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Morte di un detenuto ignoto
Luigi Manconi
E poi col tempo mi hanno visto consumarmi poco a poco/ ho perso i chili, ho perso i denti, somiglio a un topo/ ho rosicchiato tutti gli attimi di vita regalati/ e ho coltivato i miei dolcissimi progetti campati  in aria, nell'aria.
Daniele Silvestri
***
Marco Pannella sarà il primo a convenirne: fare lo sciopero della fame è un’impresa enormemente faticosa, dagli esiti incerti e dalle conseguenze assai pesanti, per il corpo e per l’anima. Questo vale per un uomo di 82 anni, da oltre mezzo secolo protagonista della vita pubblica, creativo manipolatore del proprio corpo, non solo attraverso la rinuncia a nutrirlo, ma anche tramite mille travestimenti e travisamenti, colpi di genio e coup de théatre, maschere e sonorità, silenzio assoluto e logorrea incontinente. Ma se per Pannella è una impresa improba, e comunque dall’esito imprevedibile, pensate a cosa sarà stato lo sciopero della fame per  Ennio Mango. Detenuto nel carcere Pagliarelli di Palermo, Mango è deceduto nei primi giorni di luglio, a seguito di un lunghissimo periodo di astensione dal cibo, quale forma di lotta per ottenere il trasferimento, secondo quanto previsto dalla legge, in un istituto più vicino al luogo di residenza. La coincidenza tra lo sciopero della fame di Pannella, che infine ottiene attenzione e qualche piccolo risultato, e quello del “detenuto ignoto” di Palermo, è un tragico gioco del destino, particolarmente significativo. Tanto più che l’azione del leader radicale è stata accompagnata da quella di migliaia di detenuti, oltre che di familiari, avvocati, agenti di polizia penitenziaria, direttori di istituto e militanti politici. Ma mentre si svolgeva questa azione collettiva, destinata a sostenere la richiesta di un sacrosanto e indifferibile provvedimento di amnistia, la vita quotidiana del carcere, quella così ripetitiva e desolata, incubava mille altre sofferenze e preparava mille altre tragedie. In carcere lo sciopero della fame è un fatto abbastanza frequente, che rientra nella casistica degli “eventi critici” (come il legnoso linguaggio della burocrazia penitenziaria definisce tutti gli episodi non ordinari), e fa parte di quello che potremmo chiamare l’uso del corpo da parte delle persone prigioniere. È questione che ha una sua peculiarità. Per chi si trovi in libertà il corpo è uno strumento – ma uno tra molti –  di relazione con gli altri e col mondo, una potenzialità enorme, una chance ricca di pieghe e di infinite implicazioni. Per chi, invece, si trovi privato della libertà, il corpo è quasi (ma forse senza quasi) il solo medium, l’unico tramite, l’esclusiva misura della propria esistenza e del proprio ruolo sociale dentro l’ambito più ristretto e meno sociale che si possa conoscere (la cella, appunto).  Di quale repertorio si dispone per dirsi e comunicare? Di quali voci e quali scritture?  Il proprio corpo e (quasi) solo il proprio corpo. Chi entra in una galera o in un Centro di identificazione e di espulsione troverà che il più deprivato dei prigionieri e il detenuto spogliato di tutto, prima di chiedere qualunque bene e qualunque risorsa, domanderanno innanzitutto di comunicare: e la prima, e spesso la sola, modalità di comunicazione è rappresentata -appunto- dalla propria stessa fisicità. Parlano, in primo luogo,le sofferenze e le bocche sdentate, le spalle ricurve e le cicatrici, le tracce più chiare sulla pelle di antiche e recenti ferite e i tatuaggi vividi e quelli scoloriti. E’ il linguaggio del corpo: e in molti casi, è il solo linguaggio dicibile e intellegibile. Se non si ha risposta, e quasi sempre non si ha risposta, ecco  quel linguaggio del corpo farsi estremo e definitivo: il tagliarsi, il cucirsi (bocche e genitali), il tentare il suicidio, il darsi la morte. E lo sciopero della fame. Ennio Mango ne è morto, dopo quaranta giorni. Salvo Fleres, garante dei diritti delle persone private della libertà per la Regione Sicilia e senatore del Pdl, ha molto opportunamente fatto riferimento al secondo comma dell’art. 40 del codice penale, dove si legge: “non impedire un evento, che si ha l'obbligo  giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Con ciò Fleres ha evidenziato quali possano essere, in tale circostanza (ma anche  in mille altre simili), le responsabilità dell’amministrazione penitenziaria e della direzione del carcere nel non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire: ovvero, qui, il decesso di Mango. Lo sciopero della fame di Pannella è una forma di lotta non violenta per la vita (civile dignitosa) della popolazione detenuta. Lo sciopero della fame di Mango, non avendo potuto produrre vita e rispetto della legge, si è concluso con un’ agonia. La morte di quel corpo è la morte, per l’ennesima volta, del diritto.
Lavoro ai Fianchi – l’Unità 22 luglio 2011
Morte di un detenuto ignoto
Luigi Manconi
E poi col tempo mi hanno visto consumarmi poco a poco/ ho perso i chili, ho perso i denti, somiglio a un topo/ ho rosicchiato tutti gli attimi di vita regalati/ e ho coltivato i miei dolcissimi progetti campati  in aria, nell'aria.
