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Attualmente tremila italiani si trovano detenuti in prigioni di paesi stranieri, spesso in condizioni disumane.

Uno di questi è Roberto Berardi. Un imprenditore edile originario di Latina con una lunga esperienza di lavoro in Africa. Nel 2008 ha costituito in Guinea Equatoriale una società che si chiama Eloba Costruzioni e, com'è uso in molti paesi africani, Berardi ha cercato un socio locale per avviare l'impresa e lo ha trovato in Teodoro Obiang Nguema Mangue (detto Teodorin), figlio del Presidente della Guinea Equatoriale.

Verso la fine del 2012 Berardi, già in difficoltà con il suo socio per la gestione dell'attività, è venuto a conoscenza di un indagine negli Stati Uniti a carico di Teodorin per riciclaggio di denaro mediante l'apertura di conti correnti a nome della società Eloba. La situazione sarebbe precipitata e, la notte del 19 gennaio 2013, Berardi viene arrestato e trattenuto dalla polizia per ventuno giorni nel corso dei quali è stato sottoposto a violenze, prima di essere trasferito nel carcere di Bata dove si trova tutt'ora. Il processo a carico di Berardi, definito dai familiari una farsa, ha portato a una condanna a 2 anni e 4 mesi di reclusione.

Da oltre due mesi, Berardi sta scontando la sua pena in completo isolamento, in una cella di due metri per tre scarsamente illuminata da una piccola finestra, dormendo su un consunto materassino di gommapiuma di appena cinque centimetri,buttato per terra, ricevendo da mangiare una volta al giorno cibo scarso e scadente, avendo a disposizione un secchio d'acqua che gli viene consegnato ogni mattina con cui dissetarsi e lavarsi. Berardi è dimagrito tra i quindici e i venti chili, soffre di malaria e mai, nel corso della detenzione, ha incontrato un medico o potuto prendere medicinali. Nel corso di questo lungo periodo per tre volte Berardi ha subito violenze: nella caserma dove venne portato dopo l'arresto, nella cella che divideva con altri detenuti e infine, qualche settimana fa, nella cella d'isolamento. I compagni di reclusione, quando anche il poco cibo a disposizione non gli viene consegnato, si danno da fare per farglielo avere e alcuni poliziotti, in cambio di denaro, riescono a portargli un telefono cellulare tramite il quale riesce a rimanere in contatto con i suoi familiari.

Ed è proprio grazie a questo telefono "illegale" che lunedì 17 febbraio il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria sui diritti umani del Senato, ha potuto parlare con Roberto Berardi. Questi tredici mesi di detenzione lo hanno sicuramente provato, senza però intaccare la sua lucidità e fiaccare la sua determinazione. Il racconto delle sue giornate descrive bene la situazione in cui si trova e la forza con la quale reagisce ad essa: "Io continuo a svegliarmi alle 5 della mattina, come ho sempre fatto in tutta la mia vita (...) preparo il mio caffè (...), faccio un po' di ginnastica, mi rado e mi preparo come se fosse l'ultimo giorno della mia vita perché non permetterei mai a questa gente di vedermi in uno stato di abbandono ".

 

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