logo_colore
Vuoi sostenere l'attività di A Buon Diritto?
Dona il tuo 5x1000
indicando il codice fiscale 97612350583

banner_x_link_italiarazzismo

bannerEvasioni



stopopglogo2

 


 



slegami
burattino

Lavoro ai Fianchi
Grillo qualunquista aiuta la destra
Luigi Manconi
“Sono tutti uguali. Mangiano tutti la stessa zuppa” Beppe Grillo.
Dovevate vederlo (e l’hanno visto in tantissimi) il comico genovese mentre – la voce resa roca dalla rabbia – urlava quella frase, e altre simili, nel corso di una puntata di Annozero di qualche settimana fa. Prima e dopo quell’imbarazzante performance,  Grillo ha trovato modo di dare di “busone” a Niki Vendola e di trattare i migranti come una merce alla quale imporre dazi e barriere protezionistiche. Per questo viene da chiedermi: ma perché mai tutto ciò (Grillo e i militanti di 5 Stelle, il qualunquismo e l’antipolitica, il giustizialismo e la foia manettara…) dovrebbe riguardarmi? Io sono, come so e posso, di sinistra e quella roba mi sembra inequivocabilmente di destra. Anche le più ragionevoli contestazioni che mi si potrebbero opporre – ovvero: 1, sono giovani giovanissimi; 2, sono contro Silvio Berlusconi; 3, sono stati e alcuni ancora si dicono di sinistra - non mi scalfiscono punto. Con quella roba là non si va da nessuna parte e non ho alcun dubbio che di roba vecchia e mediocre stiamo parlando. E quando così non è, si tratta comunque di materia da manovrare con delicatezza. Pigliamo la candidatura di Luigi De Magistris. È ovvio, che se fossi un elettore napoletano correrei a perdifiato pur di votare l’ex magistrato. Ma perché mai questo dovrebbe indurmi a considerarlo un partner affidabile e “un alleato prezioso”? Lo si vota per l’ottima ragione che è meglio (o meno peggio) di Gianni Lettieri. Dovrebbe essere scontato, ma a una situazione tanto confusa da risultare inestricabile, si aggiunge il ricorso a un vocabolario politico ormai logoro e vistosamente inadeguato. Per capirci, De Magistris viene definito come un esponente della “sinistra radicale”. Ma qualunque sia il significato di tale definizione De Magistris è tutto fuorché sinistra radicale. Se proprio proprio dovessi trovare un’etichetta, lo chiamerei “estremista di centro”. È vero, infatti, che il candidato napoletano dell’IdV porta alle ultime (estreme) conseguenze alcuni valori che si dislocano più nel territorio politico-culturale del centrodestra che in quello del centrosinistra: si pensi al richiamo  costante a “legge e ordine”, all’enfasi su un’etica che tende a ridursi a moralismo, all’idea centralista, statalista e gerarchica dello Stato e del sistema delle istituzioni. A ciò De Magistris aggiunge di suo un linguaggio tonitruante e approssimativo, la difficoltà a distinguere tra alleato e avversario, la riluttanza a riconoscere i propri errori, anche quando evidenti. E, soprattutto, una concezione della giustizia, della sua amministrazione e delle sue garanzie, che nulla ha a che fare con ciò che vorrei fosse la cultura della sinistra. Detto tutto ciò, viva e sempre viva De Magistris. Comportarsi diversamente significherebbe, oggi, rinunciare alla politica. Che è esattamente quanto fanno i militanti del movimento 5 stelle, e non solo loro. Di ciò è paradigmatica proprio quell’immagine sudaticcia di Beppe Grillo, prima richiamata, così come quella dichiarazione di assoluta equidistanza tra centrodestra e centrosinistra che connota una parte dell’attuale estremismo. La politica, infatti, si fonda su alcune essenziali categorie e una, tra esse, è proprio la scelta sempre e comunque del male minore (ovvero del bene possibile). L’equidistanza è l’espressione o di una tragica irresponsabilità politica o di un artificio reazionario. Ma questo richiama un altro fondamentale tema. Quello, niente meno, di cosa sia oggi la politica e di cosa sia oggi una collocazione a sinistra. Ne parlerò nella prossima rubrica, a partire da un colloquio straordinariamente rivelatore, trasmesso qualche settimana fa nel corso di un servizio di Exit (La7). In quel filmato vengono proposte, icasticamente ritratte, due figure: la cosiddetta Nuova Politica, rappresentata da un blogger e quella Vecchia, interpretata da una giovane “rinnovatrice”, che paradossalmente si trova a illustrare la bontà delle tradizionali virtù dell’agire pubblico.
Nuova Politica: “siamo blogger venuti qua per mettere D’Alema di fronte alla verità nuda e cruda”; Vecchia Politica: “io ho fatto le primarie e la città è andata a votare. Te lo dice una persona che è del Pd che ha fatto la campagna elettorale per quelli di Sinistra e Libertà, Fassino le ha vinte e tu da cittadino hai il dovere di rispettare il fatto che sessantamila torinesi sono andati a votare alle primarie. Non è così che si fa. Venite nel partito, rimboccatevi le maniche e prendete posto. Tu in questo momento stai facendo politica come me. Io non prendo neanche un centesimo dalla politica, oggi ho fatto 400Km per lavoro, ho un contratto da metalmeccanico, mi sono laureata, son semplicemente più grande di te”;
Nuova Politica: “ma io non sono dirigente di partito”.
Teatro civile allo stato puro.
l'Unità 27 maggio 2011
Lavoro ai Fianchi
Grillo qualunquista aiuta la destra
Luigi Manconi
“Sono tutti uguali. Mangiano tutti la stessa zuppa” Beppe Grillo.