Daniele Silvestri
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Marco Pannella sarà il primo a convenirne: fare lo sciopero della fame è un’impresa enormemente faticosa, dagli esiti incerti e dalle conseguenze assai pesanti, per il corpo e per l’anima. Questo vale per un uomo di 82 anni, da oltre mezzo secolo protagonista della vita pubblica, creativo manipolatore del proprio corpo, non solo attraverso la rinuncia a nutrirlo, ma anche tramite mille travestimenti e travisamenti, colpi di genio e coup de théatre, maschere e sonorità, silenzio assoluto e logorrea incontinente. Ma se per Pannella è una impresa improba, e comunque dall’esito imprevedibile, pensate a cosa sarà stato lo sciopero della fame per  Ennio Mango. Detenuto nel carcere Pagliarelli di Palermo, Mango è deceduto nei primi giorni di luglio, a seguito di un lunghissimo periodo di astensione dal cibo, quale forma di lotta per ottenere il trasferimento, secondo quanto previsto dalla legge, in un istituto più vicino al luogo di residenza. La coincidenza tra lo sciopero della fame di Pannella, che infine ottiene attenzione e qualche piccolo risultato, e quello del “detenuto ignoto” di Palermo, è un tragico gioco del destino, particolarmente significativo. Tanto più che l’azione del leader radicale è stata accompagnata da quella di migliaia di detenuti, oltre che di familiari, avvocati, agenti di polizia penitenziaria, direttori di istituto e militanti politici. Ma mentre si svolgeva questa azione collettiva, destinata a sostenere la richiesta di un sacrosanto e indifferibile provvedimento di amnistia, la vita quotidiana del carcere, quella così ripetitiva e desolata, incubava mille altre sofferenze e preparava mille altre tragedie. In carcere lo sciopero della fame è un fatto abbastanza frequente, che rientra nella casistica degli “eventi critici” (come il legnoso linguaggio della burocrazia penitenziaria definisce tutti gli episodi non ordinari), e fa parte di quello che potremmo chiamare l’uso del corpo da parte delle persone prigioniere. È questione che ha una sua peculiarità. Per chi si trovi in libertà il corpo è uno strumento – ma uno tra molti –  di relazione con gli altri e col mondo, una potenzialità enorme, una chance ricca di pieghe e di infinite implicazioni. Per chi, invece, si trovi privato della libertà, il corpo è quasi (ma forse senza quasi) il solo medium, l’unico tramite, l’esclusiva misura della propria esistenza e del proprio ruolo sociale dentro l’ambito più ristretto e meno sociale che si possa conoscere (la cella, appunto).  Di quale repertorio si dispone per dirsi e comunicare? Di quali voci e quali scritture?  Il proprio corpo e (quasi) solo il proprio corpo. Chi entra in una galera o in un Centro di identificazione e di espulsione troverà che il più deprivato dei prigionieri e il detenuto spogliato di tutto, prima di chiedere qualunque bene e qualunque risorsa, domanderanno innanzitutto di comunicare: e la prima, e spesso la sola, modalità di comunicazione è rappresentata -appunto- dalla propria stessa fisicità. Parlano, in primo luogo,le sofferenze e le bocche sdentate, le spalle ricurve e le cicatrici, le tracce più chiare sulla pelle di antiche e recenti ferite e i tatuaggi vividi e quelli scoloriti. E’ il linguaggio del corpo: e in molti casi, è il solo linguaggio dicibile e intellegibile. Se non si ha risposta, e quasi sempre non si ha risposta, ecco  quel linguaggio del corpo farsi estremo e definitivo: il tagliarsi, il cucirsi (bocche e genitali), il tentare il suicidio, il darsi la morte. E lo sciopero della fame. Ennio Mango ne è morto, dopo quaranta giorni. Salvo Fleres, garante dei diritti delle persone private della libertà per la Regione Sicilia e senatore del Pdl, ha molto opportunamente fatto riferimento al secondo comma dell’art. 40 del codice penale, dove si legge: “non impedire un evento, che si ha l'obbligo  giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Con ciò Fleres ha evidenziato quali possano essere, in tale circostanza (ma anche  in mille altre simili), le responsabilità dell’amministrazione penitenziaria e della direzione del carcere nel non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire: ovvero, qui, il decesso di Mango. Lo sciopero della fame di Pannella è una forma di lotta non violenta per la vita (civile dignitosa) della popolazione detenuta. Lo sciopero della fame di Mango, non avendo potuto produrre vita e rispetto della legge, si è concluso con un’ agonia. La morte di quel corpo è la morte, per l’ennesima volta, del diritto.
Lavoro ai Fianchi – l’Unità 22 luglio 2011
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Commenti (2)
  • giordano  - la legge non e' uguale per tutti
    quando il detenuto e' figlio di nessuno non ha diritto neanche al carcere,basta aprire il corriere dell'umbria del 06/08/2011 e si vedono due notissimi imprenditori ternani arrestati per istigazione al suicidio frode fiscale ecc.ecc. che escono dalla porta della questura per salire nella macchina della polizia che li accompagnera' in carcere senza le manette ai polsi,perche'se un ragazzo viene arrestato per reati piu' piccoli le manette sono un obbligo e per gli arresti eccellenti le manette sono un optional complimenti anche questa volta alla polizia.se si vogliono evitare il racconto delle storie di ennio mango si deve iniziare a mettere in risalto le disugulinze con le quali gli uomini in divisa applicano la legge.vuoi scommettere che quei due imprenditori ternani se chiedono un trasferimento lo ottengono??vuoi scommettere che tra due mesi quei due sono ai domiciliari??la legge e' uguale per tutti??????nooooooooooooooooooo
  • frngming  - sunshine
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