Politicamente correttissimo
Gagliofferia
Le citazioni banali di Tremonti e un Macchiavelli che già allora sapeva di Silvio Berlusconi
Luigi Manconi
1.L’arte della citazione è tra le più ardue. Risponde a tentazioni irresistibili, e rischia costantemente il precipizio: nell’ovvietà quasi sempre, nell’errore spesso. E, allora, doveva essere davvero esausto o incacchiato Giulio Tremonti quando, a Cernobbio, ha evocato l’immagine della Prova di orchestra di Federico Fellini. Il film è del 1979 e, in questi oltre tre decenni, è stato richiamato a ogni piè sospinto da allenatori di calcio e presidenti della Repubblica. Sinceri sostenitori della responsabilità collettiva e callidi teorici del “socializzare le perdite e privatizzare gli utili”, organicisti e corporativisti, lestofanti e ingenui, tutti hanno strapazzato l’apologo felliniano in termini, quando non meschini, desolatamente banali. Per la verità, Tremonti ha tentato un’operazione più sofisticata: la bacchetta del comando, mezzo indispensabile per creare armonia e cooperazione, è diventata per un verso la bacchetta magica di chi pretende miracoli e, per l’altro verso, lo strumento della disciplina che segnala colpe e minaccia sanzioni. Un inguacchio, insomma. L’unica consolazione è che d’ora in avanti, quella citazione sarà definitivamente inservibile.
2.Sul Foglio di ieri Giuliano Ferrara scrive della necessità di proteggere il premier dalla “gagliofferia nazionale”. Giustissimo proposito, ma palesemente fuori tempo massimo e, soprattutto, scarsamente credibile considerato quale monumento ideologico, antropologico e culturale sia stato edificato in onore di quella stessa Gagliofferia negli ultimi vent’anni. Qui, una bella citazione – non proprio originale - ci va a fagiolo. Niccolò Machiavelli così scriveva nella XI lettera a Francesco Vettori: “Mangiato che ho, ritorno nell'hosteria: quivi è l'hoste, per l'ordinario, un beccaio, un mugnaio, dua fornaciai. Con questi io m'ingaglioffo per tutto dí giuocando a cricca, a trich-trach”. Dunque, se c’è Gagliofferia è forte la tentazione di frequentarla e questo riguarda, in varia misura, ciascuno di noi. In Berlusconi quella pulsione è formidabile e si traduce in una “accessibilità universale” (da parte, ad esempio, di un condannato per spaccio di droga). Ma quella “accessibilità universale” è stata blandita vezzeggiata e coccolata e trasformata in uno dei connotati più enfatizzati di quell’Arcitaliano che sarebbe Berlusconi e del suo carisma. Per dirne una, qualche mese fa Ferrara così si rammaricava: “perché non son io con Lele Mora”, contrapponendo il mondo di quest’ultimo, così istintuale e autentico e così fassbinderiano e sregolato, alla retorica irrigidita e virtuosa del politicamente corretto. Come si vede, la gagliofferia è stata, del berlusconismo, una bandiera. Ad ammainarla ad esso non possono essere coloro che l’hanno issata sul pennone. Che poi sono gli stessi che scambiano l’hosteria di Machiavelli a Sant’Andrea in Percussina per Cencio la Parolaccia  in vicolo del Cinque a Trastevere. Sia chiaro: non stiamo parlando di stile. Stiamo parlando di politica. E quella condiscendenza reazionaria che ha portato all’esaltazione dell’ingaglioffimento, è all’origine del colossale equivoco a proposito della Lega Nord. Un piccolo partito localista e sub-regionale, che ha costruito una propria identità sulla “invenzione della tradizione” e sulla corrività verso gli umori e le pulsioni più irrazionali e che mai ha saputo passare dalla dimensione del rancore sociale a quella dell’autonomia politica. Dopo quasi un quarto di secolo dalla nascita della Lega, il tasso di decentramento dell’organizzazione statuale è rimasto infimo, il federalismo fiscale irrisorio, la burocrazia centrale dominante. Si è sviluppata, nel frattempo, una casta politica leghista, ancora più autoreferenziale di quella della prima repubblica. Dovevate sentire il vice ministro Roberto Castelli, nel corso della più bella trasmissione di politica-pop (La Zanzara su Radio24) raccontare con virile compunzione di aver rinunciato alle “vacanze in Indonesia” per dedicarsi al bene pubblico. E già che c’era ha confermato che, per i leghisti, Luca Cordero di Montezemolo è grossomodo una scoreggia. (Sempre che, nelle intenzioni di Castelli, non fosse un apprezzamento: qualcuno ricorderà che quella stessa definizione era già stata utilizzata per Gianfranco Miglio, oggi solennemente ricordato dalla Lega nel decennale della morte).
3.Stato di polizia.
Ha ragione Silvio Berlusconi: sono proprio misure liberticide quelle introdotte, di sguincio, nella manovra economica. Ad esempio, grazie all’articolo 8, si potrà derogare “all’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori che stabiliva il divieto dell’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” (Senatore Maurizio Castro, Pdl). Ha ragione Berlusconi: un vero incubo orwelliano.
4.Stato di polizia bis.
“Carcere per gli invasori”, “Manette agli invasori”: questi i titoli dei giornali sulle misure proposte dal ministro dell’Economia. In effetti, un provvedimento così draconiano sembra urgente, se già alla terza giornata del campionato di serie B, nel corso di Bari-Albinoleffe, si è registrato un tentativo di invasione di campo. Prigione per gli invasori.
Il Foglio 6 settembre 2011
Politicamente correttissimo
Gagliofferia
Le citazioni banali di Tremonti e un Macchiavelli che già allora sapeva di Silvio Berlusconi
Luigi Manconi
1.L’arte della citazione è tra le più ardue. Risponde a tentazioni irresistibili, e rischia costantemente il precipizio: nell’ovvietà quasi sempre, nell’errore spesso.
E, allora, doveva essere davvero esausto o incacchiato Giulio Tremonti quando, a Cernobbio, ha evocato l’immagine della Prova di orchestra di Federico Fellini. Il film è del 1979 e, in questi oltre tre decenni, è stato richiamato a ogni piè sospinto da allenatori di calcio e presidenti della Repubblica. Sinceri sostenitori della responsabilità collettiva e callidi teorici del “socializzare le perdite e privatizzare gli utili”, organicisti e corporativisti, lestofanti e ingenui, tutti hanno strapazzato l’apologo felliniano in termini, quando non meschini, desolatamente banali. Per la verità, Tremonti ha tentato un’operazione più sofisticata: la bacchetta del comando, mezzo indispensabile per creare armonia e cooperazione, è diventata per un verso la bacchetta magica di chi pretende miracoli e, per l’altro verso, lo strumento della disciplina che segnala colpe e minaccia sanzioni. Un inguacchio, insomma. L’unica consolazione è che d’ora in avanti, quella citazione sarà definitivamente inservibile.

