Passaggio a livello
Un caso sacrosanto di garantismo estremo
Ubaldo Pacella
Diritti intangibili della persona: qualcuno li può violare?
Se fosse vero, sottolineo SE a titoli di scatola, sarebbe molto grave: una intromissione nell’anima e nei sentimenti dell’individuo, che genera troppe perplessità, lascia attoniti, solleva pesanti ombre sui protagonisti dietro le quinte di questa triste vicenda.
Mi riferisco alle accuse gravi e infamanti rimbalzate con tutta evidenza nei giorni scorsi sui mass media italiani a proposito della presunta falsa commozione dimostrata dal prefetto Gianna Iurato in occasione della visita alla casa dello studente dell’Aquila, nel giorno del suo insediamento ufficiale nel capoluogo abruzzese. Conosco la Iurato da molti anni, ne ho sempre apprezzato la trasparenza e la sensibilità, forse per questo le accuse che ho letto in questi giorni mi appaiono insostenibili.

Non ho letto gli atti in modo diretto, voglio ribadirlo per sgombrare il campo da ogni sorta di equivoco. Le mie considerazioni, pertanto, potrebbero essere improprie qualora le cronache giornalistiche avessero travisato, fatto non raro, le decisioni e i verbali dei magistrati. Stiamo alla lettura di articoli e resoconti che hanno dato ampio risalto alla notizia, in ogni forma dal web alla TV, con una analogia diremmo ripetitiva che a noi attenti lettori di lungo corso genera sempre un sottile imbarazzo. Nessuno che si sia distinto per interpretazione, pochissimi gli interrogativi sollevati, omogenei i commenti.
Veniamo ai fatti per come li hanno descritti i giornali: il prefetto Gianna Iurato nel maggio 2010 appena insediata a L’Aquila si reca alla casa dello studente per deporre un mazzo di fiori in memoria dei giovani vittime del terremoto, naturalmente si commuove, lo testimoniato le riprese televisive. Ore dopo parlando al telefono con alcuni amici, tra i quali un importante prefetto alto funzionario della Polizia di Stato, sembra ridere delle sue lacrime.  Che c’entra la magistratura di Napoli in tutto questo? Quale è il reato? Cinismo manifesto? Manipolazione dell’opinione pubblica? Vilipendio della morale? Non si capisce dai titoli, come dai lanci delle notizie. La ricostruzione, sempre su fonti esclusivamente giornalistiche, è ben diversa. Il prefetto Iurato, insieme ad altri alti funzionari di polizia è indagata dalla procura di Napoli in merito all’assegnazione di un appalto per servizi logistici. Si tratta di un’inchiesta assai anteriore all’incarico aquilano, quando Iurato si occupava di contratti. I magistrati hanno disposto, per questo, intercettazioni telefoniche, tra cui quella finita con grande evidenza sui giornali. Perché? Sembrerebbe che i magistrati napoletani nell’ordinanza di interdizione ai pubblici uffici del Prefetto Iurato la abbiano acquisita agli atti, con specifiche  valutazioni nel merito, del tutto negative e duramente censorie.
I giornali, chissà se solo per vezzo scandalistico o perché attratti da simili presunti giudizi, hanno concentrato la loro attenzione su questa telefonata e sulle considerazioni che sarebbero, a loro dire, state avanzate dagli inquirenti.  Il risultato è stato il dileggio della signora Gianna Iurato, l’accusa infamante di aver palesemente finto lacrime di commozione, l’emergere di una donna così cinica e insensibile che non si sa per quali motivi e convenienze avrebbe dovuto mentire spudoratamente di fronte ai cittadini.
Viene da chiedersi, pur con il rispetto dovuto ai magistrati, quale sia il nesso di un presunto riprovevole - solo se dimostrato fuor di ogni dubbio - comportamento ascritto al prefetto, rispetto a fatti del tutto diversi che dopo anni non sono ancora stati affrontati in un processo.
Qui sorgono inquietanti interrogativi: quali sono i diritti inalienabili dei cittadini? Il rispetto dovuto ad ogni uomo può essere ignorato se costui si è macchiato di comportamenti scorretti verso la collettività? In altri termini, esiste un privato personale che in ogni caso non deve essere contaminato?
Poiché le valutazioni sono totalmente lontane da ogni bega processuale che starà ai tribunali giudicare, mi sento libero di esprimere forte e chiaro il più vibrante dissenso sia nei confronti dei giornalisti, più ancora verso i magistrati qualora, è bene ripeterlo sino allo sfinimento, sia vero e confermato che essi sulla scorta delle trascrizioni telefoniche di alcune  intercettazioni hanno ricavato il giudizio di una palese finzione messa in campo dalla signora Iurato.
Intendo riflettere esclusivamente su questo corto circuito tra valutazioni soggettive e costruzione della notizia.
Chi è tenuto ad arrogarsi il compito di interpretare le emozioni di un uomo o di una donna, solo sulla scorta dei propri convincimenti soggettivi? Morale, valori, dignità della persona sono negoziabili? Si può con manifesta sicumera additare un individuo al pubblico ludibrio sulla scorta di congetture, forse indimostrabili e comunque irrilevanti rispetto ad addebiti formali  e comprovabili?
