Politicamente correttissimo
Isterici
Luigi Manconi
La Global  Commission on Drug Policy, composta da autorevolissime personalità ( tra le quali anche un paio di fior di reazionari e nessuno “in odore di 68”, come bizzarramente scrive Libero) ha redatto un importante report sulla questione delle sostanze stupefacenti. In esso si legge chiaro e tondo che “ la guerra globale alla droga ha fallito”.  Basti un dato:  tra il 1998 e il  2008, nel mondo il consumo  degli oppiacei è aumentato del 34,5 per cento, quello della cocaina del 27 per cento e quello dei derivati della cannabis  dell’ 8,5 per cento. Da questa constatazione, inequivocabilmente comprovata da tutte le evidenze scientifiche, muove la parte propositiva del report ,dove si suggerisce di trattare il problema delle droghe innanzitutto come “questione sanitaria, piuttosto che come “emergenza criminale”. Queste le proposte essenziali: incoraggiare i modelli di regolamentazione delle droghe per contrastare i traffici illegali; assicurare l’ accesso a diverse modalità di trattamento (come la somministrazione controllata di eroina);  abbandonare la criminalizzazione e la stigmatizzazione dei consumatori, alleggerendo le pene per i piccoli spacciatori. Già da questa essenziale sintesi, emerge  che siamo in presenza di ipotesi estremamente ragionevoli e prudenti, che intendono sperimentare una sorta di terza via tra proibizionismo e antiproibizionismo. Non ancora un progetto di legalizzazione ( tantomeno di liberalizzazione, come sciaguratamente scappa di scrivere al Foglio del 3 giugno), ma  i primi contorni di una strategia che sembra affidarsi a  due criteri fondamentali: il pragmatismo dell’ approccio concreto e anti ideologico e la tutela del tossicomane  tramite programmi  terapeutici e sociali. Qualcosa di assai diverso dalle considerazioni tutte teoriche, liberiste e “mercatiste”,  di Milton Friedman, ma anche dal sacrosanto approccio “politico” del settimanale Economist, che –ogni dieci anni- espone  le razionali virtù di un regime di legalizzazione. Col report della Global Commission siamo in presenza di un programma, sistematico e articolato, che esige –se non altro per l’ incontestabile fallimento delle strategie contrapposte - di essere seriamente sperimentato. L’articolo del Foglio dice tutto ciò con sufficiente scrupolo. Ma piazza sopra quella informazione sostanzialmente corretta, un titolo mozzafiato : “La banalità dello stupefacente. La guerra culturale alla droga è persa. Fine di uno scandalo sociale”. Così facendo l’ autore e l’ ispiratore di quel titolo collocano il consumo di sostanze  all’ interno di una sequenza micidiale e maledetta  che, partendo dal 68 (immagino) e passando per il divorzio, l’ aborto, l’ omosessualità e chi più ne ha più ne metta, giù giù fino alla Ru486, e negando l’ immanenza del peccato originale, celebra il trionfo del Relativismo Etico. E, di conseguenza, la banalizzazione del Male. Verrebbe da dire: scellerati gnostici che non siete altro! Ma, più pacatamente, c’è da chiedersi che cosa mai vi abbia preso, quale malìa si sia impadronita di voi del Foglio, per rendervi a tal punto isterici.  Lo slittamento logico segnala, infatti, un imperdonabile slittamento teologico (tanto più sorprendente proprio perché urlato in un titolo, messo a stridente cappello  di un articolo che nulla ha di isterico). Siamo, inevitabilmente, nel campo della teologia morale, ma  l’ assunto che sembra ispirare il Foglio non è tanto una concezione arcigna e disciplinare della precettistica, bensì una sua sgangherata mondanizzazione -giuridicizzazione. In altre parole, non è Hans Urs von Balthasar ma Carlo Giovanardi a tracciare il solco. Perché mai, infatti, la “banalizzazione” dovrebbe discendere fatalmente da forme di regolamentazione del mercato, per un verso e dall’ adozione di strategie sanitarie e sociali alternative a quelle oggi dominanti?  Ma davvero pensate che la riprovazione sociale del tossicomane dipenda, in via esclusiva o comunque prevalente, dall’ asprezza del regime proibizionistico e delle pene conseguenti? Ma davvero pensate che la giovannea distinzione tra errore ed errante non debba valere anche per l’ abuso di sostanze? e il conseguente biasimo morale vada riservato al consumatore e non, invece, alla patologica condizione di  dipendenza?  Insomma, “lo scandalo sociale” (così il vostro titolo)  dell’ abuso di sostanze stupefacenti è e resta tale: il suo spessore tragico, non viene in alcun modo attenuato dalle eventuali modifiche, anche radicali, al relativo impianto normativo; e tanto meno dalla differenziazione delle strategie terapeutiche e sociali nei confronti dei tossicomani. È forse vero il contrario: la riduzione del problema delle droghe a questione criminale e la trasformazione di uno “scandalo sociale” in una variabile dell’ ordine pubblico e in una specializzazione dell’ attività di itelligence e di trattamento penale finiscono, in realtà, col neutralizzare –e infine proprio col banalizzare- la dimensione drammatica della dipendenza da sostanze. La grande questione  che si scorge in controluce, quella della responsabilità individuale,  viene degradata a oggetto di coercizione  penitenziaria. Contenti voi.