2.Sul Foglio di ieri Giuliano Ferrara scrive della necessità di proteggere il premier dalla “gagliofferia nazionale”. Giustissimo proposito, ma palesemente fuori tempo massimo e, soprattutto, scarsamente credibile considerato quale monumento ideologico, antropologico e culturale sia stato edificato in onore di quella stessa Gagliofferia negli ultimi vent’anni. Qui, una bella citazione – non proprio originale - ci va a fagiolo. Niccolò Machiavelli così scriveva nella XI lettera a Francesco Vettori: “Mangiato che ho, ritorno nell'hosteria: quivi è l'hoste, per l'ordinario, un beccaio, un mugnaio, dua fornaciai. Con questi io m'ingaglioffo per tutto dí giuocando a cricca, a trich-trach”. Dunque, se c’è Gagliofferia è forte la tentazione di frequentarla e questo riguarda, in varia misura, ciascuno di noi. In Berlusconi quella pulsione è formidabile e si traduce in una “accessibilità universale” (da parte, ad esempio, di un condannato per spaccio di droga). Ma quella “accessibilità universale” è stata blandita vezzeggiata e coccolata e trasformata in uno dei connotati più enfatizzati di quell’Arcitaliano che sarebbe Berlusconi e del suo carisma. Per dirne una, qualche mese fa Ferrara così si rammaricava: “perché non son io con Lele Mora”, contrapponendo il mondo di quest’ultimo, così istintuale e autentico e così fassbinderiano e sregolato, alla retorica irrigidita e virtuosa del politicamente corretto. Come si vede, la gagliofferia è stata, del berlusconismo, una bandiera. Ad ammainarla ad esso non possono essere coloro che l’hanno issata sul pennone. Che poi sono gli stessi che scambiano l’hosteria di Machiavelli a Sant’Andrea in Percussina per Cencio la Parolaccia  in vicolo del Cinque a Trastevere. Sia chiaro: non stiamo parlando di stile. Stiamo parlando di politica. E quella condiscendenza reazionaria che ha portato all’esaltazione dell’ingaglioffimento, è all’origine del colossale equivoco a proposito della Lega Nord. Un piccolo partito localista e sub-regionale, che ha costruito una propria identità sulla “invenzione della tradizione” e sulla corrività verso gli umori e le pulsioni più irrazionali e che mai ha saputo passare dalla dimensione del rancore sociale a quella dell’autonomia politica. Dopo quasi un quarto di secolo dalla nascita della Lega, il tasso di decentramento dell’organizzazione statuale è rimasto infimo, il federalismo fiscale irrisorio, la burocrazia centrale dominante. Si è sviluppata, nel frattempo, una casta politica leghista, ancora più autoreferenziale di quella della prima repubblica. Dovevate sentire il vice ministro Roberto Castelli, nel corso della più bella trasmissione di politica-pop (La Zanzara su Radio24) raccontare con virile compunzione di aver rinunciato alle “vacanze in Indonesia” per dedicarsi al bene pubblico. E già che c’era ha confermato che, per i leghisti, Luca Cordero di Montezemolo è grossomodo una scoreggia. (Sempre che, nelle intenzioni di Castelli, non fosse un apprezzamento: qualcuno ricorderà che quella stessa definizione era già stata utilizzata per Gianfranco Miglio, oggi solennemente ricordato dalla Lega nel decennale della morte).

3.Stato di polizia.
Ha ragione Silvio Berlusconi: sono proprio misure liberticide quelle introdotte, di sguincio, nella manovra economica. Ad esempio, grazie all’articolo 8, si potrà derogare “all’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori che stabiliva il divieto dell’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” (Senatore Maurizio Castro, Pdl). Ha ragione Berlusconi: un vero incubo orwelliano.
4.Stato di polizia bis.
“Carcere per gli invasori”, “Manette agli invasori”: questi i titoli dei giornali sulle misure proposte dal ministro dell’Economia. In effetti, un provvedimento così draconiano sembra urgente, se già alla terza giornata del campionato di serie B, nel corso di Bari-Albinoleffe, si è registrato un tentativo di invasione di campo. Prigione per gli invasori.

Il Foglio 6 settembre 2011
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