Il compito della politica e quello di una mamma
Luigi Manconi e Valentina Calderone
CONSIDERIAMO DUE FRASI DI PATRIZIA MORETTI, MADRE DI FEDERICO ALDROVANDI. La prima è di ieri: «Ora tocca alla politica». È proprio così. Patrizia Moretti, per nove anni, è stata parte civile in un processo, testimone pubblica di un dolore infinito, esigente interlocutore soggetti istituzionali, voce che raccontava una verità inconfutabile, immagine di un bisogno insaziabile di giustizia.

Poi, i responsabili della morte del figlio sono stati condannati in via definitiva, ma non è finita: Patrizia Moretti è stata oggetto di ignobili accuse e di insulti feroci. Anche a tutto ciò ha replicato con forza e intelligenza. Così, quando l'altro ieri un congresso «sindacale» ha applaudito a lungo i responsabili della morte del figlio, si è fatta carico ancora una volta di rispondere a quell'oltraggio. E ha detto basta. Non possiamo, noi tutti cittadini e ceto politico e intellettuale, partiti e istituzioni, delegare a lei la risposta più efficace a un’offesa crudele, inflitta non solo ai familiari di Federico ma allo Stato di diritto e alle stesse regole della convivenza civile. Spetta al Parlamento elaborare provvedimenti adeguati affinché quanto accaduto non si ripeta (l'introduzione del reato di tortura, il codice identificativo per gli operatori di polizia, nuovi criteri di formazione e selezione del personale, regole interne adeguate alla delicatezza del compito); e spetta a tutti noi vigilare affinché ciò che è capitato a Riccardo Magherini neanche due mesi fa in una strada di Firenze - e con modalità non troppo dissimili da quelle della morte di Aldrovandi - non si ripeta, non resti impunito e non cada nell’oblio.
La seconda frase di Patrizia Moretti è quella pronunciata nel corso di Che tempo che fa. A Fabio Fazio, che le chiedeva la ragione più profonda della sua determinazione, ha risposto: «Questo per me è semplicemente essere mamma». Tra queste due frasi, nella loro nitida essenzialità, si ritrova tutto il senso più autentico di una battaglia che non è né solo privata né solo pubblica e che non appartiene solo a Patrizia ma che, di Patrizia, non può fare a meno. Spiegano bene, cioè, com'è possibile che il legame di sangue e il sentimento più antico possano trasformarsi nella più significativa risorsa di azione pubblica, nel più efficace strumento di consapevolezza e nel più formidabile mezzo di accertamento della verità.
Ci si deve ricordare di quelle parole leggendo un libro straordinario come Una sola stella nel firmamento, appena pubblicato da Il Saggiatore. La psicoanalista Francesca Avon ha scritto il racconto di Patrizia Moretti, dei suoi sentimenti e delle sue emozioni ma anche dei fatti in tutta la loro drammatica durezza.
Il libro è stato scritto solo dopo la condanna definitiva dei quattro agenti, e non è un dettaglio da poco. Proprio perché, in questi lunghi anni, tutte le forze della «mamma» sono state finalizzate a quel risultato. E i suoi interventi pubblici, la sua presenza fisica e le sue parole sono state un insegnamento prezioso per tutti. E questo perché da una madre che perde un figlio ci si aspetta altro. Si vorrebbe, forse, che possa piangerlo nel silenzio della sua casa e nello spazio intimo dei suoi affetti: per cercare di superare, lì, l'immenso dolore che una tale tragedia porta con sé e che ammutolisce e annichilisce. Patrizia Moretti ci ha dimostrato che è possibile non vivere solo privatamente la propria lancinante perdita. Tra le molte lezioni che ci ha offerto, c'è questa: una donna che mette a disposizione della collettività tutte le sue energie, così come le sue debolezze, trasformandole in una occasione di maturazione pubblica.
La «trasformazione» di Patrizia può sembrare quasi naturale, ma non è affatto scontata. Nei primi momenti dopo la tragedia, i familiari pensavano che Federico fosse stato investito da una macchina, tanto il suo corpo era sfigurato. La fiducia sempre riposta nella giustizia li portava a dire: saranno fatte scrupolose indagini e la verità verrà infine accertata. Nulla di tutto questo sarebbe avvenuto se non perché Patrizia lo ha fortissimamente voluto e ottenuto. E questo libro ha il sapore di una conclusione, alla quale, ancora una volta, un fattore esterno (quegli applausi osceni) sembra volerla strappare. Ma resta questo libro: una sorta di esercizio terapeutico, di flusso di coscienza libero da costrizioni, che forse solo un testo scritto con una psicoanalista poteva consentire.
Non si può essere genitori orfani di un figlio e allo stesso tempo essere chiamati a fare gli avvocati, gli investigatori, i difensori. Patrizia Moretti è riuscita in tutto questo. E dopo questo, dolorosamente, a vivere.
l'Unità. 01-05-2014

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