Ecco perché ho firmato per tutti e 12 i referendum
Luigi Manconi
Ha ragione Emanuele Macaluso quando, sull'Unità di ieri, scrive che l'intento di Silvio Berlusconi nel firmare i referendum radicali è quello di "punire la magistratura". Ma è motivo sufficiente, questo, per non sottoscrivere quei referendum? E' da quand'ero piccino che un certo senso comune di sinistra (al quale Macaluso peraltro si è sempre sottratto) mi sibila nell'orecchio: se dici questo o quello fai il gioco del nemico. Davvero siamo così insicuri della nostra identità da non poter firmare il referendum sull'abrogazione della Bossi-Fini "per non confonderci con Berlusconi"?

E siamo così poco convinti delle nostre idee da temere che, se firmiamo per abrogare l'ergastolo, favoriamo la destra? Dico questo perché non riesco a immaginare altre ragioni, più fondate, capaci di spiegare come mai una mobilitazione per depenalizzare il consumo personale di sostanze stupefacenti e per non criminalizzare la libertà di movimento di migranti e fuggiaschi, non sia la nostra mobilitazione. Così come quella per ridurre la custodia cautelare e abolire l'ergastolo. Personalmente, quei dodici referendum, li ho firmati tutti. Buona parte perché li condivido incondizionatamente, e altri perché ritengo che su tutti i temi referendari - compresi quelli riguardano quel bene preziosissimo che è la giustizia giusta - i cittadini debbano avere il diritto di esprimersi, a favore o contro. E li ho firmati, inoltre, perché ritengo insopportabile che l'egemonia culturale e ideologica di Berlusconi sopravviva alla sua irreversibile crisi politica condizionando ancora le nostre opzioni e impedendoci una piena e autonoma libertà di scelta. A prescindere, quindi, dal fatto che una parte della destra firmi per quei referendum, mentre si appresta a votare contro nel merito delle materie che più ci dovrebbero stare a cuore (normativa sull'immigrazione, sulle sostanze stupefacenti, sulla custodia cautelare, sull'ergastolo). Facciamo un passo indietro. E’ indubbio che, vent'anni fa, una parte significativa della sinistra abbia pensato di vincere facile di fronte alla liquefazione dei partiti che avevano governato l’Italia in precedenza. Ma nella tradizione del giacobinismo, così frequentemente evocato in questi giorni, l’uso politico della giustizia si accompagna, e senza contraddizione, alla diffidenza nei confronti del principio di legalità, e soprattutto di quella legalità che è nel patto costituzionale, sovraordinata alla contingente espressione della volontà popolare. Meriti e torti non sono da una parte sola. Se una "guerra" c’è stata in questi vent’anni, non è stata quella dei giudici contro Berlusconi, ma quella che ha visto fronteggiarsi una componente giustizialista della sinistra (sempre più minoritaria, forse) e una destra insofferente verso il principio di legalità costituzionale. Questa partitura occupa la scena anche dopo la sentenza della Cassazione sul caso Mediaset. Una partitura che – è questo il punto - gioca a tutto vantaggio di chi vuole prorogare all’infinito la stagione consunta dell’Italia berlusconiana. Infatti, abolita l'IMU, la destra non ha nulla da dire sul futuro di questo Paese, e ci costringe ancora una volta a discutere di una sacrosanta riforma della giustizia a partire dalla particolarissima vicenda che riguarda il suo leader politico. Proprio muovendo da quel processo, dove tutte le garanzie offerte dall’ordinamento sono state rispettate (anche in ragione dello status politico, economico e sociale del suo principale imputato), si parla di riforma della giustizia puntando sulla sofferenza (e sul consenso) di quei milioni di cittadini che – al contrario – per status sociale attraversano le aule di giustizia in condizioni di massima vulnerabilità. E’ un paradosso che va completamente rovesciato: la riforma della giustizia, la devono proporre innanzi tutto il Pd e la sinistra, perché è interesse in primo luogo della nostra parte la tutela dei diritti di tutti. Di conseguenza, quei referendum andrebbero presi e fatti propri dal Pd: esattamente per le perplessità che la firma di Berlusconi ha suscitato nella destra populista e giustizialista. Non si tratta, infatti, di referendum per la “agibilità politica” del leader del Pdl (che non ne trarrebbe alcun beneficio), ma per una giustizia più giusta per tutti. E, così, anche i quesiti “ordinamentali” ci appariranno per quello che sono: non mezzi di una impossibile revanche di Berlusconi contro i suoi giudici, bensì strumenti per processi più equi, a tutto vantaggio di chi non abbia le risorse economiche e relazionali di cui dispone Silvio Berlusconi.

l'Unità 6 ottobre 2013

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