Senza insulti
Appunti critici sulla strana idea che il professor Panebianco ha dell'accoglienza conveniente
Luigi Manconi
Va da sé che definire Angelo Panebianco "un razzista" è, prima ancora che un insulto, un'assoluta idiozia. Perché, oltretutto, rischia di compromettere la franchezza di una discussione e, quando necessario, di una critica che esigono la massima libertà, anche psicologica, in chi vuole contestare l'autore e i suoi argomenti con altri argomenti. Il tema della polemica è la politica italiana dell'immigrazione e, nell'affrontarlo (Corriere della Sera del 13 gennaio), Panebianco incorre, a mio avviso, in tre errori. Tutto l'articolo, infatti, sembra ruotare intorno all'opposizione inconciliabile tra accoglienza e convenienza. Il politologo definisce accoglienza "il dovere di accogliere i meno fortunati di noi", sostenuto da "certi cattolici" e da "un bel pò di laici; convenienza, invece, corrisponderebbe al "bisogno di contrastare l'invecchiamento della popolazione", e al "bisogno... di forza lavoro aggiuntiva e di nuovi consumatori".

Ebbene, penso che sia proprio la contrapposizione tra quelle due categorie a essere sbagliata. L'accoglienza può essere agevolmente motivata con argomenti tutti correlati a una valutazione di convenienza: o, come forse è meglio dire, di utilità sociale. E così è stato, nei fatti, nell'ultimo quarto di secolo. L'accoglienza, pur così tragicamente insufficiente, si è rivelata un'importante risorsa per il nostro sistema economico: e la bassa qualificazione di una parte della forza lavoro immigrata ha consentito la sopravvivenza, per quanto grama, della nostra arretrata struttura produttiva e della nostra manifattura. E ciò spiega anche come sia stato possibile che, nel corso di questi decenni, non si verificasse un solo episodio rilevante di concorrenza tra italiani e stranieri per il posto di lavoro. La concorrenza c'è stata, sì, intorno a due questioni importanti come il livello dei salari e lo spazio (abitazioni, mezzi di trasporto, convivenza), ma non intorno alla disponibilità di lavoro. Questo significa forse che è "conveniente" accogliere addirittura "tutti"? Ciò che sappiamo è che finora si è operato in senso esattamente opposto. Panebianco, infatti, non considera che, nel corso degli ultimi anni, sono state adottate proprio quelle politiche di "selezione", delle quali lamenta l'assenza e che vorrebbe costituissero il fondamento delle strategie future. La "Bossi-Fini" è esattamente una normativa di selezione degli ingressi e di discriminazione nell'accesso al mercato del lavoro, che ha dominato finora e che al presente non prevede apprezzabili mutamenti. E quella selezione è avvenuta, a partire dal 2002, attraverso la riformulazione dei flussi, adottati sempre con ritardo e a scadenze sempre più ampie e sulla base di tre criteri tassativi: numero massimo consentito, mestieri richiesti, nazionalità scelte. Il tutto è reso più complicato dal fatto che il lavoratore, pur se presente in Italia, deve ritornare al proprio Paese per poi rientrare nel nostro con un nuovo visto d'ingresso. A ciò si aggiunga la macchinosità di tutte le procedure di inserimento lavorativo e, ancor più, quelle relative all'ottenimento della cittadinanza italiana. Tutto questo, peraltro, si è rivelato largamente inadeguato e ha portato a periodiche "sanatorie" per adattare le richieste del mercato del lavoro alla scarsità di manodopera regolare disponibile. E' accaduto così che la "selezione" si è rivelata troppo rigida rispetto alle mutate esigenze della nostra economia e, allo stesso tempo, inadeguata a regolamentare la questione nel suo complesso e ad affrontare quella che è una vera e propria "emergenza demografica". Negli ultimi venticinque anni è diminuito di circa cinque milioni il numero degli italiani nati in Italia da genitori italiani e, senza l'arrivo di cinque milioni di stranieri, avremmo avuto un'autentica rovina economico-sociale. E tra vent'anni? Non sarà forse conveniente, allora, aver accolto un numero adeguato di badanti, ma anche di braccianti e mungitori, operai dell'edilizia e della siderurgia, infermieri e operatori sanitari, addetti alla pesca, ai servizi, alla ristorazione e a chissà quanti altri mestieri e professioni? Il che vuol dire "Accogliamoli tutti"? Non necessariamente, ma quasi. E le eccezioni, non è nemmeno il caso di richiamarle tanto sono evidenti. Infine, Panebianco attribuisce opzioni diverse dalle sue a un vizio ideologico, proprio di "certi cattolici" e di "un bel po' di laici" che dominerebbe la cultura nazionale. In realtà, si tratta di una minuscola componente (che mi è capitato di criticare più di quanto abbia fatto chiunque altro), assai poco rilevante rispetto al peso davvero significativo che ha un'opinione pubblica di segno opposto (che ha prodotto, non a caso, un ministro dell'Interno come Roberto Maroni). Le posizioni che Panebianco attribuisce a "ideologia" propongono, al contrario, una politica di "accoglienza conveniente", sulla base di dati demografici, giuridici, economici e sociali. Si contestino questi, piuttosto. Infine, tra i criteri di "selezione" indicati c'è quello di "favorire l'immigrazione dal mondo cristiano-ortodosso a scapito... di quella proveniente dal mondo islamico". Panebianco è troppo intelligente e colto per paventare una "invasione musulmana", ma non è inutile ricordare che l'Italia secolarizzata sta correndo il rischio di una vera e propria "conquista cristiana". Tra gli immigrati presenti nel nostro Paese, infatti, le varie confessioni cristiane rappresentano quasi il 54% del totale.
il Foglio 21 gennaio 2014

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