Ritengo di no! Il primato dell’etica umana, il rispetto non devono venire mai meno. Chi giudica per delega della società, non può prescindere da questo. Gli ideali illuministi, la morale cattolica, le scienze sociali hanno definito nei secoli questi ambiti, anche il criminale più incallito va rispettato come uomo, ma punito severamente per i reati commessi e dimostrati.
Sono profondamente sconcertato dal fatto che qualcuno in piena buona fede, preso nel gorgo della dimostrazione delle sue teorie, possa sostenere in maniera motivata che lacrime di commozione siano state una deliberata finzione perché ore dopo al telefono la signora Iurato, che prima di essere prefetto è una donna dalle emozioni forti come i suoi convincimenti, si sia per così dire vergognata di ammettere con un collega integerrimo quanto inflessibile, alto funzionario di polizia aduso a trattare con i peggiori criminali,  quella innocente composta commozione che onora la delicatezza d’animo della signora, ma  al tempo stesso mette in imbarazzo la figura istituzionale del prefetto, magari nei confronti dei colleghi maschi. Una risatina forzata, nell’intercalare siciliano del ragusano, territorio che ha dato i natali alla Iurato, una presa di distanza ironica da se stessa, non dalle emozioni forti che la devastazione del terremoto può suscitare in chiunque. Può bastare questo, la trascrizione di una telefonata, per additare una persona al pubblico dileggio, per darle la patente del cinismo, per offenderne la dignità, senza che nessuno sollevi un interrogativo?
Non è la società in cui voglio riconoscermi. La distanza del cittadino dallo Stato affonda le radici anche in questo. In una giustizia lontana dalle necessità concrete, concentrata sulle proprie procedure, talmente lenta a intervenire che sovente ne vanifica le decisioni, quando queste non appaiono arbitrarie, frutto di interpretazioni leguleie del tutto lontane dai bisogni reali della società.
Se fosse vero, dicevo, sarebbe oltre modo grave. Dovremmo chiederci se il magistrato di turno sia freudiano, junghiano, comportamentale o banalmente lombrosiano, per saper scandagliare nei recessi delle coscienze, là dove spesso non arriva nemmeno la nostra personale consapevolezza. Come si fa a dire che la commozione esibita è un falso, forse perché si è quotidianamente a contatto con mentitori incalliti, da considerare ogni cittadino loro pari? Il dubbio non sfiora mai taluni Robespierre nostrani? Consiglierei loro di leggere alcune pagine illuminanti sull’ironia, a partire dal saggio di Pirandello. Altre sulla verità apparente, sul teatro, sulla finzione. Mi sovviene alla memoria un dialogo di molti decenni addietro con Vittorio Gassman nel quale egli sosteneva che più volte in scena fosse talmente compreso nella parte da non potersi intimamente distinguere dal personaggio, che verità e finzione fossero intrise sino a toccare accenti sconosciuti all’uomo Gassman, ma tipici del personaggio di cui vestiva i panni.
Si può entrare nell’animo umano così da violarne i sentimenti senza alcuna confessione, senza che l’altro sia disposto a sondare se stesso. Penso proprio di no.
I mass media hanno trovato in fretta un’immagine da esecrare a buon prezzo, per di più fornita su un piatto d’argento da atti giudiziari. Qualora questo teorema dovesse dimostrarsi infondato chi restituirà l’onore violato alla signora Gianna Iurato, per la quale deve prevalere il presupposto di innocenza, anche rispetto ad una telefonata? Forse nel ruolo di prefetto potrà avere giusta soddisfazione, ma chi rifonderà la dignità di una donna, cui sono state espropriate lacrime versate in memoria di giovani innocenti vittime di eventi naturali come della trascuratezza degli uomini? Quali titoli e quale spazio avranno le rettifiche lo conosciamo da troppo tempo. Chi stigmatizzerà il cinismo di giornalisti che non hanno voluto nemmeno avanzare un dubbio filosofico? Per non parlare dei magistrati ai quali sembra essere riconosciuto un primato che non è scritto in nessun patto sociale, né tantomeno nella nostra Costituzione italiana.
Credo in funzioni civili rispettose prima di tutto dell’etica, dei diritti intangibili della persona, come la dignità. Fuori di questo c’è Torquemada, la santa inquisizione, il giudizio divino, i processi a Giordano Bruno a Galileo Galilei per i quali il Papa e la Chiesa hanno chiesto, con umiltà, perdono. Non ho mai letto simili affermazioni in decenni trascorsi da parte di giornalisti, poliziotti, magistrati che umanamente hanno frainteso comportamenti.
Vorrei non fossimo costretti in futuro a commentare un altro caso Iurato, spero ardentemente che una certa superficialità faccia scuola, inviti a riflettere sulle conseguenze di affermazioni infamanti. Si deve punire chi sbaglia, non umiliarlo. Quand’anche il prefetto risultasse colpevole di reati, il mio no forte e chiaro risuonerebbe con maggiore vigore. Si devono sanzionare gli atti, nessuno può ergersi a giudice dei sentimenti, né di comportamenti che non ledano gli altri, dei quali si risponde solo alla propria coscienza e per i credenti a Dio.
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