Sallusti non è un caso
Questurini
Il testacoda manettaro del Giornale su Sallusti e la snobistica indiferenza del Fatto per i fatti

LUIGI MANCONI
1.“Sallusti in galera/I delinquenti fuori” Il Giornale del 27 settembre.
Va da sé: nessuno deve andare in carcere per le sue idee, nemmeno se aberranti. Per queste ultime valgono le sanzioni morali e, nel caso, quelle proprie del codice civile. Dunque, tutti con Alessandro Sallusti come un sol uomo e perinde ac cadaver. Ma è possibile che a tutta quella bella gente del Giornale non venga in mente che  la mobilitazione per la tutela della libertà di Sallusti meriti un respiro almeno un po’ più ampio della sola tutela della sola libertà del solo Sallusti? E che quella stessa sacrosanta battaglia non risulterà rafforzata, certo, se si accartoccerà in una pulsione corporativa; e se si immeschinirà in una rivalsa manettara e forcaiola?

2.“Italia a delinquere” il Fatto del 29 settembre.
Nelle simpatiche baruffe che talvolta si accendono tra i carissimi nemici del Fatto e me, emergono alcune costanti che rendono non inutile un contenzioso altrimenti insignificante (oltreché terribilmente menoso). a) La totale, superba e direi snobistica indifferenza del Fatto per i fatti. Qualche settimana fa, su queste colonne, scrivevo testualmente di non aver “mai affermato” che il Fatto sia “di destra”. Carta canta. Puntualmente, il giorno dopo, il Fatto mi accusa di aver scritto che il Fatto sarebbe “di destra”. Cari, ma perché fate così? b) La totale superba e direi snobistica indifferenza del Fatto per la sostanza della controversia. Io sostengo, semplicemente, che la cultura che ispira molta parte della produzione giornalistica del Fatto sia conservatrice e immorale, tutta subalterna al Dominio dell’Indistinto e al disprezzo per l’analisi delle differenze e per la fatica del discernimento; e porto degli argomenti a sostegno di questa opinabilissima tesi. Non una volta il Fatto risponde nel merito, ma pervicacemente replica parlando d’altro. E ripropone tutto intero il suo armamentario del gossip giudiziario, dello sguardo attraverso il buco della serratura e lo spioncino della cella, della letteratura questurina. A proposito di quest’ultima, noto che il Fatto non si trattiene dal citare mie antiche e non commendevoli attività (“ex capo del servizio d’ordine di Lotta Continua”) risalenti al 1971/72, sulle quali sono stato io a scrivere già decenni fa, ben prima che l’adamantina coscienza garantista di questi avventizi della polizia giudiziaria suggerisse loro di farlo. Già si era esercitato su questo tema, sempre sul Fatto, Massimo Fini, che quanto a capacità di distinguere somiglia sputato a Ivan Drago (l’avversario di Silvester Stallone in Rocky IV, quello di “ti spiezzo in due”). Per meglio polemizzare, Fini mi attribuisce tutto quanto è accaduto negli anni ’70 e, poi, scrive che avrei definito quelli del Fatto “squadristi di destra”. Per l’amor di Dio! Ma a cosa si deve una simile alterazione della realtà? Boh. Fini è uno che, in un suo libro di qualche tempo fa, raccontò di provare invidia per me perché se io scrivevo una cosa veniva pubblicata in prima pagina, se la scriveva lui in ultima; e perché i miei articoli venivano retribuiti meglio dei suoi. Mi sembra che sia rimasto ancora lì. E mi dispiace, perché siamo tutti più anziani e anche Massimo Fini meriterebbe un po’ di serenità.
Ora, se consideriamo due titoli recenti del Fatto forse si capisce meglio da dove discenda quella che chiamo letteratura questurina. Il primo titolo è del 28 settembre: “Napolitano vuole l’amnistia. (…) Appello del capo dello Stato per svuotare le carceri” (C’è scritto proprio così: per svuotare le carceri). E il giorno dopo: “Italia a delinquere”. Converrete: il linguaggio, la sintassi, la tonalità, sono esattamente quelli di altri memorabili titoli. I titoli del genere cinematografico detto “poliziottesco”, che ebbe il suo archetipo in La polizia ringrazia (1972) di Steno e la sua apoteosi in La polizia incrimina, la legge assolve (1973) di Enzo Castellari: e poi, via via, Milano trema: la polizia vuole giustizia, La polizia sta a guardare, Il cittadino si ribella…. Ecco trovato, infine, il santa santorum dell’ispirazione culturale (ma vorrei dire filosofica) del Fatto. La fonte sorgiva del suo sapere giornalistico. La sua summa sapienziale. Per me, la zuffa finisce qui. Da più di due decenni, tutta la mia militanza politica, nella dimensione sociale come in quella istituzionale, si è concentrata sui conflitti per la tutela delle garanzie fondamentali della persona e dei diritti civili e politici: immigrazione e diritto d’asilo; privazione della libertà personale nelle carceri e nelle caserme, negli Ospedali psichiatrici giudiziari e nei Centri di identificazione e di espulsione; questioni di “fine vita”: testamento biologico e autodeterminazione del paziente; pari dignità per le minoranze sessuali. In tutti questi anni, e in tutte queste vicende, ho incontrato tantissimi radicali e tanti democratici e democratici radicali e democratici estremisti, molti cattolici e molti socialisti, un certo numero di comunisti, alcuni liberali e perfino qualche destro. Mai, dico mai, ho incontrato gli esponenti della cultura giustizialista (sola eccezione, Paolo Flores sui temi del “fine vita”). Avevano ben altro da fare, loro, impegnati com’erano nella lotta all’ultimo sangue contro l’ “Italia a delinquere”.
il Foglio, 02-10-2012
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