Fobie e molestie
Le idee di Gasparri e di certa destra sugli omosessuali sono inquietanti E il dibattito con Morresi? Uffa
Politicamente Correttissimo
Luigi Manconi
1 - Il senatore Maurizio Gasparri nell'esprimere un giudizio assai aspro sulla festa di Futuro e libertà a Mirabello, ha disapprovato, in particolare, la presenza di "bandiere delle associazioni gay".
La cosa è davvero singolare perché oltre a rivelare irrisolti problemi dello stesso Gasparri sui quali non è bello insistere, conferma la particolare arretratezza di settori del Popolo della libertà. L'Italia è rimasta probabilmente l'unico paese democratico dove l'omofobia è tuttora connotato qualificante di una certa destra. Una spiegazione è quella fornita da Alessandro Campi: Silvio Berlusconi ha riportato la destra di origine missina a "una condizione primitiva (...) aizzandone gli istinti più deteriori: il revanchismo, la mitologia (...) dell'uomo forte, l'isteria complottista, il maschilismo più becero, il risentimento sociale, lo spirito d'intolleranza, la chiusura mentale" (il Riformista 8.9.2010). Ma questa interpretazione, certamente acuta, non spiega tutto. Resta la domanda: perché mai la destra, anche la più conservatrice, dovrebbe considerare una minaccia "le bandiere delle associazioni gay"? E, infatti, non sono in discussione i "matrimoni omosessuali" né i Pacs, bensì esclusivamente l'affermazione dei diritti di cittadinanza per tutte le minoranze, Con quale accezione di destra (se non con quella di diretta derivazione nazista) entrerebbe in conflitto una simile domanda di garanzie? A parte un dettaglio grottescamente contraddittorio (quelle stesse "bandiere delle associazioni gay" sventolavano garrule nel corso del congresso di fondazione del Pdl), la risposta è, ahi noi, semplice: indicare alla riprovazione pubblica quei simboli di un associazionismo omosessuale che si dichiara ostinatamente di destra soddisfa una esigenza, appunto, "primitiva". Ovvero sollecitare pulsioni profonde e blandire fobie oscure. Ma questo raccattare i detriti della schiuma più limacciosa della frustrazione sociale e culturale può sortire una adeguata remunerazione politico-elettorale per un partito che voglia rappresentare la maggioranza? C'è da dubitarne. Ma soprattutto c'è da chiedersi se oggi l'omofobia non costituisca un handicap politico. In altre parole, può un partito che non sia di mera agitazione fascistoide e che non si chiami, che so, "A morte li froci", coltivare il disprezzo per le minoranze sessuali senza pagare pegno? Certo, sui tempi brevi tutto fa brodo e anche la minchiata più scellerata può rivelarsi elettoralmente redditizia. Ma - va ricordato - l'omofobia è davvero un segnale rivelatore. E con riferimento non solo alle questioni dei diritti delle minoranze o della tutela dell'autonomia individuale, bensì anche al grande tema del rapporto tra natura e cultura. E delle relazioni tra mutamento sociale e norma giuridica, tra identità collettiva e "pensiero" delle istituzioni, tra mentalità condivisa e modelli di senso. E, infine, tra immagini di genere e cambiamenti antropologici. Astrattezze? Ma nemmeno per sogno: tant'è vero che, all'interno del Movimento sociale italiano, la "questione omosessuale", per decenni ostracizzata, ha potuto attraversare sotterraneamente -tra rimozione e curiosità, tra morbosità e mitologia - l'intera vita del partito.
2 - Uffa. Assuntina Mortesi, con stile monotonamente molesto, mi accusa niente meno che di "temere" un "confronto diretto" con lei (sì, deve essere proprio quello). La cosa ha un qualche interesse perché rivela una concezione mondana e futile (sub-mediatica) della discussione pubblica. Fino a due settimane fa non conoscevo il nome di Assuntina Morresi e tuttora - per mia esclusiva colpa - non so alcunché delle sue competenze e dei suoi scritti. Conosco giusto l'articolo (Avvenire del 1.9.2010) nel quale la Morresi, senza chiarire di essere una stretta collaboratrice del sottosegretario Eugenia Roccella, rispondeva in malo modo alle critiche da me rivolte alle ilari, e irresponsabili, dichiarazioni della stessa Roccella, in materia di ricerca scientifica. Perché mai ora dovrei accettare un confronto pubblico, soprattutto se richiesto con tanta mala grazia? Perché mai dovremmo "dibattere"? Dove sta l'interesse ad una discussione così male impostata? Dove è quello spazio minimo di presupposti condivisi, anche solo sul piano metodologico, che possa costituire la base indispensabile per una corretta controversia tra opzioni alternative e, magari, tra avversari irriducibili? Mi sfugge. Poi, nelle prossime settimane -come già ho detto alla mia interlocutrice - sono piuttosto indaffarato: devo rileggere la traduzione a cura di Massimo Cacciari dell'Antigone sofoclea, valutare le ultime operazioni di mercato della Juventus e della Fiorentina (e non è mica facile), terminare il corso estivo dì Ikebana, andare a Padova, Alghero, Milano e Benetutti, preparare le lezioni per l'università, presentare un libro di Guido Melis, parlare con Pippo Civati, Alessandro Giuli e Concita De Gregorio: ricordarmi di pettinare le bambole. (Per questo motivo sin da ora devo rinunciare, con rammarico, a replicare a eventuali future repliche della Morresi). Ne riparliamo più avanti?
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