Dati & sentimenti
Perché la teoria complottista
della Grande Corruzione
Onnipervasiva mobilita le masse
Luigi Manconi
Una settimana fa ha fatto scalpore (si fa per dire: come può sconcertare una notizia nata già così vecchia?) un Rapporto sulla corruzione elaborato dalla commissione di studio nominata dal ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi. Vi si legge che i delitti di corruzione e concussione sono passati dai 311 del 2009 ai 223 del 2010. Le persone denunciate sono calate nello stesso periodo da 1821 a 1226; e i condannati, da 341 a 295. Le condanne per reati di corruzione si sono significativamente ridotte (da 1700 a 239). A fronte di ciò – e, dunque, di dati statistici che sembrerebbero positivi – si ha un rovinoso incremento della percezione, da parte dell’opinione pubblica italiana, dell’entità del fenomeno della corruzione. Come spiegare questo scarto così rilevante tra dati di realtà e sentimento diffuso? La questione è di grande rilievo, tanto più se si tiene conto che un dislivello altrettanto ampio si registra nel rapporto tra statistiche generali relative ai fatti criminali (in due decenni il numero degli omicidi volontari è crollato) e la rappresentazione di essi da parte della collettività. Non è un tema recente, e, per quanto riguarda il fenomeno della corruzione, è prevalente un’interpretazione, diciamo così, pessimista: quella che ritiene semplicemente sottostimati i dati oggettivi della corruzione reale in quanto sarebbero inadeguati gli strumenti per indagarla, documentarla e sanzionarla. Certo, anche questa lettura è legittima, ma penso che le ragioni siano più profonde. E così riassumibili: la percezione della corruzione è in Italia tanto elevata per due ragioni: a- perché essa viene vissuta come la più grande ingiustizia possibile; b- perché essa viene vissuta come la più grande ingiustizia possibile a danno del più grande possibile numero di persone (ne siamo tutti vittime). Una riprova di questo risiede nel fatto che altre forme di ingiustizia non suscitano altrettanta mobilitazione emotiva e altrettanta voglia di risarcimento. È questo che trovo particolarmente interessante, ma anche preoccupante. È come se l’indignazione contro la corruzione – meglio: contro i corrotti – avesse sussuntu e riassunto tutta l’indignazione disponibile. Con una sequenza micidiale e vertiginosa, l’odio contro la corruzione diventa odio contro i corrotti e contro quella categoria che più sembra – no immotivatamente -alimentare il fenomeno: la casta dei politici. Quest’ultimo bersaglio, a sua volta, sembra rappresentare tutta quella moltitudine di individui e gruppi che rivestono, a qualsiasi livello, una qualsivoglia carica pubblica e un qualunque ruolo istituzionale, compreso il più modesto e periferico. Non sembra difficile spiegare tutto ciò. Ma è significativo che un simile processo, oltre a produrre quella percezione così alterata delle dimensioni del fenomeno corruttivo, finisca col mettere in secondo piano e rendere marginali o addirittura irrilevanti le altre, pressoché tutte, forme di ingiustizia. Ne derivano altre importanti conseguenze: la sopravvalutazione del fenomeno della corruzione, la cui dimensione viene considerata ormai non misurabile in quanto tendenzialmente totalizzante, fino a coincidere col sistema stesso, se non con l’intero paese (è il senso di quel titolo sciagurato: “Italia  a delinquere”). Gli effetti di questa lettura sono innumerevoli: l’insignificanza della politica, ridotta a funzione subalterna di quella macchina del malaffare; la vacuità dell’azione collettiva, sopraffatta da un avversario che costituisce un Male metafisico più che un sistema criminale; la delega incondizionata all’ordine giudiziario, non più amministratore della giustizia ma vindice dell’immoralità generale. Fatalmente, la sopravvalutazione della corruzione porta alla sottovalutazione di altre iniquità. In un paese dove i diritti civili sono estremamente gracili e, in più di un caso, sottoposti a revisione, se non a  revoca, e dove questioni cruciali, correlate a diritti umani fondamentali (privazione della libertà, flussi migratori) sono largamente ignorate, la coppia scandalo/reazione sembra valere solo a  proposito della corruzione. La spiegazione più semplice sta in una frase, una volta appannaggio esclusivo dei demagoghi da bar e ora messaggio condiviso da tutti gli opinion maker: “con i nostri soldi!”. Il che ha persino un fondo di verità (è vero che Franco Fiorito ha pagato le vacanze a Porto Cervo “con i denari dei contribuenti”), ma è altrettanto vero che le violazioni delle garanzie fondamentali della persona (nelle carceri, nelle caserme, nei reparti psichiatrici) e le politiche pubbliche di discriminazione (contro gli stranieri o contro le minoranze sessuali) e gli abusi degli apparati statuali sono realizzati, tutti, “a nostre spese”. In un senso molto concreto e corposo: attraverso il ricorso alle risorse dello Stato e attraverso la riduzione degli standard di legalità e di tutela del sistema di diritti individuali e collettivi. Di tutti noi. Se non si fosse così patologicamente irriducibili a ogni teoria del complotto, verrebbe proprio da dire che quella della Grande Corruzione Onnipervasiva,è solo una scusa per indurci ad aprire la porta di casa e per persuaderci ad acquistare il nuovo modello di Folletto Vorwerk.
il Foglio 30 ottobre 2012
Dati & sentimenti
Perché la teoria complottista della Grande Corruzione
Onnipervasiva mobilita le masse
Luigi Manconi
Una settimana fa ha fatto scalpore (si fa per dire: come può sconcertare una notizia nata già così vecchia?) un Rapporto sulla corruzione elaborato dalla commissione di studio nominata dal ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi.