Dovevate vederlo (e l’hanno visto in tantissimi) il comico genovese mentre – la voce resa roca dalla rabbia – urlava quella frase, e altre simili, nel corso di una puntata di Annozero di qualche settimana fa.
Prima e dopo quell’imbarazzante performance,  Grillo ha trovato modo di dare di “busone” a Niki Vendola e di trattare i migranti come una merce alla quale imporre dazi e barriere protezionistiche. Per questo viene da chiedermi: ma perché mai tutto ciò (Grillo e i militanti di 5 Stelle, il qualunquismo e l’antipolitica, il giustizialismo e la foia manettara…) dovrebbe riguardarmi? Io sono, come so e posso, di sinistra e quella roba mi sembra inequivocabilmente di destra. Anche le più ragionevoli contestazioni che mi si potrebbero opporre – ovvero: 1, sono giovani giovanissimi; 2, sono contro Silvio Berlusconi; 3, sono stati e alcuni ancora si dicono di sinistra - non mi scalfiscono punto. Con quella roba là non si va da nessuna parte e non ho alcun dubbio che di roba vecchia e mediocre stiamo parlando. E quando così non è, si tratta comunque di materia da manovrare con delicatezza. Pigliamo la candidatura di Luigi De Magistris. È ovvio, che se fossi un elettore napoletano correrei a perdifiato pur di votare l’ex magistrato. Ma perché mai questo dovrebbe indurmi a considerarlo un partner affidabile e “un alleato prezioso”? Lo si vota per l’ottima ragione che è meglio (o meno peggio) di Gianni Lettieri. Dovrebbe essere scontato, ma a una situazione tanto confusa da risultare inestricabile, si aggiunge il ricorso a un vocabolario politico ormai logoro e vistosamente inadeguato. Per capirci, De Magistris viene definito come un esponente della “sinistra radicale”. Ma qualunque sia il significato di tale definizione De Magistris è tutto fuorché sinistra radicale. Se proprio proprio dovessi trovare un’etichetta, lo chiamerei “estremista di centro”. È vero, infatti, che il candidato napoletano dell’IdV porta alle ultime (estreme) conseguenze alcuni valori che si dislocano più nel territorio politico-culturale del centrodestra che in quello del centrosinistra: si pensi al richiamo  costante a “legge e ordine”, all’enfasi su un’etica che tende a ridursi a moralismo, all’idea centralista, statalista e gerarchica dello Stato e del sistema delle istituzioni. A ciò De Magistris aggiunge di suo un linguaggio tonitruante e approssimativo, la difficoltà a distinguere tra alleato e avversario, la riluttanza a riconoscere i propri errori, anche quando evidenti. E, soprattutto, una concezione della giustizia, della sua amministrazione e delle sue garanzie, che nulla ha a che fare con ciò che vorrei fosse la cultura della sinistra. Detto tutto ciò, viva e sempre viva De Magistris. Comportarsi diversamente significherebbe, oggi, rinunciare alla politica. Che è esattamente quanto fanno i militanti del movimento 5 stelle, e non solo loro. Di ciò è paradigmatica proprio quell’immagine sudaticcia di Beppe Grillo, prima richiamata, così come quella dichiarazione di assoluta equidistanza tra centrodestra e centrosinistra che connota una parte dell’attuale estremismo. La politica, infatti, si fonda su alcune essenziali categorie e una, tra esse, è proprio la scelta sempre e comunque del male minore (ovvero del bene possibile). L’equidistanza è l’espressione o di una tragica irresponsabilità politica o di un artificio reazionario. Ma questo richiama un altro fondamentale tema. Quello, niente meno, di cosa sia oggi la politica e di cosa sia oggi una collocazione a sinistra. Ne parlerò nella prossima rubrica, a partire da un colloquio straordinariamente rivelatore, trasmesso qualche settimana fa nel corso di un servizio di Exit (La7). In quel filmato vengono proposte, icasticamente ritratte, due figure: la cosiddetta Nuova Politica, rappresentata da un blogger e quella Vecchia, interpretata da una giovane “rinnovatrice”, che paradossalmente si trova a illustrare la bontà delle tradizionali virtù dell’agire pubblico.
Nuova Politica: “siamo blogger venuti qua per mettere D’Alema di fronte alla verità nuda e cruda”; Vecchia Politica: “io ho fatto le primarie e la città è andata a votare. Te lo dice una persona che è del Pd che ha fatto la campagna elettorale per quelli di Sinistra e Libertà, Fassino le ha vinte e tu da cittadino hai il dovere di rispettare il fatto che sessantamila torinesi sono andati a votare alle primarie. Non è così che si fa. Venite nel partito, rimboccatevi le maniche e prendete posto. Tu in questo momento stai facendo politica come me. Io non prendo neanche un centesimo dalla politica, oggi ho fatto 400Km per lavoro, ho un contratto da metalmeccanico, mi sono laureata, son semplicemente più grande di te”;
Nuova Politica: “ma io non sono dirigente di partito”.
Teatro civile allo stato puro.

l'Unità 27 maggio 2011
Share/Save/Bookmark
Commenti (1)
  • paolo
    In effetti Grillo esagera.
    Un modo per contrastarlo però c'è.I partiti , i nostri partiti, e gli uomini politici dovrebbero perdere il vizietto di vivere di finanziamento pubblico, di sottogoverno , di parastato, di stipendi esorbitanti. Forse un ritorno alla militanza autentica ed a costumi "francescani" aiuterebbe i cittadini a meglio individuare le differenze. o no?
Commenta
I tuoi dettagli:
Commento:
Security
Inserisci il codice anti-spam che vedi nell'immagine.