Il corpo e la giustizia
Luigi Manconi
Guai ad assumere atteggiamenti di superiorità morale. Da sempre sappiamo che i processi di liberazione da regimi dispotici, tanto più quando questi si incarnano in tiranni amati/odiati, portano con sé uno strascico di rancore torvo e una voglia acre di rivalsa.
«La rivoluzione non è un pranzo di gala», appunto e, tra i miti fondanti della nostra Repubblica democratica, c’è anche il rito atroce di Piazzale Loreto. Al quale, peraltro, non era facile sottrarsi (e io, per primo, non so dire se mi sarei sottratto). Ma proprio per questo, perché è questione che riguarda noi tutti e la nostra fragile identità umana - dunque, il suo degrado sempre possibile - alcune cose vanno pur dette.
Non sappiamo se Muammar Gheddafi sia stato giustiziato: se sia stato, cioè, sottratto al giudizio di un tribunale legale (questo significa il “giustiziare”, con un ribaltamento del senso delle parole così consueto nelle questioni di diritto) per essere consegnato a una esecuzione spietata a opera dei suoi nemici. E al colpo di grazia (ancora una volta le parole possono essere davvero perverse). D’altra parte, non possiamo ignorare che questa guerra civile, come tutte le guerre civili, ha conosciuto misfatti e scempi, e forse ancora ne conoscerà. Certo, possiamo arrivare a “comprendere” tutto ciò, senza in alcun modo giustificarlo: come l’inevitabile conseguenza dello strappo di un corpo (e di un corpo sociale) che, scrollandosi di dosso ciò che lo mortifica e lo opprime, produce fatalmente danni, lesioni, rovine. Ma, d’ora in avanti, la qualità del sistema politico che sta nascendo in Libia verrà valutata anche (e non marginalmente) da questo: dalla capacità di ricostruire una comunità nazionale basata sul superamento del meccanismo della rappresaglia infinita, e di un prolungato dopoguerra. Non è impossibile. Si pensi che le più significative prove della possibilità di realizzare sistemi democratici, fondati sulla riconciliazione nazionale, vengono proprio da quel continente. In particolare, dal Sud Africa e dal Ruanda.
La verità è che nessuno può rivendicare un qualche primato etico. Da alcuni decenni, la questione delle Corti internazionali di giustizia è al centro del dibattito pubblico. È tematica delicatissima e controversa e piena di incognite: ma resto convinto che una soluzione simile, per quanto incerta e perfettibile, sia migliore di quelle procedure che hanno portato a fare giustizia, si fa per dire, di efferati criminali come Saddam Hussein e Osama Bin Laden.
20 ottobre 2011 l'Unità
Il corpo e la giustizia
Luigi Manconi
Guai ad assumere atteggiamenti di superiorità morale. Da sempre sappiamo che i processi di liberazione da regimi dispotici, tanto più quando questi si incarnano in tiranni amati/odiati, portano con sé uno strascico di rancore torvo e una voglia acre di rivalsa.
«La rivoluzione non è un pranzo di gala», appunto e, tra i miti fondanti della nostra Repubblica democratica, c’è anche il rito atroce di Piazzale Loreto. Al quale, peraltro, non era facile sottrarsi (e io, per primo, non so dire se mi sarei sottratto). Ma proprio per questo, perché è questione che riguarda noi tutti e la nostra fragile identità umana - dunque, il suo degrado sempre possibile - alcune cose vanno pur dette.
Non sappiamo se Muammar Gheddafi sia stato giustiziato: se sia stato, cioè, sottratto al giudizio di un tribunale legale (questo significa il “giustiziare”, con un ribaltamento del senso delle parole così consueto nelle questioni di diritto) per essere consegnato a una esecuzione spietata a opera dei suoi nemici. E al colpo di grazia (ancora una volta le parole possono essere davvero perverse). D’altra parte, non possiamo ignorare che questa guerra civile, come tutte le guerre civili, ha conosciuto misfatti e scempi, e forse ancora ne conoscerà. Certo, possiamo arrivare a “comprendere” tutto ciò, senza in alcun modo giustificarlo: come l’inevitabile conseguenza dello strappo di un corpo (e di un corpo sociale) che, scrollandosi di dosso ciò che lo mortifica e lo opprime, produce fatalmente danni, lesioni, rovine. Ma, d’ora in avanti, la qualità del sistema politico che sta nascendo in Libia verrà valutata anche (e non marginalmente) da questo: dalla capacità di ricostruire una comunità nazionale basata sul superamento del meccanismo della rappresaglia infinita, e di un prolungato dopoguerra. Non è impossibile. Si pensi che le più significative prove della possibilità di realizzare sistemi democratici, fondati sulla riconciliazione nazionale, vengono proprio da quel continente. In particolare, dal Sud Africa e dal Ruanda.
La verità è che nessuno può rivendicare un qualche primato etico. Da alcuni decenni, la questione delle Corti internazionali di giustizia è al centro del dibattito pubblico. È tematica delicatissima e controversa e piena di incognite: ma resto convinto che una soluzione simile, per quanto incerta e perfettibile, sia migliore di quelle procedure che hanno portato a fare giustizia, si fa per dire, di efferati criminali come Saddam Hussein e Osama Bin Laden.

20 ottobre 2011 l'Unità
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