Mito e Logos
politicamente correttissimo
Luigi Manconi
1- Nel mondo delle Rappresentazioni Mitologiche (che tende a essere l’universo mondo), il centro destra italiano è quello che “è garantista con i potenti e giustizialista con i deboli”. Il mondo delle Rappresentazioni Mitologiche non è mera invenzione: quotidianamente postula conferma e paventa smentita dai fatti.
Quando la Rappresentazione si riproduce fino a irrigidirsi in una Maschera, per destrutturarla sono necessari gesti forti: tali da rovesciare lo stereotipo e indurre, nel caso in questione, a dire che il centro destra “è giustizialista con i potenti e garantista con i deboli”. In assenza di tutto ciò, l’affermazione di Fabrizio Cicchitto («non potrà mai avvenire che il nostro garantismo sia messo in discussione da forme surrettizie di giustizialismo») rischia di risultare vana. E per una ragione di fondo. La concezione della giustizia prevalente nel centro destra è l’esito di due idee, diverse e fin alternative: l’una, coltivata dalla Lega, sostanzialista e afflittiva comunitarista e livellatrice (fondata sul paradigma Te La Dò Io La Giustizia); l’altra, propria delle componenti già liberali e già socialiste di Forza Italia, garantista e formalista, laica e autolimitata (fondata sul paradigma Dimostramelo Tu Che Sono Colpevole). L’incontro tra queste due concezioni non ha dato luogo a una posizione  equilibrata: ha prodotto, piuttosto, la convivenza tra due versioni antagoniste della giustizia, cui viene dato libero corso. Ne deriva che l’idea sostanzialista, ostile alla qualità universalistica dei diritti, viene rovesciata contro “i deboli” (gli immigrati e i devianti), mentre l’idea garantista diventa lo scudo a tutela dei “potenti” (il ceto politico e quello imprenditoriale). Va da sé che, nel primo caso, è la concezione della Lega a prevalere, nel secondo è quella di origine liberale. Ma la combinazione distorta e dispari, classista e diseguale, delle due concezioni ha come risultato l’ingiustizia assoluta. È questo che contribuisce a produrre quello “strano silenzio dei garantisti”, (il Foglio, 4 maggio) a proposito della vicenda giudiziaria di Silvio Scaglia. L’articolo è condivisibile fin nelle virgole e – se quanto riportato corrisponde davvero a ciò che scrivono i Magistrati – segnala due elementi nuovi e preoccupanti in materia di violazione delle regole processuali. Il primo: l’accenno al mancato “ravvedimento” esprime un’idea primitiva e illiberale dell’azione penale, i cui fini sono tutt’affatto diversi dal percorso di metanoia dell’imputato. Il secondo elemento. Scaglia non avrebbe preliminarmente “patteggiato” il rientro dall’estero e l’ingresso in carcere: e, dunque, non si deve tener conto di questa sua volontà di collaborazione nel valutare l’opportunità di interrompere la custodia cautelare. E invece, è proprio di comportamenti di tale natura che si sostanzia la discrezionalità affidata al magistrato nel decidere a proposito della libertà personale. Resta un quesito principale: quanti articoli e quanti servizi televisivi hanno parlato di quella vicenda? Quante interrogazioni parlamentari sono state presentate? Quante da parte del centro sinistra e quante da parte del centro destra?

2-  Nel modo più sintetico possibile, rischiando la semplificazione più brutale, dirò qual è lo scenario che vedo. La Chiesa Cattolica rappresenta tutt’ora la principale autorità morale, in un mondo dove tutte le altre “agenzie etiche” si vanno indebolendo per capacità di attrazione e per aree di influenza. La recente questione della pedofilia intacca significativamente quell’autorità, ma non la azzera affatto: e non è detto che, sui tempi lunghi (e quelli della Chiesa sono millenari), l’esercizio di quella forza morale non sia destinato a intensificarsi. Uno degli aspetti più singolari di tale situazione è che la stessa Chiesa sembra non esserne consapevole: e, piuttosto, sembra viversi – balza agli occhi in queste ultime settimane – come vittima, oggetto di persecuzione, bersaglio di una offensiva anticattolica presentata come trionfante. C’è, in questo, una traccia della sua genealogia morale (la Chiesa nasce perseguitata), ma c’è anche una difficoltà a leggere e a interpretare il mondo. È un mondo, il nostro, dove il monoteismo tende a rafforzarsi e a diffondersi e dove nonostante le apparenze e gli idoli - “Dio non è morto”. Trovo conferma a questa mia convinzione in un articolo di Umberto Silva (il Foglio, 5 maggio), in particolare quando si chiede: “siamo davvero sicuri di stare assistendo alla secolarizzazione del cristianesimo, oppure silenziosamente il  Secolo si sta cristianizzando?”. Personalmente non ho dubbi: è la seconda tendenza che prevale, e la conferma viene, non troppo paradossalmente, proprio dallo “scandalo pedofilia”. Solo un secolo cristianizzato - e non quelle società amorali e “senza Dio”, descritte dalla nuova letteratura devozionale – poteva reagire con tanto giusto sdegno al “vento di Sodoma che soffia nelle cattedrali deserte”. E se l’errore di prospettiva della Chiesa nascesse dal fatto che, a scristianizzarsi e a mondanizzarsi sono proprio le gerarchie?                      
Il Foglio 11 maggio 2010
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