Vi si legge che i delitti di corruzione e concussione sono passati dai 311 del 2009 ai 223 del 2010. Le persone denunciate sono calate nello stesso periodo da 1821 a 1226; e i condannati, da 341 a 295. Le condanne per reati di corruzione si sono significativamente ridotte (da 1700 a 239). A fronte di ciò – e, dunque, di dati statistici che sembrerebbero positivi – si ha un rovinoso incremento della percezione, da parte dell’opinione pubblica italiana, dell’entità del fenomeno della corruzione. Come spiegare questo scarto così rilevante tra dati di realtà e sentimento diffuso? La questione è di grande rilievo, tanto più se si tiene conto che un dislivello altrettanto ampio si registra nel rapporto tra statistiche generali relative ai fatti criminali (in due decenni il numero degli omicidi volontari è crollato) e la rappresentazione di essi da parte della collettività. Non è un tema recente, e, per quanto riguarda il fenomeno della corruzione, è prevalente un’interpretazione, diciamo così, pessimista: quella che ritiene semplicemente sottostimati i dati oggettivi della corruzione reale in quanto sarebbero inadeguati gli strumenti per indagarla, documentarla e sanzionarla. Certo, anche questa lettura è legittima, ma penso che le ragioni siano più profonde. E così riassumibili: la percezione della corruzione è in Italia tanto elevata per due ragioni: a- perché essa viene vissuta come la più grande ingiustizia possibile; b- perché essa viene vissuta come la più grande ingiustizia possibile a danno del più grande possibile numero di persone (ne siamo tutti vittime). Una riprova di questo risiede nel fatto che altre forme di ingiustizia non suscitano altrettanta mobilitazione emotiva e altrettanta voglia di risarcimento. È questo che trovo particolarmente interessante, ma anche preoccupante. È come se l’indignazione contro la corruzione – meglio: contro i corrotti – avesse sussuntu e riassunto tutta l’indignazione disponibile. Con una sequenza micidiale e vertiginosa, l’odio contro la corruzione diventa odio contro i corrotti e contro quella categoria che più sembra – no immotivatamente -alimentare il fenomeno: la casta dei politici. Quest’ultimo bersaglio, a sua volta, sembra rappresentare tutta quella moltitudine di individui e gruppi che rivestono, a qualsiasi livello, una qualsivoglia carica pubblica e un qualunque ruolo istituzionale, compreso il più modesto e periferico. Non sembra difficile spiegare tutto ciò. Ma è significativo che un simile processo, oltre a produrre quella percezione così alterata delle dimensioni del fenomeno corruttivo, finisca col mettere in secondo piano e rendere marginali o addirittura irrilevanti le altre, pressoché tutte, forme di ingiustizia. Ne derivano altre importanti conseguenze: la sopravvalutazione del fenomeno della corruzione, la cui dimensione viene considerata ormai non misurabile in quanto tendenzialmente totalizzante, fino a coincidere col sistema stesso, se non con l’intero paese (è il senso di quel titolo sciagurato: “Italia  a delinquere”). Gli effetti di questa lettura sono innumerevoli: l’insignificanza della politica, ridotta a funzione subalterna di quella macchina del malaffare; la vacuità dell’azione collettiva, sopraffatta da un avversario che costituisce un Male metafisico più che un sistema criminale; la delega incondizionata all’ordine giudiziario, non più amministratore della giustizia ma vindice dell’immoralità generale. Fatalmente, la sopravvalutazione della corruzione porta alla sottovalutazione di altre iniquità. In un paese dove i diritti civili sono estremamente gracili e, in più di un caso, sottoposti a revisione, se non a  revoca, e dove questioni cruciali, correlate a diritti umani fondamentali (privazione della libertà, flussi migratori) sono largamente ignorate, la coppia scandalo/reazione sembra valere solo a  proposito della corruzione. La spiegazione più semplice sta in una frase, una volta appannaggio esclusivo dei demagoghi da bar e ora messaggio condiviso da tutti gli opinion maker: “con i nostri soldi!”. Il che ha persino un fondo di verità (è vero che Franco Fiorito ha pagato le vacanze a Porto Cervo “con i denari dei contribuenti”), ma è altrettanto vero che le violazioni delle garanzie fondamentali della persona (nelle carceri, nelle caserme, nei reparti psichiatrici) e le politiche pubbliche di discriminazione (contro gli stranieri o contro le minoranze sessuali) e gli abusi degli apparati statuali sono realizzati, tutti, “a nostre spese”. In un senso molto concreto e corposo: attraverso il ricorso alle risorse dello Stato e attraverso la riduzione degli standard di legalità e di tutela del sistema di diritti individuali e collettivi. Di tutti noi. Se non si fosse così patologicamente irriducibili a ogni teoria del complotto, verrebbe proprio da dire che quella della Grande Corruzione Onnipervasiva,è solo una scusa per indurci ad aprire la porta di casa e per persuaderci ad acquistare il nuovo modello di Folletto Vorwerk.
il Foglio 30 ottobre 2012
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