Cannabis libera. Le ragioni del si
Sandro Gozi  Luigi Manconi
Uruguay “paese dell'anno”, secondo l'Economist. Chi l'avrebbe mai detto? Eppure, é  proprio grazie a quel Paese dell'America latina che gli ultimi giorni del 2013 e i primi del 2014 hanno portato all’attenzione generale la tematica della depenalizzazione dei derivati della cannabis. Una questione rimasta irresponsabilmente sotto traccia per troppo tempo. Il primo segnale positivo è arrivato proprio dall’Uruguay del presidente Pepe Mujica: dal 10 dicembre la vendita e il consumo di marijuana sono stati depenalizzati e sottoposti a un regime di legalizzazione. A un mese di distanza, dal gennaio di quest'anno, lo Stato americano del Colorado ha legalizzato il mercato della cannabis, al pari dello Stato di Washington, e molti prevedono che altri seguiranno (Oregon, Arizona e Michigan...). Ed è notizia di questi giorni che lo stato di New York, sull’onda dell’elezione a sindaco del liberale Bill de Blasio, intenda sperimentare l'uso terapeutico della marijuana (tutt'altra questione ma strettamente correlata, com'è evidente).

E in Italia? Come troppo spesso accade, siamo inesorabilmente ultimi: o, nell'ipotesi più ottimistica, penultimi. La verità è che il nostro paese è prigioniero di una visione antiquata e antiscientifica che tende a uniformare ogni tipo di droga. Non è così. È un preciso dovere di ogni Stato combattere il traffico criminale di droghe pesanti - e trovare soluzioni pragmatiche e razionali per ridurne le conseguenze sulla vita e sulla salute di chi ne fa uso -  ma qui stiamo parlando d'altro. Ovvero del consumo personale dei derivati della cannabis. Coltivare una o più piantine in casa, esclusivamente per il consumo privato, non ha alcun impatto negativo sulla salute di chi lo fa e non crea danni a terzi.
Il fatto è che la “guerra alla droga”, come fu lanciata da Richard Nixon più di 40 anni fa, è miseramente fallita. E a dirlo non è qualche sballato tardo frick, bensì una fonte assolutamente qualificata, la Commissione globale per le politiche sulle droghe. Questo organismo internazionale, guidato dall’ex segretario dell’Onu Kofi Annan, dopo anni di ricerche ha stabilito che non è con la repressione e la criminalizzazione che si combatte il traffico di stupefacenti. Dal 1998 al 2008, il consumo globale degli oppiacei è aumentato del 34.5%, e quello della cocaina del 27%. E risulta dimostrato, peraltro, che non c'è stato alcun effetto di riduzione del consumo di cannabis nei paesi che hanno introdotto misure particolarmente repressive. In altre parole, le strategie più aggressivamente proibizioniste non pagano. Ed è proprio la Commissione guidata da Kofi Annan a “incoraggiare i governi a sperimentare modelli di regolamentazione legale di droghe (per la cannabis, ad esempio) che siano finalizzati a minare il potere della criminalità organizzata e a salvaguardare la salute e la sicurezza dei cittadini”. Legalizzare il consumo delle droghe leggere è inoltre lo strumento giusto per colpire le filiere di spaccio, e ha l’indubbio vantaggio di “concentrare le azioni repressive sulle organizzazioni criminali violente”, come si legge nel rapporto 2011 di quella stessa Commissione.
E' sulla scorta di queste convinzioni - avvalorate dalla ricerca scientifica, dall'indagine sociale e dalla elaborazione giuridica - che abbiamo presentato alla Camera e al Senato due proposte di legge per la modifica della normativa in materia di sostanze stupefacenti, al fine di depenalizzare la coltivazione, il consumo e la cessione di piccoli quantitativi per uso personale della cannabis. E abbiamo presentato altri due disegni di legge per l'utilizzo terapeutico della stessa sostanza. In particolare, la proposta sulla depenalizzazione, estendendo gli effetti del referendum abrogativo del 1993 anche a tutte quelle attività di coltivazione cosiddetta «domestica», da un lato evita la sanzione penale al piccolo coltivatore e, dall’altro, punisce solo in via amministrativa le condotte di detenzione per uso personale di sostanze stupefacenti diverse dai derivati della cannabis, anche in quantitativi di significativa consistenza.
Siamo infatti convinti che legalizzare la coltivazione e l’uso personale della cannabis sia una risposta opportuna alle profonde trasformazioni in corso, e da decenni, nella nostra società. Chi fuma uno spinello non è un pericoloso criminale, bensì qualcuno che ha adottato uno stile di vita - o, più semplicemente, un consumo - non condiviso da tutti. A fronte di ciò, sono state approvate leggi “carcerogene” come la Fini-Giovanardi, sulla base di proclami ideologici e di un'idea cupamente moralistica e tristemente stigmatizzante delle relazioni sociali e delle forme di vita. Il principale risultato è stato il sovraffollamento delle carceri italiane. “Siamo pieni di criminali pur non avendo un crimine”, per usare le parole della National Review, storica rivista dei conservatori americani, che ha aperto alla depenalizzazione. Possiamo permetterci di essere più conservatori dei conservatori americani? Noi crediamo di no. Anche perchè, e non va mai dimenticato, si deve partire da due incontestabili considerazioni generali. La prima: nessuno è mai morto a seguito del consumo dei derivati della canapa indiana nell'intera storia dell'umanità. La seconda: l'abuso di hashish e marijuana produce senza dubbio effetti nocivi, ma non più (e probabilmente assai meno) degli effetti nocivi  determinati dall'abuso di sostanze, perfettamente legali, come alcol e tabacco. Non è una buona ragione?

l'Unità 9 gennaio 2014

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Commenti (1)
  • Antonino Chiaramonte  - Autore del libro " Juana"
    http://www.atuopadre.com/1/il_libro_juana_3207249.html
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