Societas imperfecta
Luigi Manconi
politicamente correttissimo
1-  E meno male che Giuseppe Di Leo, nella sua eccellente Rassegna Stampa Vaticana su radio Radicale, alle 8 della domenica, segnala l’indispensabile.
Leggo così, su il Foglio di martedì scorso, un interessante articolo su Chiesa e pedofilia di Marco Burini, che sollecita repliche autorevoli all’editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere del 26 aprile. Secondo lo storico, è in corso una svolta profonda nella Chiesa: la rinuncia a considerarsi “societas perfecta, un’organizzazione che non riconosceva per principio alcuna istanza umana a lei sovraordinata”. Gli interpellati da Burini sembrano non condividere quella tesi e le sue implicazioni. Giuseppe Angelini definisce assurda l’ipotesi di “arrivare a una legge che obbliga il vescovo a denunciare un prete”: sarebbe il risultato della sudditanza nei confronti del giustizialismo e di parole d’ordine come “tolleranza zero”, imposte dall’“intimidazione dei mass media”. Il discorso è di grande interesse e proprio non saprei dire se sia giusto imporre per legge a un vescovo di “denunciare un prete”. Ma ancora più interessante è la premessa: davvero si pensa che il giustizialismo presente nella Chiesa sia l’effetto di una sorta di “infiltrazione” della cultura laica? Nella mentalità cattolica corrente il garantismo è tutt’altro che diffuso, a tutto vantaggio di un perdonismo comprensibile (e, per quanto mi riguarda, istintivamente condiviso) ma che è tutt’altra cosa – e guai a confonderlo – con i fondamenti dello stato di diritto, dell’habeas corpus, della presunzione di innocenza. In ogni caso emerge qui una piega inedita della questione.

Non altrettanto può dirsi della risposta a Galli della Loggia data da Vittorio Messori che, testualmente, afferma: “è risaputo che l’80% dei casi di abusi su minori avvengono in famiglia. E la fa­miglia come reagisce a questi casi? Non denuncia quasi mai ma tende a ri­parare la cosa al proprio interno. La chiesa fa lo stesso". L’affermazione è sociologicamente esatta, ma socialmente (e, se posso dire, moralmente) spaventosa. Quella “riparazione” non ha nulla, ma proprio nulla, di riparatorio: non ha alcuna funzione terapeutica sotto il profilo psicologico né sotto quello relazionale e produce, frequentemente, effetti devastanti, patologie, conflitti irrisolti. Contribuisce a perpetuare la tendenza predatoria nelle vittime, le condanna all’infelicità o, comunque, a una vita  di silenzio e vergogna, omertà e colpevolizzazione. Dio ce ne scampi e  liberi da una simile riparazione. Rispetto a essa, qualunque societas imperfecta risulta il male minore.     

2-  Giuliano Ferrara da qualche tempo torna su un punto che, in tutta evidenza, sembra costituire per lui un fastidio mal sedato e una acidula ossessione: la Adulo-fobia. Ai nemici di Ferrara la cosa può apparire comica: chi non l’ha mai capito, infatti, lo considera un maestro di quell’arte. Io penso, invece, che l’adulazione, in Ferrara, sia una manifestazione altrettanto autentica quanto il Vituperio, giocato abitualmente in alternativa, ma talvolta contemporaneamente, alla prima. È ovvio che l’adulazione verso Silvio Berlusconi abbia raggiunto, in Ferrara, vertici inebrianti e forme di eccitazione fino al priapismo: ma tutto ciò nella più invereconda sincerità. In altre parole, l’entusiasmo era ed è fanciullesco e “innocente” quanto la delusione, la riprovazione, se necessario lo sdegno e, forse, il Ripudio. Giusta o sbagliata che sia questa mia diagnosi (magari anch’essa segnata dall’adulazione verso il direttore di questo giornale), resta il fatto che il sentimento di Ferrara nei confronti di Berlusconi è selvatico, primitivo, erotico. E questo lo rende estraneo a un’altra forma dell’adulazione che lo stesso Ferrara sta inquadrando come categoria politologica. Ed è una tipologia di azione pubblica che merita uno studio approfondito. La politologia contemporanea ha considerato tale categoria all’interno delle analisi del populismo, ma queste si riferiscono, in genere, a regimi meno complessi e sofisticati di quello italiano. Nel nostro, e nel caso di Berlusconi, l’adulazione riguarda piuttosto i meccanismi di fidelizzazione dell’inner circle, della coesione delle massime gerarchie, dell’integrazione mistica col e nel Capo (Ferrara: “un inno salmodiante che esalta in forma cultuale”, “un credo religioso per fanatici” …). Questo meccanismo “sovietico” di sudditanza psicologica si è realizzato in Italia solo nei confronti di Palmiro Togliatti, ma quella era, appunto, una società “semplice”,  nutrita da relazioni politiche elementari. Oggi quelle relazioni sembrano riprodursi all’interno del ceto di comando del Pdl: e non per ragioni funzionali (maggiore efficienza della leadership), bensì per motivi ideologici (l’integrazione subalterna e l’identificazione paranoide come vincolo di fedeltà). Su questo la teoria delle élite dovrebbe lavorare. A Giuliano Ferrara, che fa un altro mestiere, tocca compiere un ulteriore passo. Fuori i nomi: gli Adulatores, le loro opere, i loro servigi, brani scelti della loro letteratura ageografica e innologica.                            

il Foglio 4 maggio 2010
Share/Save/Bookmark
Commenti (0)
Commenta
I tuoi dettagli:
Commento:
Security
Inserisci il codice anti-spam che vedi nell'immagine.