Politicamente correttissimo
La voluttà di servaggio alla corte di un barzellettiere ce non fa ridere
Luigi Manconi
Il canone linguistico al quale rimanda la barzelletta come genere letterario e formula narrativa, sembra oggi quello maggiormente adeguato a raccontare le gesta (ascesa e declino) di Silvio Berlusconi. Dopo una fase lunga ormai oltre tre lustri, l’epos berlusconiano non trova quelle modalità espressive alle quali ambirebbe, ma si riduce a macchietta e, nel migliore dei casi, a bozzettismo. A scanso di equivoci, va detto che qui si coltiva il genere della barzelletta con intensa passione adolescenziale, fino a rivendicare – nei momenti di euforia- una certa autorevolezza critica in materia e, in ogni caso, una robusta competenza. Qui si è letto e riletto  il freudiano “Motto di spirito” e si conosce  tutto  dei contenuti inconsci delle immagini espresse verbalmente, ma soprattutto si ama la risata forte e, all’ occasione, sgangherata. Ma qui si sa anche che la barzelletta, quando non è la fuga surrealista dalla malinconia patologica (“guarda quell’uomo, secondo te è felice?”: “no, Felice è un po’ più alto”), è vertigine dell’ ordinario e serialità dell’ ovvio. E non è forse questo, oggi, l’ universo linguistico nel quale parla e del quale parla Berlusconi, e dove si consuma la sua parabola mitico-letteraria? Il fatto che mai come a proposito dell’ attuale premier si è così tanto parlato di barzellette nel discorso pubblico - con una risata sullo sfondo che si fa rictus-non è forse una conferma di tutto ciò? Fa impressione che tutti, ma proprio tutti, gli esponenti della maggioranza trattino, garruli, l’ argomento con posizioni che vanno da quella più ottusamente puerile (“che uomo brillante e che storielle spiritose …”) a quella più mediocremente complice (“mia suocera è arrossita per le sue battute” : questa è Mariastella Gelmini, ovviamente). L’ unica che finora si è sottratta a tanto conformismo è Stefania Craxi, in una intervista ad “A”. Subito, gli zelanti apologeti si sono affrettati a ridimensionare la portata di quelle dichiarazioni, spiegandoci che la Craxi parlava in quanto “amica di famiglia”, che non intendeva in alcun modo “cambiare schieramento politico”e che riconosceva “i grandi meriti di Berlusconi”. Certamente: ma proprio questo rende ancora più significativa la sua intervista, che intanto attribuisce –ancora- a quella “sindrome di Pierino” un ruolo assai importante: Berlusconi “deve smetterla di raccontare barzellette oscene: non gli fanno onore e non fanno ridere”. È probabile che, delle parole impietose e addolorate della Craxi, ciò che Berlusconi mai potrà perdonare è proprio quel “non fanno ridere”. È, come si è cercato di dire, un intero sistema culturale che viene messo in discussione e intaccato dalle fondamenta. Quelle barzellette non fanno ridire nessuno! Ma come è potuto accadere, invece, che tutti abbiano riso (e molti a crepapelle)? Qui il discorso della Craxi -e proprio perché fatto dall’interno della comunità berlusconiana, dove peraltro  si intende rimanere- evidenzia un’ altra questione. Una questione tanto rilevante  quanto totalmente taciuta. È il tema della Cortigianeria nei sistemi politici liberali. Tanto più pertinente, quel tema, perché il ridere delle battute del Capo (“com’è spiritoso”) rappresenta una delle  forme più gratificanti di omaggio alla sua autorità. Si tratta di un discorso serissimo. La Cortigianeria non è semplicemente una debolezza umana, un tratto di fragilità caratteriale e di opportunismo morale: è, piuttosto, una forma di scambio sociale e di legame politico subalterno. E  come si spiega il ricorso alla cortigianeria nei regimi democratici  e nelle relazioni tra leader e gruppi dirigenti? Anche sotto questo profilo, il berlusconismo rappresenta una novità. Nell’ Italia repubblicana, quando pure si sviluppavano forme di culto del capo, queste riguardavano le relazioni tra il leader e le masse (qualcosa del genere è accaduto con Palmiro Togliatti): ma all’ interno dell’ organizzazione  di partito, anche quando la leadership era particolarmente forte, si manifestava la critica, si organizzava il dissenso, emergeva l’ ostilità. E, ancor più, si coltivava il sarcasmo, lo sberleffo, talvolta il dileggio. Nulla di tutto ciò avviene nei confronti di Berlusconi, nemmeno (tantomeno) nel momento di sua massima crisi: il gruppo dirigente stretto intorno a lui pratica l’ adulazione, intona servi encomi, tributa omaggi imbarazzanti. Una sorta di voluttà del servaggio che accomuna ex forzisti ed ex radicali, ex socialisti ed ex missini. Fosse il segno di una tenace fedeltà alle idee, tanto di cappello. Ma ricordate la barzelletta del ginecologo, dell’ opossum e del cappello …?
il Foglio 27 aprile 2011
Politicamente correttissimo
La voluttà di servaggio alla corte di un barzellettiere che non fa ridere
Luigi Manconi
Il canone linguistico al quale rimanda la barzelletta come genere letterario e formula narrativa, sembra oggi quello maggiormente adeguato a raccontare le gesta (ascesa e declino) di Silvio Berlusconi.
