato più stretto della parola.

Il sindacato dei metalmeccanici, in altri termini, è diventato punto di riferimento per una serie di movimenti e rivendicazioni, contestazioni e organizzazioni che esprimono una vocazione esplicitamente politica; e che hanno come prospettiva il rinnovamento della sinistra in senso radicale. Ma proprio questo consente di cogliere ancora meglio la peculiarità del profilo della Fiom. Essa coltiva un’idea dell’azione sindacale che può risultare estremista perché nega la prospettiva universalistica che siamo stati abituati a riconoscere e ad apprezzare nel sindacalismo italiano degli anni ’80. Quel sindacalismo, nel mentre che si faceva carico dell’interesse nazionale, finiva inevitabilmente per assumere un connotato “moderato”. Inevitabilmente: quanto più il sindacato confrontava, e di conseguenza mediava, l’interesse del reparto o della fabbrica con un interesse più ampio ( di altri strati sociali, dell’intero territorio, dello sviluppo generale) tanto più l’azione sindacale diventava “ragionevole”, ridimensionava i propri obiettivi, attenuava la disponibilità al conflitto. Generalmente, tutto ciò, viene considerato un passo avanti e una acquisizione di maturità. Ma è veramente così? Dalla concentrazione su una prospettiva universalistica, è derivato non solo quel pan-sindacalismo che ha prodotto tanti guai, ma anche un progressivo sradicamento del sindacato dai luoghi della produzione industriale e una minore capacità di tutela del lavoro operaio nelle sue condizioni essenziali: ritmi e mansioni, formazione e tecnologia, turni e organizzazione del tempo. Quella tendenza ha lambito anche i sindacati dei metalmeccanici, ma oggi l’organizzazione di Landini può presentarsi come vero sindacato di fabbrica (o del lavoro salariato, se preferite), tutto concentrato sul conflitto/negoziazione nello spazio dell’industria manifatturiera e della sua crisi. Il che lo rende, per un paradosso solo apparente, il “sindacato americano” per eccellenza, ritrovando vigore e una nuova capacità di rappresentanza. Questo produrrà forse un conflitto industriale più aspro, ma certo più nitido nella definizione degli attori e della posta in gioco.  E a  proposito di rappresentanza: come accettare che a un simile sindacato sia negata la possibilità di presenza e di attività in fabbrica? È una questione di diritto grande come una casa. Possibile che non interessi agli iper-liberali lettori e redattori del Foglio?

2. Lezione di storia. Vabbe’, la Lega è finita, ovvio. Ma proprio per questo è utile soffermarsi sui dettagli. Leghisti di tutte le taglie, militanti in età, ex ministri ed ex sottosegretari, frequentatori di salotti televisivi una sera sì e l’altra pure, eccoli precipitare tutti nell’imbarazzo se si chiede loro cosa pensino della “successione dinastica” tra Umberto Bossi e Renzo Bossi. Nella totalità dei casi le risposte non sono mai nette o completamente negative (tanto meno scandalizzate): tutte prendono in serissima considerazione l’ipotesi che la leadership della Lega sia un bene acquisibile per via ereditaria.  In altre parole l’eventualità di una successione dinastica viene serenamente considerata e ritenuta possibile. Ma perché una simile aberrazione viene, al più, trattata come una bizzarria? Ovvero come un tratto folklorico, e non come una perversione poltico-intellettuale, quale incontrovertibilmente è? Ancora due esempi, tra migliaia possibili, per disegnare il quadro complessivo di un gruppo dirigente anomalo fino alla schizofrenia. Da qualche tempo, accade di sentire Roberto Maroni, fino a pochi mesi fa ministro dell’Interno e

primo custode dell’unità dello Stato nazionale, parlare dello stesso Stato come poteva farlo un militante di via dei Volsci nei bei tempi andati; o come ne parla  oggi un esponente di Forza d’Urto (definizione ancora più mirabile e rassicurante di quella “dei Forconi”). D’altra parte, Maroni è quello che su Facebook si firma “Barbaro sognatore”. Che c’è da stupirsi, dunque? Umberto Bossi, dal canto suo, ha spiegato di essere risolutamente contrario a qualunque intervento economico a favore del restauro del Colosseo in quanto “lì i romani uccidevano i lombardi”. Jacque Le Goff, i suppose.

3.Lezione di musica. Ci sono misteri della conoscenza che, improvvisamente e inopinatamente possono dischiudersi: sulla musica classica ho imparato più cose, più di quante ne abbia appreso nel corso della vita, dall’ascolto di Lezioni di musica condotta da Giovanni Bietti su Rai Radio Tre, dalle 9.30 alle 10 di sabato e domenica. È confortante: imparare si può.

Il Foglio 24 gennaio 2012

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