Sallusti non è un caso
Ubaldo Pacella
Sallusti  ovvero le caste in Italia non finiscono mai
Il caso sollevato nei giorni scorsi dalla condanna del direttore del Giornale  Alessandro Sallusti dimostra una volta di più come nel nostro Paese la riflessione approfondita, la correttezza della notizia, l’equilibrio siano elementi rari, quasi sconosciuti, mentre prevalgano le mode travestite da movimenti di opinione, più ancora la difesa della casta, in massima parte quella dei giornalisti. Costoro si arrogano a torto il diritto di ergersi a censori dei costumi, gongolano allorché  possono vestire i panni di  novelli Robespierre, ma guai se qualcuno in punta di piedi, o di penna, dimostra i loro errori marchiani o veniali, non fa differenza.

E’ fuori discussione che alcuno, sia o no giornalista, debba andare in prigione per aver espresso il proprio pensiero, o perché sia incappato in colpevoli abbagli, meritevoli solo di censura professionale.
Non è questa la sede per una disquisizione sulla libertà di espressione, ma essa dovrebbe assumere forme e contorni non in contrasto con i principi etici fondamentali, primo tra tutti il rispetto della vita e dell’altro.
Veniamo al caso Sallusti. Il profluvio di commenti autorevoli di giornalisti o di esponenti delle istituzioni ha sollevato un coro unanime, la cui polvere invero ha nascosto ancora una volta la notizia, ad eccezione di qualche sparuto richiamo ai fatti relegato in un taglio basso delle pagine più interne. La confessione tardiva quanto colpevole di Renato Farina più che generare imbarazzo o interrogativi sembra aver costretto i nostrani gazzettieri al silenzio, almeno per i giorni di sospensione della pena stabiliti dal tribunale di Milano, vedremo in futuro come finirà.  La questione per i pochi lettori che hanno avuto la pazienza di capire è oltremodo chiara. Un giornalista anonimo di Libero pubblica un articolo zeppo di falsità senza aver fatto alcun riscontro, sulla base di una notizia di cronaca non si sa se mal scritta o peggio interpretata.
La persona presa di mira, come abusato costume della casta delle caste, chiede una rettifica o una intervista che fornisca una corretta versione dei fatti. Giammai redazione o direttore rispettano  il legittimo diritto di replica, o meglio si prestano ad una corretta misurata esposizione della notizia. Si sentono detentori di un potere arbitrario perché si pubblica solo ciò che loro ritengono opportuno, anche quando tutto ciò potrebbe configurarsi come un comportamento omertoso che viola ogni deontologia professionale. Il lettore inerme tuttavia non si rassegna, per di più è un magistrato, si rivolge alla giustizia civile per veder scritta una notizia vera e corretta. Passano gli anni, i gradi di giudizio, si riafferma la straordinaria evidente colpa del giornale e del direttore responsabile. Si rifiuta ogni trattativa e conciliazione, sapendo di aver pubblicato il falso si resiste in giudizio e si nega un indennizzo economico che sarebbe andato in beneficienza. Sin qui i fatti.
Abbiamo il sentore, noi spocchiosi lettori, che il direttore Sallusti a questo punto abbia deciso di giocare un colpo di teatro. Creiamo il caso, facciamoci condannare, dimostriamo che i giudici sono una casta che si spalleggia e si dà sempre ragione, che la libertà di stampa è in pericolo nel nostro Paese degli scandali, che un giornalista può finire in galera per aver difeso le opinioni anche più false che opinabili.  Una linea di condotta che tutela, inoltre, un vicedirettore che giornalista non è più perché radiato e lo mette al riparo da conseguenze personali ben più rilevanti, il tutto ammantato dalla difesa della libertà di stampa.
Non ci siamo proprio cari  giornalisti, lasciatelo scrivere ad un umile modesto lettore, non continuate a spacciare notizie false e tendenziose, come foste antichi oracoli, ché nell’era internettiana la vostra difficile professione è esposta a pessime figure. Basta navigare per stracciare il velo del pressapochismo, meno ancora ci vuole per dimostrare una malafede che è in netto contrasto con la nobile arte del diffondere notizie.
La coppia Sallusti-Farina hanno fatto un pessimo servizio, credo, a tutti i giornalisti. Hanno gettato discredito non solo sulla categoria, che pure li ha difesi come un sol uomo nella tenzone, ma ha dimostrato l’ambizione ad essere casta intoccabile, ben più delle altre e forse ancor più pericolosa per aver spregiudicatamente voluto perseverare nel gioco delle tre carte tra falso e verità.
Grazie di cuore giudice Cocilovo per aver difeso la dignità di noi tutti modesti, silenti lettori. Quelli che non otterranno da simili testate una replica, né lo spazio sia pur striminzito per un commento, perché non hanno né soldi, né tempo, né competenze per ricorrere in tribunale, sperando di incontrare un giudice a Berlino.
Una chiosa sul lavoro e sulla proprietà. Qualora fatti simili fossero accaduti a modesti giornalisti o, in altri contesti, a singoli lavoratori siamo certi che questi avrebbero pagato duramente la loro imperizia professionale. Non pochi direttori avrebbero licenziato in tronco un giovane praticante e le loro urla avrebbero scosso la redazione per mesi. In ufficio o in fabbrica, se non licenziati, i malcapitati avrebbero scontato una dura emarginazione con decurtazione dello stipendio. Qui no, tutti sono al loro posto con laute prebende, l’editore tace e gli altri incolpano la giustizia italiana. Solo uno forse, l’esimio direttore Alessandro Sallusti, si frega le mani, mal che vada andrà qualche giorno in prigione, come il grande Guareschi e passerà alla storia del giornalismo non per i tanti meriti che può vantare, bensì per non aver voluto rettificare una notizia falsa che non aveva nemmeno letto.
Share/Save/Bookmark
Commenti (0)
Commenta
I tuoi dettagli:
Commento:
Security
Inserisci il codice anti-spam che vedi nell'immagine.