POLITICA: MARIO MONTI DISSIPARE LA SPERANZA
Ubaldo Pacella
Il modesto panorama politico italiano si è arricchito di un comprimario, una parte più attenta, forse più colta della società ha smarrito un protagonista su cui aveva riposto speranze vere di novità.
La scelta di Mario Monti di presentarsi nell’agone politico italiano, in quella sorta di circo Barnum dell’ovvietà, feudo conclamato di una sciattezza di modi, di formule, di linguaggi appare a qualche osservatore il frutto di una insana mania, che affligge tutti coloro che toccano, anche per poco, il potere politico con le sue liturgie. Una decisione diremmo impulsiva, se non dettata da altre oscure ragioni che solo il tempo potrà svelare o fugare definitivamente.
Ciò che resta oggi sono frammenti di un nobile disegno di trasformazione positiva della società italiana sbriciolato alla prima temperie. La cronaca delle prossime settimane ci dirà se queste sono considerazioni impietose o il distillato di una conoscenza della società italiana, degli individui, dei politici che la rappresentano.
Il presidente Monti scegliendo di presentarsi ai cittadini elettori, nonostante la rendita del laticlavio a vita, dimostra un indubbio coraggio. Scende per libera scelta dal parnaso degli eletti, dalla cerchia ristretta dei  “sapienti” dei tecnici nobili, dei “puri” per rimboccarsi le maniche con la democrazia vera, quella che parla non solo alle elite, alle caste, ai consigli di amministrazione, alla classe dirigente, ammesso che in Italia ve ne sia ancora una, ma alla totalità dei cittadini, ai milioni di persone che a mala pena parlano l’italiano, che trascorrono le serate in casa, ai giovani del muretto o delle discoteche, ai disoccupati disperati, ai perdigiorno, oltre che alle storiche casalinghe di Voghera.
E’ un melting pot molto forse troppo lontano dal cammino adusato del Professore, necessario tuttavia per poter contare qualcosa domani. Ieri potevano valere le riconosciute competenze, la stima dei mercati, l’agenda internazionale, le telefonata con Obama, la persuasione con la Merkel, ma il 24 e 25 febbraio varranno solo i voti conquistati tra un popolo di italiani sfibrato dalla crisi, pessimista, in cerca di sicurezze, disgustato da una politica che per lui ha solo avuto il sapore acre della sconfitta da qualsiasi parte abbia votato in passato, in qualsiasi schieramento in cui possa a malincuore riconoscersi. Saranno solo i voti raccolti nelle elezioni a dirci cosa ne sarà del progetto Monti. La sua “Agenda” appare di fatto superata nei fatti, tant’è che nemmeno il suo estensore la richiama nelle apparizioni in TV. Competenza e moralità, visione internazionale e prestigio rischiano di essere una toga e un tocco lasciati stancamente sulla cattedra, dopo l’inizio formale di un anno accademico. Simulacro vuoto, perché privo del sostegno di tanti studenti e docenti, i soli capaci di dare un senso al ruolo di rettore.
Il progetto di creare nel nostro Paese, martoriato dal populismo, dalle furbizie meschine, dal malaffare come dagli interessi di parte, un raggruppamento politico cattolico-liberale, di alto lignaggio, nobile nelle aspirazioni, radicale nelle scelte, decisivo e decisionista negli interessi collettivi, ispirato, tanto per semplificare, da un lato ai Dossetti e La Pira, dall’altro ai Croce, ai Salvemini, agli Ernesto Rossi, ai Menichella, appare già in frantumi. Corroso e dimenticato nelle estenuanti riunioni, con adusati comprimari come Casini e Fini, per decidere mediocri criteri di redazione di improvvisate liste elettorali, sino a dover disertare un semplice Consiglio dei Ministri, come un Berlusconi qualunque, per discutere per ore con quei piccoli leader di se stessi, per i quali nei mesi scorsi faticava a trovare manciate di minuti, in una agenda allora sì ricca di impegni veri. Il vulnus di essere così smaccatamente venuto meno all’impegno formale proclamato nelle aule parlamentari, non nei salotti bene dei sodali, di volersi tenere lontano da ambizioni politiche, ne fa invero un italiano classico, eppure potrebbe alienargli non poche simpatie tra quella piccola borghesia colta, poco numerosa, per questo da tutti ignorata, che in Monti aveva proiettato l’immagine di un “uomo nuovo” coerente, rigoroso, sino ad essere algido, custode di valori disprezzati nell’agone della quotidianità, non solo politica: la nobiltà d’animo e di spirito, l’indipendenza, il prestigio morale, la fierezza delle idee non mitigate da ragioni di opportunità o di opportunismo.
