Bergonzoni: io nello zoo dei centri accoglienza

Alessandro Bergonzoni

Di cosa si tratta? Di come si trattano: uomini, esseri, popoli ma soprattutto di come non si possa piùtrattare con chi ricatta il giusto, quindi non si tratta.E  non si tratta solo di governi, società,  norme uccise, ma di enorme scansato, meraviglia asfissiata, diritto alla tenerezza, come ho scritto anni fàparlando di prigione, briciole che bruciano.

Non volevo provare "invidia e gelosia" per quei politici come Luigi Manconi e la sua associazione A Buon Diritto che entrano nei Cie, per riempire quel vuoto che ègiàalibi; non volevo essere obbligato a vedere attraverso altri che “per fortuna”hanno potuto raccontare per amore. Amore che non definirei nemmeno piùsentimento, ma insieme d'altezze, somma somma.

Lo dico entrando in questo luogo dell'oltre altrui, della mala-vita strana, straniera e estraniante. Cosa dicono le statistiche, i numeri  o la costituzione (bella ma inesistente se chi non ha una costituzione interiore non la applica néla fa rispettare) non mi interesserebbe. Non mi interesserebbe quasi piùsapere chi chiuderàquesti purgatori non danteschi, inferni a cielo perso; per assurdo non mi interesserebbe piùperchéoggi vorrei parlare non degli  ennesimi sensi, odore, rumore, vista, tatto, senso di impotenza che mi hanno avvolto e abbracciato stretto nella mia visita al CIE di Ponte Galeria; ma vorrei dire della nuova paura, non quella che prova chiunque ci entri e non c'entra nèquella dovuta al peccato di distanza, cioèil distacco della politica da queste vite e inesistenze, ma quella nuova dovuta al distacco di una retina interiore, che non ci fa piùvedere altro che l'effetto dello scandalo, o il turbamento a orologeria da servizio televisivo. Ho paura che l'abitudine a quello che non riusciamo a vedere, abbia fatto il suo sporco dovere, che rende vano il cambio di senso nei confronti di quell'inguardabile, di quell'ingiusto che qui ammazza senza far morire (meno di quel che potrebbe). Non mi soffermeròsull'igiene némi fermeròsulla poca intimitànésulle solitudini, cattivitàe gabbie da zoo. Non diròdi chi vive in questa prigione pur non dovendo stare in una galera, perchéqui non per reati ma per attendere, saper cosa fare, dove andare. L'aspetto a cui tengo èlegato a una rivoluzione interiore di chi non èpiùinteressato a vivere e subire queste paure e impotenze, ad "accontentarsi" del lavoro che la giurisprudenza e il diritto potranno e dovranno fare, per cancellare questi imposti, luoghi del tempo condannato.

Parlo agli interessati di quel moto ulteriore che ci chiama; l'ora èscoccata e chiede di trasformare l'urgenza umanitario-antropologica in moto interiore, in intenzione artistica, poetica e spirituale che  predisponga a cambiare giudizio, vergogna, volontà, missione, decenza, connivenza, a cambiar rassegnazione. Mi rivolgo a chi vuole cambiare questo pensiero con un altro, che non resteràtale se manderàonde e frequenze diverse, anche da casa, nascosti in noi che non vogliamo o non possiamo vedere tutto quello che accade a chi soffre dei nostri pensieri non pervenuti, insieme alle mancate azioni. Una rete che non èquella di cui parliamo tanto (che puòservire a fare altre rivoluzioni, certo irrimandabili, ma èaltra cosa). Manca un'altra forma di espressione, un altro tam tam apparentemente subliminale: nasce dentro, per immedesimazione continua e produce pensiero elettrico, luce che corre come la luce,cambia buio, senso e sensi. Èuna rivoluzione apparentemente silente quella che chiama, èvocazione, èl'ante-politica, unprima che se non si forma non puòfar mutare: néil politico, néil legislatore, nélo stato, néle cose che lo compongono. Èinfatti il cambio di stato che ci èchiesto: lo stato nostro. Quello che continuiamo a demandare agli altri grati per il loro eroismo, la loro missione, il loro pontificato, il loro esempio. Ecco la rivoluzione: dalla "loro "alla  "nostra". Come da altri incontri che continuo a fare con Manconi su detenzione, pena, malattia, anche qui si tratta di far da ponte su tutte queste vite sospese tra una sponda e l'altra cioè, in questo caso, tra migranti e quelli a cui abbiamo demandato il compito di risolvere: noi siamo ponte. Fine degli esempi.

 

La Repubblica 22 aprile 2013

Share/Save/Bookmark
Commenti (0)
Commenta
I tuoi dettagli:
Commento:
Security
Inserisci il codice anti-spam che vedi nell'immagine.