Il Foglio 7 giugno 2011
Politicamente correttissimo
Isterici
Luigi Manconi
La Global  Commission on Drug Policy, composta da autorevolissime personalità ( tra le quali anche un paio di fior di reazionari e nessuno “in odore di 68”, come bizzarramente scrive Libero) ha redatto un importante report sulla questione delle sostanze stupefacenti.
In esso si legge chiaro e tondo che “ la guerra globale alla droga ha fallito”.  Basti un dato:  tra il 1998 e il  2008, nel mondo il consumo  degli oppiacei è aumentato del 34,5 per cento, quello della cocaina del 27 per cento e quello dei derivati della cannabis  dell’ 8,5 per cento. Da questa constatazione, inequivocabilmente comprovata da tutte le evidenze scientifiche, muove la parte propositiva del report ,dove si suggerisce di trattare il problema delle droghe innanzitutto come “questione sanitaria, piuttosto che come “emergenza criminale”. Queste le proposte essenziali: incoraggiare i modelli di regolamentazione delle droghe per contrastare i traffici illegali; assicurare l’ accesso a diverse modalità di trattamento (come la somministrazione controllata di eroina);  abbandonare la criminalizzazione e la stigmatizzazione dei consumatori, alleggerendo le pene per i piccoli spacciatori. Già da questa essenziale sintesi, emerge  che siamo in presenza di ipotesi estremamente ragionevoli e prudenti, che intendono sperimentare una sorta di terza via tra proibizionismo e antiproibizionismo. Non ancora un progetto di legalizzazione ( tantomeno di liberalizzazione, come sciaguratamente scappa di scrivere al Foglio del 3 giugno), ma  i primi contorni di una strategia che sembra affidarsi a  due criteri fondamentali: il pragmatismo dell’ approccio concreto e anti ideologico e la tutela del tossicomane  tramite programmi  terapeutici e sociali. Qualcosa di assai diverso dalle considerazioni tutte teoriche, liberiste e “mercatiste”,  di Milton Friedman, ma anche dal sacrosanto approccio “politico” del settimanale Economist, che –ogni dieci anni- espone  le razionali virtù di un regime di legalizzazione. Col report della Global Commission siamo in presenza di un programma, sistematico e articolato, che esige –se non altro per l’ incontestabile fallimento delle strategie contrapposte - di essere seriamente sperimentato. L’articolo del Foglio dice tutto ciò con sufficiente scrupolo. Ma piazza sopra quella informazione sostanzialmente corretta, un titolo mozzafiato : “La banalità dello stupefacente. La guerra culturale alla droga è persa. Fine di uno scandalo sociale”. Così facendo l’ autore e l’ ispiratore di quel titolo collocano il consumo di sostanze  all’ interno di una sequenza micidiale e maledetta  che, partendo dal 68 (immagino) e passando per il divorzio, l’ aborto, l’ omosessualità e chi più ne ha più ne metta, giù giù fino alla Ru486, e negando l’ immanenza del peccato originale, celebra il trionfo del Relativismo Etico. E, di conseguenza, la banalizzazione del Male. Verrebbe da dire: scellerati gnostici che non siete altro! Ma, più pacatamente, c’è da chiedersi che cosa mai vi abbia preso, quale malìa si sia impadronita di voi del Foglio, per rendervi a tal punto isterici.  Lo slittamento logico segnala, infatti, un imperdonabile slittamento teologico (tanto più sorprendente proprio perché urlato in un titolo, messo a stridente cappello  di un articolo che nulla ha di isterico). Siamo, inevitabilmente, nel campo della teologia morale, ma  l’ assunto che sembra ispirare il Foglio non è tanto una concezione arcigna e disciplinare della precettistica, bensì una sua sgangherata mondanizzazione -giuridicizzazione. In altre parole, non è Hans Urs von Balthasar ma Carlo Giovanardi a tracciare il solco. Perché mai, infatti, la “banalizzazione” dovrebbe discendere fatalmente da forme di regolamentazione del mercato, per un verso e dall’ adozione di strategie sanitarie e sociali alternative a quelle oggi dominanti?  Ma davvero pensate che la riprovazione sociale del tossicomane dipenda, in via esclusiva o comunque prevalente, dall’ asprezza del regime proibizionistico e delle pene conseguenti? Ma davvero pensate che la giovannea distinzione tra errore ed errante non debba valere anche per l’ abuso di sostanze? e il conseguente biasimo morale vada riservato al consumatore e non, invece, alla patologica condizione di  dipendenza?  Insomma, “lo scandalo sociale” (così il vostro titolo)  dell’ abuso di sostanze stupefacenti è e resta tale: il suo spessore tragico, non viene in alcun modo attenuato dalle eventuali modifiche, anche radicali, al relativo impianto normativo; e tanto meno dalla differenziazione delle strategie terapeutiche e sociali nei confronti dei tossicomani. È forse vero il contrario: la riduzione del problema delle droghe a questione criminale e la trasformazione di uno “scandalo sociale” in una variabile dell’ ordine pubblico e in una specializzazione dell’ attività di itelligence e di trattamento penale finiscono, in realtà, col neutralizzare –e infine proprio col banalizzare- la dimensione drammatica della dipendenza da sostanze. La grande questione  che si scorge in controluce, quella della responsabilità individuale,  viene degradata a oggetto di coercizione  penitenziaria. Contenti voi.

Il Foglio 7 giugno 2011
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