Il professor Monti inizia a scoprire come la democrazia sia altro dai velluti della politica italiana o internazionale. Necessiti di sporcarsi le mani, in senso metaforico naturalmente, con persone assillate da problemi di ogni giorno, con la ruvida concretezza di chi non è abituato a misurarsi con le idee, con i grandi disegni, con le speranze recondite, bensì più banalmente con un lavoro per i figli, con il mutuo da pagare, con la cassa integrazione in scadenza, con il negozio pieno di mercanzie e vuoto di clienti. La sua lista ha una chiara vocazione elitaria, non si rivolgerà alle masse, tuttavia anche per sedurre laghi strati del ceto medio sono necessarie iniziative nuove ed incisive, che oggi non si vedono. Monti si è politicizzato, preferisce le battute sapide, le definizioni folgoranti agli impegni precisi e determinati in economia, politiche sociali, welfare, occupazione, fisco. Voleva ridurre l’Irpef e si è acconciato a farsi riscrivere la finanziaria da Brunetta e Baretta, un duo da Topolinia più che da mercati internazionali e oggi dai teleschermi dispensa ricette, quasi fosse Bersani, con un misto di buon senso e arrendevolezza alle derive populiste, demagogiche, consolatorie con le quali in politica bisogna fare sempre i conti.
Avremmo voluto un Monti chiaro, cattedratico, concentrato sulle soluzioni di problemi complessi. Forse avrebbe preso qualche voto in meno, ma avrebbe gettato il seme della novità, invece sembra più propenso a farsi guidare da due dioscuri come Fini e Casini che negli ultimi venti anni di politica non hanno mai raccolto un consenso a due cifre, briciole di rappresentanza come quelle di Bertinotti, il rivoluzionario in tweed del salotto di Bruno Vespa.
Vedremo cosa uscirà dalle urne del progetto Monti. Ora dietro alla sua nobile figura eretta ad usbergo dell’ennesimo trasformismo italico si appiattiscono i riciclati della seconda repubblica, magari dirottati nelle liste della Camera per nascondere gli imbarazzi tra la folla dei candidati. I pochi nomi significativi accorsi tra le fila dei montiani ricordano da vicino gli intellettuali candidati, come indipendenti, dal PCI negli anni ’70, per allontanare dall’immagine del partito il ghigno triste di Breznev.
E’ una sfida vera quella che si profila per Mario Monti, dovesse finire come vaticinano i sondaggisti del cavalier Berlusconi sotto il 10%, dietro i Cinque stelle dell’ex comico Grillo, resterebbe ben poco del progetto civile che gli era stato affidato. Le stesse gerarchie cattoliche hanno, in un battito d’ali, mutato il proprio sentire. Quale lezione di politica sociale della Chiesa rappresenta Monti? Che spazio hanno i bisogni del popolo minuti dei fedeli nella sua agenda? Contano come uomini o solo per il proprio conto bancario o postale? Troppi interrogativi per una scelta netta.
Vogliamo azzardare una previsione, sereni che sapremo cospargerci il capo di cenere e non smentire queste  affermazioni qualora fossero negate dai fatti, come in cuor nostro ci auguriamo.  Il montismo rischia di essere l’estremo effimero tentativo di mutare volto alla politica italiana senza cambiare l’anima, il costume, le abitudini, i vezzi della nostra società. Prima di cambiare volto alla politica dobbiamo trasformarci come uomini. I partiti non solo peggiori della società civile, anzi la rappresentano. Se vi sono troppi comprimari è perché essi impazzano tra noi. Non ci sarà un Monti ad emendarci, se non lo facciamo noi in prima persona assumendoci l’onere e la responsabilità delle scelte quelle vere e dolorose: le uniche che fanno crescere.
