Sindrome Ghedini
Luigi Manconi
La prendo un po’ alla lontana. Immaginiamo uno scenario come quelli, lividi e dolenti, dei romanzi di Christa Wolf o di un film crudele come le “Vite degli altri”.
E immaginiamo, dopo la Caduta della Dittatura, la curiosità famelica e l’ansia panica di chi scava negli archivi del passato regime. Ecco, immaginiamo quella ricerca in Italia, dopo il crollo del dispotismo dei “Giudici Comunisti”: ho la sensazione che tra i nomi in codice dei collaboratori di regime, troveremo prove inoppugnabili del ruolo di agente della Magistratura Rossa svolto dall’avvocato Niccolò Ghedini. (E Renato Brunetta chioserà: quell’uomo non mi è mai piaciuto). Nella storia del diritto italiano rimarrà, ineguagliata, la sua dissertazione prossenetico-gagliofesca sull’ “utilizzatore finale”, ma si tratta solo dell’occasione in cui il doppiogiochismo di Ghedini fu a un passo dall’essere scoperto. Tali e tante sono state, in questi anni, le prove del goffo autolesionismo venato di tentazioni suicidarie, da configurare una vera  e propria “sindrome Ghedini”. Ovvero il caso dell’ Heautontimorumenos, il “punitore di se stesso” (e di Silvio Berlusconi), che cela l’intelligenza col nemico attraverso uno sgangherato eccesso di zelo. E l’euforia ardente e un po’ ciula, di quelli che, per capodanno, comprano il botto detto la “testata di Zidane” e, immancabilmente, ci rimettono tre dita. Ebbene, vedo manifestarsi la “sindrome Ghedini”, o della zappa sui piedi, nel più recente Giuliano Ferrara. Sia chiaro: la mia intera storia politica, per quel che vale, è stata e continua a essere (nonostante il pomposo titolo di Membro dell’Assemblea Nazionale del Pd) tutta all’insegna del minoritarismo. Dunque, sono l’ultimo al mondo che possa irridere a quello 0.37% ottenuto dalla lista “Aborto, no grazie”, alle elezioni del 2008. Ferrara è così superbo e/o nichilista da pensare che il ripudio dell’aborto come metodo contraccettivo sia condiviso da appena lo 0.37% degli italiani? E ritiene che quello sia l’unico presidio dei “valori non negoziabili”? La mia tesi è esattamente opposta. Rispetto al referendum del 1981, che vide il 68% degli elettori favorevoli alla legge, la sensibilità antiabortista della società italiana è indubbiamente cresciuta e, in particolare, tra i non credenti. Ne è una prova la riduzione costante del numero degli aborti legali e, secondo stime più che attendibili, il contenimento di quelli illegali: e ne è una conferma ragionevole la percezione di senso comune che avverto da tempo (salvo che, immagino, nei salotti trivial-chic della destra materialista, frequentati da Ferrara). E, infatti, è dalla metà degli anni ’80 che i Radicali, il femminismo, la Sinistra critica, (e quanti hanno un po’ di sale in zucca), hanno cominciato a rifiutare la classificazione dell’aborto come diritto civile. Uno degli ultimi (forse l’ultimissimo) ad arrivare a tale acquisizione è stato proprio Ferrara che, ancora nel gennaio del 2004, su queste pie colonne scriveva: “ho votato contro l’abrogazione della 194 (…) per tutelare un diritto che deriva dal binomio madre-figlio”. Un “diritto”? E chi sei, un lugubre eugenetico della più torva Westfalia? L’interruzione volontaria di gravidanza non va collocata all’interno del catologo dei diritti fondamentali della persona, dal momento che non di un diritto positivo si tratta, bensì di una “immunità” (altrettanto degna di tutela). Insomma, classicamente (sulle tracce di Isaiah Berlin) una libertà negativa  rispetto all’ “obbligo” - derivante dalle circostanze o dalla coercizione o dalla violenza - di diventare madre. Dunque, nella sensibilità diffusa, l’aborto è quello che è: una dolorosa necessità, cui ricorrere in casi estremi e limitati. Ma se questo è – e credo di non sbagliare – il giudizio largamente maggioritario, non ne risulta compromesso lo spazio più ampio per il pluralismo delle scelte private e delle politiche pubbliche, che traducono quell’opzione morale in decisione normativa. E qui vale la concezione (fondata anche teologicamente) del male minore e della laicità del diritto positivo; qui i cattolici sono, nella grande maggioranza, i più gelosi custodi dell’autonomia tra opzioni di fede e scelta politica; e qui davvero l’antropologia cristiana può incontrare l’antropologia radicale (non solo dei Radicali) sulle categorie fondanti la dignità della persona. Che non è certo, come scrive il Foglio, la disponibilità della Ru486 “in ogni dispensario”  o la celebrazione dei preservativi come “ostia consacrata dall’ideologia di stato” (qui Ferrara scrive che nemmeno Povia). Io sono inflessibilmente a favore della candidatura di Emma Bonino, e va bene: ma un Ferrara affetto dalla “sindrome Ghedini” dovrebbe pur ricordare che l’attività da lui così apprezzata, dei comitati civici, si concluse nel 1974 con la partecipazione alla campagna per l’abrogazione del divorzio. Sappiamo come è finita. Insomma, Dio ci conservi  un Ferrara così fervidamente votato alla sconfitta, alla martirizzazione, all’autoevirazione (si scherza, eh). Un assatanato Comunardo Niccolai della Chiesa Militante.

Il Foglio 26gennaio 2010
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