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La Cgil: «Ma rischia di fallire»
Felicia Masoccotutti

Sarebbe una gran bella cosa, uno sciopero dei migranti, alzerebbe il velo su un mucchio di ipocrisie, tanto forte è il peso che hanno già nella nostra società e nell’economia. «Ma se lo sciopero fallisse, sarebbe un grosso problema». Piero Soldini, responsabile immigrazione della Cgil, non nasconde le perplessità sullo sciopero del primo marzo. Spiega i motivi e, d’accordo con la necessità di una mobilitazione, propone un’altra iniziativa per il 20 marzo: «Un giorno di riposo, che agli immigrati è spessissimo negato. Riposo e festa».

Uno sciopero dei soli immigrati. Per rendersi visibili. È una buona idea per la Cgil?

«È una discussione aperta da tempo. Che gli immigrati un giorno si fermino tutti e facciano pesare la loro utilità è una bella suggestione, ma difficilmente realizzabile».

Perché?

«Perché lavorano in condizioni di assoggettamento, soggezione, neo schiavismo in alcuni casi. Subiscono una forte ricattabilità e questo rende arduo che possano mettersi d’accordo e, anche solo per un giorno, alzare la testa».

Non è una visione rinunciataria?

«È pragmatismo. Inoltre per un sindacalista la scelta di uno sciopero solo di immigrati è strategicamente sbagliata. Perché rischiano tendenzialmente una segregazione nella società che li ospita e rispondere con l’auto-segregazione nelle forme di lotta è un errore. Gli immigrati rivendicano diritti nel lavoro e di cittadinanza: sono diritti di tutti, la lotta è di tutti».

Quindi uno sciopero di tutti?
«A mio avviso sarebbe più efficace uno sciopero generale magari di un’ora sola, ma di tutti, contro il razzismo. Anche per parlare ai compagni di lavoro che in fabbrica o nei cantieri dicono “ma questi che vogliono”? Noi, la Cgil, stiamo dialogando con i promotori dell’iniziativa del primo marzo e con quelli del 20 marzo: perché le proposte in realtà sono due. Dato il contesto, una mobilitazione è necessaria, stiamo dialogando, ma pensiamo a questa giornata non come uno sciopero ma una festa per gli immigrati, da farsi però il 20 marzo».

Una festa invece di uno sciopero?

«Si, il 20 è sabato e precede la giornata internazionale contro il razzismo, quindi avrebbe una simbolicità maggiore. Lo sciopero del primo viene mutuato dall’iniziativa francese. Solo che lì il primo marzo è l’anniversario dell’approvazione della legge Sarkozy sull’immigrazione. Inoltre dalle notizie che arrivano, in Francia sta diventando uno sciopero dei consumi».

Che festa sarebbe?
«L’indicazione che diamo è che i lavoratori migranti riposino, facciano valere il diritto al riposo, perché spessissimo gli viene negato, lavorano senza sosta. Si riposino e facciano festa, vadano al cinema, al teatro, in pizzeria, nei luoghi di incontro e di socialità, magari con un segno di riconoscimento che possiamo portare tutti. Ne stiamo parlando con i promotori delle altre due iniziative e argomentiamo con il fatto che la maggioranza degli immigrati difficilmente verrà a conoscenza dello sciopero».

Rischia di fallire?
«Un flop sarebbe un problema molto serio, i sindacati hanno dimestichezza con gli scioperi, è il loro mestiere, siamo attenti e pragmatici. Occorre trovare insieme la forma di mobilitazione più idonea. Senza separare gli immigrati o escluderli».

07 gennaio 2010
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