PASSAGGIO A LIVELLO

Grilli, Masanielli & manganelli (mediatici)

Ubaldo Pacella
Sociologia politica in soccorso di un’immagine dell’Italia che muove alle lacrime molto più che al rimpianto.
Gli analisti e commentatori si sono soffermati, sino ad oggi, in iperboliche valutazioni sulle prossime elezioni europee, nonché sulle conseguenze che queste potranno produrre nei vari contesti nazionali. Per noi in un’Italia alla disperata ricerca di un filo cui aggrapparsi per evitare il naufragio.

Il profilo che si fa strada dall’analisi dei metodi e della comunicazione politica appare di una tristezza sconfinata. Non voglio richiamare l’assenza assoluta di temi intrinsecamente europei ed internazionali, cosa sulla quale tornerò brevemente più avanti, bensì riflettere sulla povertà estenuata che i contenuti della comunicazione politica ci propongono e i riflessi che essa manda come specchio ipotetico del paese.
La scelta del Movimento 5 Stelle propone una  visione di futuro che risulta una bolla di sapone gonfia di risentimento. Una opzione del movimento o meglio, degli unici due dioscuri Grillo e Casaleggio, cui e’ affidata non solo la comunicazione ma l’intera campagna elettorale. Le intemerate di Grillo mobilitano quella pancia malmostosa del paese orientata alla mera distruzione di un presente dal quale ognuno si sente sospinto ai margini. Cittadini che appaiono come i nuovi figuranti del popolo parigino di Victor Hugo. Plebe che nella rivolta del 1848 sembrava riecheggiare la presa della Bastiglia del 1789. Masse informi e interiormente furibonde con uno status quo che in Italia potremmo rintracciare nei moti del Masaniello napoletano o nel rigurgito delle bande del cardinale Ruffo. Non è una paura infondata quella verso un grillismo che sa amaramente di totalitarismo intransigente, di rifiuto di ogni diversità di pensiero, di parola, o di progetto. La mia preoccupazione, questa volta, è molto forte. Il successo “scontato” del Movimento 5 Stelle mina intrinsecamente e stavolta in concreto la fragile democrazia repubblicana italiana. Le parole d’ordine, i metodi, la violenza, per ora, verbale o il rifiuto di quegli stessi propri aderenti della prima ora rimandano ai primi anni Venti, alle adunate Mussoliniane, alla rivoluzione in manganello ed olio di ricino. Il confronto dialettico nel Movimento 5 Stelle non ha sino ad oggi prodotto alcun frutto, se non quello di trovare un luogo dal quale scagliare le proprie invettive contro tutto e tutti, in Italia e in Europa. La partecipazione ai talk show è l’ultima trovata di Casaleggio per appropriarsi di quella fetta di elettorato post berlusconiano non intercettabile sul web. Di certo assai lontana da accogliere una dimensione dialettica e di civile confronto, bensì una fiche giocata in modo spregiudicato alla roulette della politica elettorale in chiave esclusivamente italiana.
Veniamo alle proposte o ai contenuti. Basta scorrere i primi dieci obiettivi pubblicati di recente dal Sole 24 Ore per rendersi conto, se posti si un piano sinottico, che quasi tutti sono in netta contraddizione con se stessi. La realizzazione dell’uno, annulla la progettualità dell’altro, senza rimarcare, come sarebbe doveroso, che molte delle cose richieste sono assolutamente impossibili anche dal punto di vista costituzionale. I trattati internazionali non possono essere oggetto di referendum, il fiscal compact può essere cambiato e dovrà esserlo ma con una solida maggioranza a Bruxelles, nulla può un solo paese, le politiche di accoglienza hanno bisogno di una regia internazionale. Il contratto di lavoro è un’intesa tra le parti. Quali possano essere le politiche del lavoro dei Cinque Stelle non e’ dato sapere. Propenderebbero per il lavoro autonomo o quello dipendente? Come ridistribuire il cuneo fiscale? Mai idee precise, solo maledizioni generiche Qualunque sia l’approccio metodologico con il quale si analizzano i contenuti ammesso che vi siano, della politica dei 5 Stelle, ciò che emerge è un elettorato potenziale mosso pervicacemente da una rivolta e ribellione puramente istintiva, nella quale sono assenti ideologia, progettualità, fini di breve e medio periodo, elementi costruttivi in economia, nei rapporti istituzionali, nelle politiche internazionali, verso i diritti civili. Quest’ultima appare francamente la zona d’ombra più oscura, direi terribilmente nera, non a caso sopita da settimane ma che si rintraccia nella velenosità e nell’acrimonia degli interventi. Sono molto preoccupato di questa salsa grillina, non dimentico le loro affermazioni recenti come fa invece la maggior parte degli osservatori o di chi come Mentana strizza l’occhio a Grillo fingendosi paladino di una pluralità d’informazione.
