Astratti giustizialisti
Argomenti che fanno cascare le braccia, invece di riflettere sulla pen, la sua esecuzione, i reati
Luigi Manconi
Nel corso dell’ennesima controversia con esponenti dell’Armata Giustizialista, mi è parsa chiara una cosa: quanto tali dispute siano perfettamente inutili. Si sta provando sulle colonne del Foglio, e di qualche altro giornale, a costruire un ragionamento sul reato e sulla sua riparazione, che abbia un minimo di respiro e uno sguardo appena un po’ lungo. Ma alcune repliche fanno cascare le braccia.
Ad esempio, il Fatto Quotidiano risponde ad alcune considerazioni sviluppate in questa rubrica a proposito del regime domiciliare di privazione della libertà, invitandomi a “proporre di chiudere le carceri e mandare tutti i condannati ai domiciliari”. E poi: “chiedere agli elettori che ne pensano. Compresa la giovane di Cagliari che l’altra notte è stata stuprata da un tizio con due precedenti per violenza carnale che scontava la pena ai domiciliari” (2.2.2012). Che dire? Personalmente provo un sentimento di desolazione davanti a un dispositivo logico che, contrariamente a quanto pensa qualche amico, non è “fascistico”. E, tuttavia, è tendenzialmente totalitario. Nessun interesse (anzi, disprezzo) per il senso profondo delle cose, che non significa astrazione, bensì l’esatto contrario: concreta, concretissima analisi degli atti (degli individui e delle istituzioni) e delle loro altrettanto concrete conseguenze. Da qui l’esigenza di riflettere sulla pena e sulla sua esecuzione, sui reati e sulla loro origine e sui loro effetti, con particolare riguardo per le vittime. E invece nulla di tutto questo, ma una retorica del crimine e della repressione del crimine, che si fa romanzo horror. E, infatti, la conclusione di quell’articolo non è altro che cattiva letteratura di regime: ovvero propaganda autoritaria e manipolatrice, che ricorre alle figure tradizionali dell’angoscia collettiva al fine di alimentare allarmi sociali e di censurare ciò che è più difficile e sgradevole da afferrare e decifrare. Più comodo, certamente, e capace di attrarre grandi consensi è abbandonarsi all’urlo: In galera (che oggi ha perso ogni traccia dell’originario sarcasmo bracardiano per ridursi a strozzata pulsione reazionaria). Tutto ciò rimanda, in ultima istanza, a una impostazione angusta e torva, che ignora prevenzione e recupero, senso di responsabilità e misura del limite, e che si rivela assolutamente amorale e, appunto, tendenzialmente totalitaria. Se non fosse chiaro quanto fin qui detto, si legga il libro, di Eugenio Occorsio, Non dimenticare, non odiare, Dalai Editore 2011. Ci sono, in quel testo, cose che non condivido, ma emerge un’idea di fondo così nitida da costituire un autentico discorso morale. Tanto più significativo perché ispirato da un intento pedagogico: è la lettera di un padre al figlio a proposito dell’omicidio del proprio genitore per mano di Pierluigi Concutelli. Nessuna retorica e nessuna indulgenza, ma la concezione forte di una giustizia che sa farsi carico della vittima e dell’autore del reato, a partire dalla consapevolezza dell’enorme e irreparabile disparità tra i due soggetti.
Al contrario, l’impostazione giustizialista, che si vorrebbe pragmatica e tutta giocata sulla concretezza, si dimostra invece inefficace, in quanto incapace di andare oltre un meccanismo reattivo, illusorio e infine utopistico (tu delinqui/io ti metto nelle condizioni di non nuocere). Un approccio che si propone come fattuale, ma che non sembra in grado di leggere i soli dati di fatto che davvero contano. Ad esempio questi: nel 2011, su 20314 detenuti in regime domiciliare, a commettere un nuovo reato è stato lo 0,81%. Tutto il resto è malinconicamente Gasparri (e Beppe Grillo e Antonio Di Pietro).
Ps. Nel corso della rassegna stampa, condotta da Gian Antonio Stella su Rai Radio3, è stato letto un articolo di Marco Travaglio, nel quale il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, veniva definito Zio Tibia. Oddio, il soprannome è divertente, ma mi permetto di invitare alla prudenza. È una tentazione, quella di caricaturizzare i contorni fisici degli avversari, alla quale è difficile sottrarsi. E capisco che abbia un grande successo, come dire, popolare. Ma, oltre al rispetto che si deve a qualunque essere umano, ancorché nemico, si tratta di una pratica pericolosa, in quanto si presta agevolmente alla ritorsione. Travaglio, per dirne una, è uguale spiccicato a Rockerduck, antagonista di zio Paperone (e tremo all’idea di quanti accostamenti denigratori alla mia nobile faccia possano essere fatti).  Ma c’è, infine, un ultimo pericolo che va segnalato rispetto a questa pratica derisoria. Ed è il fatto che, su quel terreno, i più abili siano sempre altri, che possono raggiungere vette di ferocia che noi ce le sogniamo. L’attuale direttore editoriale del Giornale, Vittorio Feltri, appena qualche mese fa, un attimo prima di passare da Libero allo stesso Giornale, coniò per Sallusti e per l’amica Daniela Santachè, la più efferata delle definizioni: Olindo e Rosa (ricordate? La “coppia diabolica” di Erba). Al confronto, zio Tibia è davvero innocuo, e sembra fatto apposta per blandire l’ego non proprio modesto dello stesso Sallusti (Zio Tibia, dopo tutto, è un protagonista della grande letteratura popolare americana).
7 febbraio 2012
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Commenti (6)
  • pietro mattiazzi  - problema soffraffolamento carceri



    Gentile Dott. Luigi Moriconi



    Sono MATTIAZZI Pietro, carabiniere in congedo per invalidità,inabilità nonché portatore di handicap grave.
    Stamani ho visto su SKY TG il suo intervento sull'ennesimo intervento del Parlamento onde risolvere l'annoso problema del problema del sovraffollamento delle carceri-
    Ho riflettuto sulla questione e, alla luce di questa ventata di privatizzazioni, mi è venuta la seguente proposta che sottopongo alla sua competenza ed esperienza-
    Privatizzare le case circondariale in un sistema misto di pubblico e privato e fare delle carceri luoghi di produttività nonché di reale reinserimento dei detenuti-
    Per sommi capi le linee guida sono:-
    1) affidare a privati la costruzione di nuove carceri che siano anche luoghi di produzione manifatturiero al loro interno con criteri standardizzati a livello Ministeriale;
    2) la vigilanza e sicurezza all'interno è affidata a personale misto (Polizia Penitenziaria e ...
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