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L'anima e il volto di Monti
Ubaldo Pacella
Il modesto panorama politico italiano si è arricchito di un comprimario, una parte più attenta, forse più colta della società ha smarrito un protagonista su cui aveva riposto speranze vere di novità.
La scelta di Mario Monti di presentarsi nell’agone politico italiano, in quella sorta di circo Barnum dell’ovvietà, feudo conclamato di una sciattezza di modi, di formule, di linguaggi appare a qualche osservatore il frutto di una insana mania, che affligge tutti coloro che toccano, anche per poco, il potere politico con le sue liturgie. Una decisione diremmo impulsiva, se non dettata da altre oscure ragioni che solo il tempo potrà svelare o fugare definitivamente.
Ciò che resta oggi sono frammenti di un nobile disegno di trasformazione positiva della società italiana sbriciolato alla prima temperie. La cronaca delle prossime settimane ci dirà se queste sono considerazioni impietose o il distillato di una conoscenza della società italiana, degli individui, dei politici che la rappresentano.
Il presidente Monti scegliendo di presentarsi ai cittadini elettori, nonostante la rendita del laticlavio a vita, dimostra un indubbio coraggio. Scende per libera scelta dal parnaso degli eletti, dalla cerchia ristretta dei  “sapienti” dei tecnici nobili, dei “puri” per rimboccarsi le maniche con la democrazia vera, quella che parla non solo alle elite, alle caste, ai consigli di amministrazione, alla classe dirigente, ammesso che in Italia ve ne sia ancora una, ma alla totalità dei cittadini, ai milioni di persone che a mala pena parlano l’italiano, che trascorrono le serate in casa, ai giovani del muretto o delle discoteche, ai disoccupati disperati, ai perdigiorno, oltre che alle storiche casalinghe di Voghera.
E’ un melting pot molto forse troppo lontano dal cammino adusato del Professore, necessario tuttavia per poter contare qualcosa domani. Ieri potevano valere le riconosciute competenze, la stima dei mercati, l’agenda internazionale, le telefonata con Obama, la persuasione con la Merkel, ma il 24 e 25 febbraio varranno solo i voti conquistati tra un popolo di italiani sfibrato dalla crisi, pessimista, in cerca di sicurezze, disgustato da una politica che per lui ha solo avuto il sapore acre della sconfitta da qualsiasi parte abbia votato in passato, in qualsiasi schieramento in cui possa a malincuore riconoscersi. Saranno solo i voti raccolti nelle elezioni a dirci cosa ne sarà del progetto Monti. La sua “Agenda” appare di fatto superata nei fatti, tant’è che nemmeno il suo estensore la richiama nelle apparizioni in TV. Competenza e moralità, visione internazionale e prestigio rischiano di essere una toga e un tocco lasciati stancamente sulla cattedra, dopo l’inizio formale di un anno accademico. Simulacro vuoto, perché privo del sostegno di tanti studenti e docenti, i soli capaci di dare un senso al ruolo di rettore.
Il progetto di creare nel nostro Paese, martoriato dal populismo, dalle furbizie meschine, dal malaffare come dagli interessi di parte, un raggruppamento politico cattolico-liberale, di alto lignaggio, nobile nelle aspirazioni, radicale nelle scelte, decisivo e decisionista negli interessi collettivi, ispirato, tanto per semplificare, da un lato ai Dossetti e La Pira, dall’altro ai Croce, ai Salvemini, agli Ernesto Rossi, ai Menichella, appare già in frantumi. Corroso e dimenticato nelle estenuanti riunioni, con adusati comprimari come Casini e Fini, per decidere mediocri criteri di redazione di improvvisate liste elettorali, sino a dover disertare un semplice Consiglio dei Ministri, come un Berlusconi qualunque, per discutere per ore con quei piccoli leader di se stessi, per i quali nei mesi scorsi faticava a trovare manciate di minuti, in una agenda allora sì ricca di impegni veri. Il vulnus di essere così smaccatamente venuto meno all’impegno formale proclamato nelle aule parlamentari, non nei salotti bene dei sodali, di volersi tenere lontano da ambizioni politiche, ne fa invero un italiano classico, eppure potrebbe alienargli non poche simpatie tra quella piccola borghesia colta, poco numerosa, per questo da tutti ignorata, che in Monti aveva proiettato l’immagine di un “uomo nuovo” coerente, rigoroso, sino ad essere algido, custode di valori disprezzati nell’agone della quotidianità, non solo politica: la nobiltà d’animo e di spirito, l’indipendenza, il prestigio morale, la fierezza delle idee non mitigate da ragioni di opportunità o di opportunismo.