Non si possono dimenticare, d’un tratto, i rigurgiti razziali, ancorché sopiti da molti grillini sul web. Questa è una infinita, delicata questione sui diritti di cittadinanza e della persona cui obliquamente il Movimento 5 Stelle rifugge. Tralasciamo, per carità, il pensiero sulla necessità di sciogliere i sindacati e altre amenità varie, tutte presenti e registrate sulla rete e dalle televisioni che offrono microfoni aperti senza alcun contraddittorio alla leader “invasato”.
Quello che occorre sottolineare è proprio la fotografia di una parte del paese che sembra rigettare ogni progettualità sotto la bandiera del distruzionismo. Se questo mobiliterà un 25% o più di italiani al di là delle ragioni sociologiche che dovremo analizzare all’indomani del 25 maggio significa che una parte importante del Paese è acritica e sorda ad ogni ragionamento compiuto.
Altrettanto sconcertante è il profilo dell’elettorato di riferimento cui si rivolge Silvio Berlusconi. Gli strateghi della sua comunicazione hanno elaborato un italiano medio facile da irretire con proposte o dichiarazioni assolutamente inconsistenti e di nessuna coerenza logica. Quale senso può avere in una campagna elettorale che manda parlamentari di 28 paesi a Bruxelles parlare di dentiere a carico del servizio sanitario italiano, di cani curati gratis? Quale interrelazione passa tra l’aumento a 1000 € delle pensioni e le politiche di bilancio dell’UE? Assolutamente nessuna. Qui non si tratta di populismo elargito a man salva né mirabolanti antidoti alla recessione economica, bensì di assolute panzane che dovrebbero provocare l’ilarità in chi le scrive prima e chi le pronuncia poi. Devastante è l’immagine di un popolo italiano cui si possono ammannire simili idiozie per captarne non già la buona fede ma un voto che forse si vuol pagare meno del passato. Sommiamo per un attimo l’immagine dell’elettore grillino e di quello berlusconiano, traguardiamola alle percentuali elaborate sino ad oggi dai centri demoscopici e ne avremo la trasfigurazione di un 45% del Paese. Se questo è vero non mi resta miei cari amici che la fuga precipitosa all’estero.
Non c’è in me indignazione morale, bensì reale sconforto. E’ mai possibile che l’Italia sia diventata un Paese di straccioni ottusi senza speranza e senza un minimo di analisi critica? Questo si costituirebbe il fallimento del Paese e la tomba di ogni anelito per le giovani generazioni. Cosa si potrà mai costruire senza élite intellettuali degne di progetti di grande valore etico e politico, con una classe dirigente vecchia, codarda e collusa con ogni tipo di corruzione, di malversazione e di logica criminale, quando il resto degli italiani fosse una plebe rancorosa?
Nutro ancora residue speranze che così non sia. Resta il fatto che di vera progettualità, di Europa dello sviluppo e dei diritti, di unione dei cittadini oltre che dei sistemi bancari e del libero mercato non si parla. Questo è il silenzio più preoccupante. Le logiche dei grandi gruppi di potere si articolano sullo sfaldamento della partecipazione civile e politica, sull’assenza di progettualità, sulla fuga dai problemi cercata nel recinto ristretto della propria casa. Il populismo antieuropeo non può che decretare la marginalità del continente europeo. Già oggi il vaso di coccio tra Stati Uniti, Cina e nuovo imperialismo Russo.
Idee e coraggio potranno risolvere una crisi non solo economica ma sociale che scuote il vecchio continente nelle fondamenta stesse del suo pensiero originale. La mancanza di soluzioni è figlia di un rifiuto a costruire una nuova filosofia del pensiero nella continuità e nella originalità con i grandi europei del passato da Platone a Kant, da Rousseau a Hegel, sino a Wittgenstein e ai giorni nostri. Senza un’idea forte di socialità nuova, di etica dello sviluppo non potremo risolvere alcuna questione pratica perché essere affondano in una concezione del mondo ormai troppo stretta per essere dipanata con le alchimie di mestieranti della politica.
Scelte di crescita ecosostenibile, inclusione sociale, gestione dei grandi flussi migratori, riequilibrio delle disparità, tutela reale delle minoranze come delle lingue e delle culture. Sono queste le linee di forza di una vera politica europea. Dimenticarsene più o meno volutamente per traguardare l’orizzonte di pochi giorni, come sta facendo ovunque la classe politica in Europa è una colpa grave. Se non su questi temi, parafrasando il pessimismo di Primo Levi, quando potremo coinvolgere i
popoli su ideali capaci di mutare l’agenda che altri ci vogliono ammannire?

Share/Save/Bookmark
Commenti (0)
Commenta
I tuoi dettagli:
Commento:
Security
Inserisci il codice anti-spam che vedi nell'immagine.