Arrestato a Parma, muore in cella

di FRANCESCO ALBERTI

Era stato fermato con l’accusa di furto dai parchimetri, è morto in car­cere meno di 24 ore dopo l’arresto. La Procura di Parma ha aperto un’in­chiesta per omicidio colposo per fa­re luce sul caso di Giuseppe Saladi­no, 32 anni, rinchiuso in carcere ve­nerdì scorso ma deceduto nella not­te in seguito a un malore. «Voglio sa­pere tutto — ha detto la madre in un’intervista a Tv Parma — in carce­re è entrato un figlio sano e avrei vo­luto ricevere un figlio sano».
uindici ore in carcere e una folla di perché. Un giovane di 32 anni morto senza che ci sia un apparente motivo. Una madre che accu­sa: «Era sano, me l’hanno ri­dato senza vita». Un’inchie­sta per omicidio colposo con­tro ignoti, per ora. Un carce­re, quello di via Burla a Par­ma, che si ritrova all’improv­viso sotto i riflettori. Troppo presto, ancora, per fare analo­gie con il terribile caso di Ste­fano Cucchi: comunque una bruttissima vicenda, aperta a qualsiasi sviluppo, tutta da decifrare.

Giuseppe Saladino aveva 32 anni, non era uno stinco di santo, ma nemmeno un delinquente incallito. Qual­che mese fa, era stato con­dannato ad un anno e due mesi di reclusione dopo esse­re stato pizzicato mentre fa­ceva incetta di monetine in alcuni parchimetri del cen­tro storico. Una condanna esemplare, come si dice in questi casi, con l’unica conso­lazione di poterla scontare a casa, agli arresti domiciliari, sotto gli occhi della madre, Rosa Martorano. Tutto è fila­to liscio fino a venerdì scor­so quando, a metà pomerig­gio, Giuseppe, non renden­dosi forse conto della gravità del gesto, è uscito di casa: di fatto, per il codice penale, si è trattato di una evasione.

La sua passeggiata però è stata di breve durata. Sorpre­so da una pattuglia della poli­zia e riconosciuto, è stato im­mediatamente portato nel carcere di via Burla. Addio domiciliari, per lui. Erano le 17 di venerdì quando le por­te del penitenziario si sono chiuse alle sue spalle. Quindi­ci ore dopo, alle 8 di sabato, in casa della madre Rosa è squillato il telefono. All’altro capo del filo c’era il direttore del carcere: voce bassa, tono di circostanza. Racconta la donna ai microfoni di Tv Par­ma: «Il direttore mi ha detto che Giuseppe era morto, che era stata una cosa improvvi­sa, inspiegabile, mi pare ab­bia parlato di un malore. Poi ha aggiunto che aveva volu­to telefonarmi di persona perché aveva preso in simpa­tia il mio ragazzo e perché sa­peva che siamo brave perso­ne... ». Parole, ovviamente, che non possono bastare ad una madre.

La donna, infatti, si è im­mediatamente rivolta ad un avvocato, deciso a fare luce: «Voglio sapere, voglio che tutto venga chiarito, non può succedere una cosa del genere». Il lavoro del legale Letizia Tonoletti, alla quale si è rivolta Rosa Martorano, parte da un assunto («Il ra­gazzo, quando è entrato in carcere, era sano») e da un in­terrogativo («Cosa è succes­so in quel breve lasso di tem­po? »). Due periti, uno nomi­nato dalla famiglia, l’altro dal sostituto procuratore Ro­berta Licci, avranno il compi­to di risalire alle cause del de­cesso, prima tappa di un per­corso investigativo che pun­ta a ricostruire nei dettagli quelle maledette 15 ore tra­scorse dal giovane nel carce­re di via Burla. L’autopsia è già stata eseguita, i risultati si conosceranno nei prossi­mi giorni.
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