Il professor Monti inizia a scoprire come la democrazia sia altro dai velluti della politica italiana o internazionale. Necessiti di sporcarsi le mani, in senso metaforico naturalmente, con persone assillate da problemi di ogni giorno, con la ruvida concretezza di chi non è abituato a misurarsi con le idee, con i grandi disegni, con le speranze recondite, bensì più banalmente con un lavoro per i figli, con il mutuo da pagare, con la cassa integrazione in scadenza, con il negozio pieno di mercanzie e vuoto di clienti. La sua lista ha una chiara vocazione elitaria, non si rivolgerà alle masse, tuttavia anche per sedurre laghi strati del ceto medio sono necessarie iniziative nuove ed incisive, che oggi non si vedono. Monti si è politicizzato, preferisce le battute sapide, le definizioni folgoranti agli impegni precisi e determinati in economia, politiche sociali, welfare, occupazione, fisco. Voleva ridurre l’Irpef e si è acconciato a farsi riscrivere la finanziaria da Brunetta e Baretta, un duo da Topolinia più che da mercati internazionali e oggi dai teleschermi dispensa ricette, quasi fosse Bersani, con un misto di buon senso e arrendevolezza alle derive populiste, demagogiche, consolatorie con le quali in politica bisogna fare sempre i conti.
Avremmo voluto un Monti chiaro, cattedratico, concentrato sulle soluzioni di problemi complessi. Forse avrebbe preso qualche voto in meno, ma avrebbe gettato il seme della novità, invece sembra più propenso a farsi guidare da due dioscuri come Fini e Casini che negli ultimi venti anni di politica non hanno mai raccolto un consenso a due cifre, briciole di rappresentanza come quelle di Bertinotti, il rivoluzionario in tweed del salotto di Bruno Vespa.
Vedremo cosa uscirà dalle urne del progetto Monti. Ora dietro alla sua nobile figura eretta ad usbergo dell’ennesimo trasformismo italico si appiattiscono i riciclati della seconda repubblica, magari dirottati nelle liste della Camera per nascondere gli imbarazzi tra la folla dei candidati. I pochi nomi significativi accorsi tra le fila dei montiani ricordano da vicino gli intellettuali candidati, come indipendenti, dal PCI negli anni ’70, per allontanare dall’immagine del partito il ghigno triste di Breznev.
E’ una sfida vera quella che si profila per Mario Monti, dovesse finire come vaticinano i sondaggisti del cavalier Berlusconi sotto il 10%, dietro i Cinque stelle dell’ex comico Grillo, resterebbe ben poco del progetto civile che gli era stato affidato. Le stesse gerarchie cattoliche hanno, in un battito d’ali, mutato il proprio sentire. Quale lezione di politica sociale della Chiesa rappresenta Monti? Che spazio hanno i bisogni del popolo minuti dei fedeli nella sua agenda? Contano come uomini o solo per il proprio conto bancario o postale? Troppi interrogativi per una scelta netta.
Vogliamo azzardare una previsione, sereni che sapremo cospargerci il capo di cenere e non smentire queste  affermazioni qualora fossero negate dai fatti, come in cuor nostro ci auguriamo.  Il montismo rischia di essere l’estremo effimero tentativo di mutare volto alla politica italiana senza cambiare l’anima, il costume, le abitudini, i vezzi della nostra società. Prima di cambiare volto alla politica dobbiamo trasformarci come uomini. I partiti non solo peggiori della società civile, anzi la rappresentano. Se vi sono troppi comprimari è perché essi impazzano tra noi. Non ci sarà un Monti ad emendarci, se non lo facciamo noi in prima persona assumendoci l’onere e la responsabilità delle scelte quelle vere e dolorose: le uniche che fanno crescere.
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