Dopo una fase lunga ormai oltre tre lustri, l’epos berlusconiano non trova quelle modalità espressive alle quali ambirebbe, ma si riduce a macchietta e, nel migliore dei casi, a bozzettismo. A scanso di equivoci, va detto che qui si coltiva il genere della barzelletta con intensa passione adolescenziale, fino a rivendicare – nei momenti di euforia- una certa autorevolezza critica in materia e, in ogni caso, una robusta competenza. Qui si è letto e riletto  il freudiano “Motto di spirito” e si conosce  tutto  dei contenuti inconsci delle immagini espresse verbalmente, ma soprattutto si ama la risata forte e, all’ occasione, sgangherata. Ma qui si sa anche che la barzelletta, quando non è la fuga surrealista dalla malinconia patologica (“guarda quell’uomo, secondo te è felice?”: “no, Felice è un po’ più alto”), è vertigine dell’ ordinario e serialità dell’ ovvio. E non è forse questo, oggi, l’ universo linguistico nel quale parla e del quale parla Berlusconi, e dove si consuma la sua parabola mitico-letteraria? Il fatto che mai come a proposito dell’ attuale premier si è così tanto parlato di barzellette nel discorso pubblico - con una risata sullo sfondo che si fa rictus-non è forse una conferma di tutto ciò? Fa impressione che tutti, ma proprio tutti, gli esponenti della maggioranza trattino, garruli, l’ argomento con posizioni che vanno da quella più ottusamente puerile (“che uomo brillante e che storielle spiritose …”) a quella più mediocremente complice (“mia suocera è arrossita per le sue battute” : questa è Mariastella Gelmini, ovviamente). L’ unica che finora si è sottratta a tanto conformismo è Stefania Craxi, in una intervista ad “A”. Subito, gli zelanti apologeti si sono affrettati a ridimensionare la portata di quelle dichiarazioni, spiegandoci che la Craxi parlava in quanto “amica di famiglia”, che non intendeva in alcun modo “cambiare schieramento politico”e che riconosceva “i grandi meriti di Berlusconi”. Certamente: ma proprio questo rende ancora più significativa la sua intervista, che intanto attribuisce –ancora- a quella “sindrome di Pierino” un ruolo assai importante: Berlusconi “deve smetterla di raccontare barzellette oscene: non gli fanno onore e non fanno ridere”. È probabile che, delle parole impietose e addolorate della Craxi, ciò che Berlusconi mai potrà perdonare è proprio quel “non fanno ridere”. È, come si è cercato di dire, un intero sistema culturale che viene messo in discussione e intaccato dalle fondamenta. Quelle barzellette non fanno ridire nessuno! Ma come è potuto accadere, invece, che tutti abbiano riso (e molti a crepapelle)? Qui il discorso della Craxi -e proprio perché fatto dall’interno della comunità berlusconiana, dove peraltro  si intende rimanere- evidenzia un’ altra questione. Una questione tanto rilevante  quanto totalmente taciuta. È il tema della Cortigianeria nei sistemi politici liberali. Tanto più pertinente, quel tema, perché il ridere delle battute del Capo (“com’è spiritoso”) rappresenta una delle  forme più gratificanti di omaggio alla sua autorità. Si tratta di un discorso serissimo. La Cortigianeria non è semplicemente una debolezza umana, un tratto di fragilità caratteriale e di opportunismo morale: è, piuttosto, una forma di scambio sociale e di legame politico subalterno. E  come si spiega il ricorso alla cortigianeria nei regimi democratici  e nelle relazioni tra leader e gruppi dirigenti? Anche sotto questo profilo, il berlusconismo rappresenta una novità. Nell’ Italia repubblicana, quando pure si sviluppavano forme di culto del capo, queste riguardavano le relazioni tra il leader e le masse (qualcosa del genere è accaduto con Palmiro Togliatti): ma all’ interno dell’ organizzazione  di partito, anche quando la leadership era particolarmente forte, si manifestava la critica, si organizzava il dissenso, emergeva l’ ostilità. E, ancor più, si coltivava il sarcasmo, lo sberleffo, talvolta il dileggio. Nulla di tutto ciò avviene nei confronti di Berlusconi, nemmeno (tantomeno) nel momento di sua massima crisi: il gruppo dirigente stretto intorno a lui pratica l’ adulazione, intona servi encomi, tributa omaggi imbarazzanti. Una sorta di voluttà del servaggio che accomuna ex forzisti ed ex radicali, ex socialisti ed ex missini. Fosse il segno di una tenace fedeltà alle idee, tanto di cappello. Ma ricordate la barzelletta del ginecologo, dell’ opossum e del cappello …?
il Foglio 27 aprile 2011
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